La recente indagine sul lavoro minorile di Save the Children stima che 336 mila bambini e adolescenti tra i 7 e i 15 anni abbiano avuto esperienze di lavoro prima dell’età legale consentita (16 anni), quasi 1 minore su 15. Inoltre, il 27,8% dei 14-15enni (58.000 adolescenti) che ha svolto un’esperienza lavorativa, è stato coinvolto in attività dannose sia per i propri percorsi scolastici che per il proprio benessere psicofisico
“Non è un gioco”. Questo è il nome dell’ultima indagine sul lavoro minorile in Italia di Save the Children che evidenzia come quasi 1 minore su 5 ha svolto un’attività lavorativa prima del compimento dei 16 anni. Il lavoro minorile è un fenomeno fortemente diffuso in tutto il mondo, nonostante la grande maggioranza degli Stati abbia ratificato la convenzione internazionale sui diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza e la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale sul lavoro. In particolare, l’articolo 32 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC) sancisce “il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”. Analizzando i dati di quest’ultima (ILO) e di Unicef risalenti al 2020, 160 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni sono sfruttati lavorativamente e tra questi, circa la metà (79 milioni) sono obbligati a svolgere mansioni che hanno un impatto negativo sulla loro salute e sul loro sviluppo psicofisico e morale. Questo è legato soprattutto all’orario di lavoro, molto spesso svolto in durante la notte o in modo continuato rispetto all’orario scolastico.
Abbandono scolastico: l’impatto del lavoro precoce sull’apprendimento
Proprio in riferimento al contesto scolastico, è importante notare come vi sia una stretta correlazione tra esperienze lavorative effettuate prima del compimento dei 16 anni e la dispersione scolastica. Questo perché, i bambini e gli adolescenti che lavorano, svolgono attività lavorative principalmente durante ore diurne; dunque, in orari che coincidono con quelli scolastici e che non permettono loro di poter frequentare le lezioni. In questo modo viene quindi fortemente limitato il tempo dedicato all’istruzione e alle attività formative e questo non può che risultare in scarsi risultati scolastici con conseguente totale abbandono della scuola. Osservando i dati emersi dall’indagine, il 29,9% dei 14-15enni intervistati svolge attività lavorative proprio durante i giorni di scuola e il 4,9% di essi salta le lezioni appositamente per dedicarsi al lavoro. La forte influenza reciproca tra lavoro minorile e dispersione scolastica è inoltre visibile soprattutto nella percentuale di minori bocciati durante la scuola secondaria, percentuale che raddoppia tra chi ha lavorato prima dell’età legale consentita e chi invece non lo ha mai fatto. Questo dimostra come il lavoro minorile svolto prima di aver assolto l’obbligo scolastico porti inevitabilmente ad una compromissione del percorso educativo e della crescita in generale.
Sfruttamento minorile e trasmissione intergenerazionale dell’esclusione
Tra i settori in cui vengono principalmente impiegati i minori per svolgere attività lavorative vi sono la ristorazione (25,9%), la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%), i lavori svolti in campagna (9,1%), le attività svolte in cantiere (7,8%) e le attività di cura svolte con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). A proposito di questo punto in particolare, è importante notare come esista inoltre una correlazione tra background sociale e lavoro minorile, correlazione che fa riflettere sulla trasmissione intergenerazionale della povertà e della marginalità sociale. In particolare, il livello di istruzione dei genitori, soprattutto quello della madre, viene a configurarsi come un importante minimo comune denominatore che accomuna la maggior parte dei minori che ha sperimentato forme di lavoro. La percentuale dei genitori senza alcun titolo di studio o che hanno ottenuto solo la licenza elementare o media è infatti significativamente maggiore tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze lavorative. Ultimamente però, oltre gli ambiti più tradizionali che abbiamo visto prima, stanno emergendo nuovi contesti e nuove forme di lavoro. In questo caso, i minori svolgono principalmente attività lavorative online, come ad esempio la realizzazione di contenuti social, il reselling di sneakers, smartphone e pods per le sigarette elettroniche.
L’importanza dello studio e dell’indagine sul lavoro minorile minorile in Italia
Risulta evidente quindi come il fenomeno del lavoro minorile sia una piaga globale e come esso abbia delle conseguenze fortemente negative sia sul presente e che sul futuro dei giovani. I dati sono allarmanti e sbattono in faccia la realtà della vera portata di questo fenomeno, più diffuso di quanto pensiamo. Proprio a questo proposito l’organizzazione di Save The Children ha costituito un Comitato Scientifico composto da esperti e professionisti di rilievo nazionale per poter studiare sistematicamente il fenomeno in Italia ed agire di conseguenza per contrastarlo. Non è trascurabile l’enorme bisogno di attività di sensibilizzazione che illustrino i rischi legati al lavoro minorile e l’impatto che esso ha sulle condizioni psicofisiche dei minori e sul loro futuro in generale, soprattutto in riferimento all’apprendimento e all’istruzione. È necessario inoltre adottare misure legislative, amministrative, sociali ed educative per contrastare il fenomeno del lavoro precoce ed è per questo che sono importanti studi accurati e rilevazioni sistematiche. Solo in questo modo è possibile comprendere le caratteristiche ed i rischi dello sfruttamento lavorativo di minori ed agire in maniera puntuale per contrastarlo, introducendo strategie precise dirette alla riduzione e, auspicabilmente, alla totale eliminazione di questo preoccupante problema sociale.