Tragedia nel Canale di Sicilia. Era il 18 aprile 2015. Non erano passati nemmeno due anni dal 3 ottobre 2013, quando a Lampedusa morirono più di 350 persone. Nel 2015, invece, morirono più di 1000 migranti. Solo dopo anni abbiamo avuto dei numeri certi in merito.
La tragedia nel Canale di Sicilia è avvenuta il 18 aprile 2015 ed è stata una delle peggiori – per numero di morti – nel Mediterraneo: per anni sui numeri non si è fatto chiarezza, e le stime si sono susseguite, a volte più alte, altre più basse. Inizialmente le vittime stimate erano 800; nel 2018, invece – grazie soprattutto all’incessante lavoro di Cristina Cattaneo – il numero è risultato essere di circa 1100 vittime.
Ma cosa accadde tra il 18 e il 19 aprile 2015?
Il 19 aprile 2015, La Repubblica titolava:
Strage al largo della Libia: morti in mare tra 700 e 900 migranti, solo 28 superstiti. È la tragedia più grande di sempre
Ansa, invece, scriveva:
La più grave sciagura del mare. ‘Un milione pronti a partire dalla Libia’. Usa: aiutare l’Europa
Internazionale riportava le parole del giornalista Stefano Liberti:
Basta con il cordoglio ipocrita dopo ogni strage
La notizia, insomma, correva velocemente di bocca in bocca e di testata in testata. Al largo della Libia, nel Canale di Sicilia, un peschereccio con a bordo centinaia di persone si era ribaltato, e si stimava che fossero morte fra le 700 e le 900 persone. È chiaro da subito che la stima delle vittime, purtroppo, poteva essere troppo bassa; nessuno aveva dei dubbi sul fatto che quella fosse la tragedia nel Mediterraneo numericamente più grave, fino ad oggi.
Il peschereccio era partito dalla Libia, e nella notte tra il 18 e il 19 aprile qualcuno dall’imbarcazione aveva lanciato una richiesta d’aiuto, ricevuta e presa in carico dal Centro Nazionale di Soccorso della Guardia Costiera. Inizialmente sembrava che la nave si fosse capovolta perché le persone migranti si erano spostate tutte da un solo lato, per essere salvate dal mercantile portoghese King Jacob, arrivato in soccorso. Il 21 aprile, invece, la procura di Catania affermò che la collisione fra il peschereccio e il mercantile arrivato in soccorso aveva causato il naufragio.
Sempre il 21 aprile, l’Onu confermava le stime iniziali riguardanti le vittime: almeno 800 persone. Due giorni dopo, a Malta, si tenevano i funerali delle vittime: i soccorsi avevano recuperato solamente 24 salme.
Le vittime della tragedia nel Canale di Sicilia, l’impegno di Cristina Cattaneo e quel peschereccio opera d’arte alla Biennale del 2019
Alla base Nato di Melilli, Cristina Cattaneo si occupa di identificare le salme e di restituire dignità – il più possibile – alle persone che il 18 aprile 2015 hanno perso la vita, mentre ne cercavano una migliore. La professoressa Cattaneo, responsabile del Labanof, ha accertato il reale numero delle vittime, e l’accesso al relitto del peschereccio, recuperato nel 2016, ha permesso il grande lavoro svolto – a titolo volontario – da Cattaneo.
Dopo anni di discussioni sulla necessità o meno di utilizzare il relitto come simbolo delle morti nel Mediterraneo e come monito, nel 2019 il peschereccio viene utilizzato – a Venezia – durante la 58° edizione della Biennale d’Arte. L’artista svizzero Cristoph Buchel ha ideato il progetto Barca Nostra, suscitando non poche polemiche, anche a livello politico. Nel 2021, il relitto ritorna ad Augusta, per diventare finalmente simbolo e promemoria di cosa accade – troppo spesso – nel mar Mediterraneo.
La “tragedia” nel Canale di Sicilia. Fu davvero tragedia? O è un modo per non dare un nome alla responsabilità morale dell’Unione Europea?
Il 18 aprile 2015 – come in molte altre occasioni – i quotidiani e i telegiornali parlano di tragedia. Ma le parole contano, hanno un peso, ed è necessario interrogarci su cosa intendiamo quando utilizziamo la parola “tragedia”. Il Vocabolario Treccani definisce così la “tragedia“:
Fatto, evento luttuoso, grave sventura o disgrazia, che suscita sentimenti di dolore e di terrore.
La “disgrazia“, invece, viene definita nel seguente modo:
Sfortuna, sventura, cattiva sorte. (…) Avvenimento funesto e improvviso, incidente, infortunio. (…) Più genericamente, ogni caso spiacevole che avvenga involontariamente.
Entrambi i termini nascondono, non esplicitata, una connotazione precisa: la tragedia e la disgrazia sono inevitabili, imprevedibili, e questo diminuisce il senso di responsabilità ad esse correlato. Nel caso della “tragedia” nel Canale di Sicilia, furono condannati Mohamed Ali Malek e Mahmud Bikhit. I due migranti erano alla guida del peschereccio; lo scafista venne condannato a 18 anni di reclusione, l’aiutante a 5 anni.
Ma di chi è la responsabilità morale e politica dell’avvenimento? Domenica 26 febbraio 2023, meno di due mesi fa, un altro naufragio al largo di Crotone. Sono morte più di 60 persone. Ad ogni naufragio, l’opinione pubblica è colpita e dispiaciuta dagli avvenimenti. Eppure, nulla cambia, perché non cambia il Regolamento di Dublino e non viene attuata alcuna politica che favorisca l’accoglienza.
Sono passati molti anni dal 18 aprile 2015. Abbiamo imparato qualcosa?
Non chiamiamole “tragedie”, non chiamiamole “disgrazie”. L’occidente privilegiato e l’Unione Europea hanno una grande ed innegabile responsabilità morale e politica riguardo alle morti nel Mediterraneo. Non possiamo e non dobbiamo nasconderci dietro alla cosiddetta tragedia. I naufragi, ormai innumerevoli, degli ultimi decenni sono terribili, provocano dolore e rabbia. Sentirci male a riguardo, però, non basta, ed è egoista.
Se vogliamo dare dignità alle vite e alle scelte di chi parte verso l’Europa e perde la vita per questo, è nostra responsabilità usare la voce privilegiata e occidentale che abbiamo. Dobbiamo smettere di distinguere tra migranti economici e migranti politici, ed esprimerci contro le politiche securitarie delle frontiere. Dobbiamo pretendere che la legislazione italiana e quella europea cambino e favoriscano l’accoglienza.
Così facendo, forse, potremo guardare indietro, alle morti del 18 aprile 2015, e vedere che – con impegno – abbiamo provato a cambiare il corso della storia.