Il miglioramento delle condizioni di vita e il riconoscimento dei diritti del lavoro delle vittime di caporalato e agromafie sono battaglie che riguardano tutti. Protagonisti di anni di lotte contro lo sfruttamento lavorativo, guidati da Marco Omizzolo, hanno tenuto una videoconferenza denunciando la situazione italiana e fornendo un metodo per migliorarla.
Lo sfruttamento lavorativo, operato da caporalato e agromafie, non è occasionale, non è solo nel mondo agricolo e non riguarda solo il Mezzogiorno. Esso è diffuso in tutta Italia (come in molti altri Paesi) e ha collegamenti internazionali. Si espande in tutti i settori, anche quello pubblico. Non riguarda solo cittadini stranieri ma anche molti italiani.
“In Migrazione“, società cooperativa sociale impegnata nella ricerca, nell’accoglienza e nel sostegno agli stranieri in Italia, ha tenuto in data 28 marzo la videoconferenza “Per motivi di giustizia – Le ragioni di un impegno e di un metodo contro lo sfruttamento e le agromafie”. Guidato da Marco Omizzolo, sociologo e docente dell’Università Sapienza di Roma, il webinar ha visto l’intervento di diversi esperti impegnati da anni a contrastare il caporalato in Italia.
Ci vuole più attenzione da parte del mondo dell’informazione, non è possibile che ci vogliano sempre episodi drammatici per far venire a galla queste realtà. L’unico modo per raccontare queste situazioni è incontrare le persone vittima di sfruttamento, ascoltare le loro storie. Se non ne si sentono gli odori, le urla e le paure, non si riesce a raccontare tale fenomeno.
Queste le parole di Toni Mira, giornalista e caporedattore di Avvenire. E ancora:
Esserci è importante perché è ciò che fa emergere le condizioni di sfruttamento, violenza e degrado in cui vivono e lavorano queste persone.
Caporalato e agromafie, un punto di vista giuridico
Bruno Giordano, magistrato di Cassazione e già direttore capo dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ha voluto precisare tre cose:
- Si parla del caporalato, dello sfruttamento lavorativo, come un fenomeno. Questa è una definizione sbagliata e fuorviante. Il caporalato è un delitto e che come tale si può studiare e arrivare a contrastare preventivamente e repressivamente.
- La seconda considerazione riguarda la complessità di questo tema. Bisogna confrontarsi continuamente con sociologi, operatori sociali, giuristi, investigatori, criminologi e così via perché nessuno ha ancora chiara la vastità e la complicatezza di questo argomento.
- Bisogna analizzare questa realtà per delineare lo scheletro di questo mostro che è tutt’ora in evoluzione.
Siamo partiti dall’idea che il caporalato operasse solo nel settore agricolo, che riguardasse solo lavoratori stranieri e solo nel sud Italia. Nella realtà non è così, lo sfruttamento esiste in tutto il territorio nazionale ed è presente in tutti i settori, riguardando sia cittadini stranieri che italiani.
Giordano denuncia:
Ci siamo occupati molto dei delinquenti e poco delle vittime, che è anche il vizio del decreto legge di Cutro.
La legge n. 199 del 2016, che fornisce disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro in nero e dello sfruttamento del lavoro, infatti, non prevede nulla per le vittime, nulla che tuteli le vittime in quanto tale. In secondo luogo, non si è ricorso al controllo giudiziario delle aziende.
Il magistrato sottolinea poi che, nelle numerosissime indagini svolte nel corso degli anni, i due principali indici di sfruttamento costanti in questo ambito riguardano la violazione contrattuale e la violazione della sicurezza del lavoro. Questo significa che dove c’è caporalato non c’è soltanto approfittamento economico ma anche sfruttamento del corpo e della salute della persona. Un esempio può essere individuato nel fatto che i “padroni” (sostantivo con cui i caporali si fanno chiamare dai lavoratori sfruttati) forniscono alla manodopera sostanze dopanti e antidolorifici per sopportare la fatica e continuare a lavorare.
Possibili soluzioni in ambito giuridico-istituzionale
Per rispondere a caporalato e agromafie vi è la necessità di una risposta istituzionale tanto complessa e specializzata quanto lo è il tema. Serve l’istituzionalizzazione di una procura nazionale del lavoro (e relative procure distrettuali) per avere una visione concentrata del movimento di persone, delle attività criminali e dei legami che possono esserci. Giordano continua:
Non ci si può occupare di questa grande realtà criminosa con una visione limitata dalla minima competenza territoriale di una provincia.
Inoltre non si può contrastare il caporalato limitandosi ad appurare l’irregolarità del rapporto di lavoro. Serve verificare chi ha predisposto la struttura adeguata per promuoverlo.
Lo sfruttamento lavorativo in una prospettiva di genere
Sempre più persone non riescono a lavorare nei loro territori e spostandosi si trovano in condizioni di vulnerabilità. In Italia come altrove, la vulnerabilità porta allo sfruttamento. Quest’ultimo si dirama in tutta la filiera, dalla produzione alla vendita in scaffale del prodotto.
Margherita Romanelli, responsabile policy, advocacy e programmi europei della ONG “WeWorld”, evidenzia che nelle società patriarcali essere di genere femminile è un elemento che determina un ulteriore livello di vulnerabilità e anche una naturale accettazione di meccanismi di sfruttamento solo per il fatto di essere donna. Spesso è un componente maschio della famiglia che si occupa della contrattazione con il datore di lavoro, che accetta anche un trattamento economico che può essere dal 15 al 20% inferiore rispetto a quello che avrebbe accettato per se stesso.
Nel settore agricolo, oltre l’80% dei contratti che hanno a che fare con manodopera femminile (in particolare manodopera migrante femminile) hanno elementi di irregolarità. Da parte del datore di lavoro, nei confronti delle donne viene posta molta attenzione all’estetica. Vengono spesso ricattate dai caporali per prestazioni sessuali, venendo minacciate di non vedersi rinnovare il contratto o di non vedersi pagate le ore lavorate. Vengono trattate in modo da farle sentire fragili, portandole a non ribellarsi e non dire ciò che succede, così che le violenze possano perpetuarsi senza pericoli. Le violenze sono di ogni tipo: sessuali, fisiche, psicologiche, economiche e così via.
Cosa fare in questo contesto? Non c’è bisogno solo di un lavoro a livello legislativo ma anche e soprattutto a livello culturale per cambiare l’approccio e favorire l’empowerment delle donne. Altri strumenti:
- È importante l’applicazione della Convenzione ILO 190 che l’Italia ha ratificato lo scorso anno. Tale convenzione proibisce ogni tipologia di violenza sul posto del lavoro.
- Si dovrebbero obbligare le imprese a realizzare un piano di prevenzione del rischio che dichiari come queste evitano gli sfruttamenti. In Europa è in questo momento in discussione un’importante direttiva sulla Due Diligence aziendale per il rispetto dei diritti umani e del lavoro.
- Invertire l’onere della prova: ora è in capo alla vittima. Se quest’ultima denuncia, dovrebbe essere l’azienda a provare di non aver compiuto una certa condotta.
- Questione della responsabilità civile, non è sufficiente solo quella penale. Le aziende devono elargire un risarcimento in caso di colpevolezza.
Conclusioni
Bisogna sfatare il mito che se non ci fossero queste situazioni i prezzi dei prodotti al supermercato sarebbero più alti. Il caporalato gonfia le tasche di chi sfrutta, noi come cittadini ci perdiamo e basta.
Queste le parole di Simone Andreotti, presidente di “In Migrazione”. E aggiunge:
Non ci sono solo stranieri sfruttati ma anche italiani. Accettare o far finta di non vedere ciò che succede porta ad accettare una precarizzazione generale del mondo del lavoro.
Lo sfruttamento lavorativo distrugge il futuro dell’economia italiana. Questo perché fa si che le aziende virtuose, le idee e le visioni che potrebbero proiettare l’Italia nel futuro si fermino cedendo il passo ad una concorrenza scorretta che non permette di creare altri modelli economici.
Sconfiggere caporalato e agromafie migliora la vita di tutti perché è un sistema che non ha visione e che cancella tutte le prospettive di sviluppo, che sfrutta persone, precarizza il lavoro e viola i diritti.