20 marzo 2003: invasione dell’Iraq.
Inizia così, una delle più sanguinose e disastrose guerre della nostra epoca
È il 20 marzo 2003, quando le truppe di una coalizione multinazionale, guidata dagli Stati Uniti, invadono l’Iraq del dittatore Saddam Hussein.
La guerra terminerà ufficialmente il 18 dicembre 2011, con il rovesciamento del regime e il passaggio del potere a un governo di delega statunitense.
Secondo gli storici, si tratta di una delle guerre più fallimentari e controverse degli ultimi decenni, i cui contraccolpi sono ancora vivi e presenti in Iraq, 20 anni dopo la guerra.
20 anni dall’invasione dell’Iraq: le controverse origini della guerra
Per comprendere le ragioni che hanno portato all’invasione dell’Iraq il 20 marzo 2003, bisogna tornare indietro di almeno 40 anni.
Durante la guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) il regime di Saddam Hussain poté godere del supporto strategico e militare del blocco occidentale, contro l’espansione del regime islamico iraniano.
Allo stesso tempo, però, Washington perseguiva una politica tesa a logorare entrambi gli schieramenti.
Nel 1990 gli iracheni invasero il Kuwait.
Iniziò così la Prima Guerra del Golfo, che terminò l’anno successivo con la liberazione del Kuwait da parte degli Stati Uniti, guidati dal Presidente Bush.
In quell’occasione si sfiorò l’invasione dell’Iraq, ma il Presidente decise infine per una politica di contenimento.
Questa prevedeva sanzioni economiche, costruzione di basi USA nei Paesi vicini e imposizione di no-fly zone. Inoltre, le Nazioni Unite ordinarono lo smantellamento delle armi di distruzione di massa (biologiche, chimiche o nucleari), attraverso l’istituzione di un regime di ispezione e monitoraggio ONU. Ma il programma venne interrotto nel 1998 da Saddam, con l’accusa di praticare spionaggio per gli USA.
Successivamente agli attentati dell’11 settembre, il Presidente G. W. Bush (figlio del precedente Bush), indirizzò la paura e l’insicurezza del popolo statunitense verso il conflitto, dando vita a una “guerra contro il terrorismo“, sostenuta dalla “dottrina Bush” o “dottrina della guerra preventiva“.
Meno di un mese dopo, gli USA avevano già invaso l’Afghanistan dei talebani.
Nel gennaio 2002, nel Discorso sullo Stato dell’Unione, Bush parlò di un vero e proprio “asse del male” formato da “Stati canaglia” , tra cui Iran, Iraq e Corea del Nord.
[…] L’Iraq continua ad ostentare la propria ostilità verso l’America e ad appoggiare il terrorismo. Per più di un decennio, il regime iracheno ha progettato di sviluppare l’antrace, gas nervini e armi nucleari.
Si tratta di un regime che ha già impiegato gas letali per uccidere migliaia di cittadini – lasciando i corpi delle madri ammucchiati sopra i figli morti. Questo è un regime che ha accettato i controlli internazionali e ha poi cacciato via gli ispettori. Questo è un regime che ha qualcosa di grave da nascondere al mondo civile.
Stati come questi, e i terroristi loro alleati, rappresentano un asse del male, che si arma per minacciare la pace nel mondo. Nel ricercare armi di distruzione di massa, questi regimi rappresentano una crescente e grave minaccia. […]
Nel discorso, il Presidente fa riferimento all’Iraq come al responsabile degli “attacchi con l’antrace“.
Tra ottobre e novembre del 2001, infatti, cinque persone erano morte e altre 17 erano state contagiate da una serie di lettere che contenevano piccole quantità di antrace.
Nel settembre 2002, il governo inglese, guidato da Tony Blair, e quello statunitense, presentarono il “dossier Iraq“, secondo il quale Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa ed era pronto a utilizzarle.
Il dossier si basava sulle conclusioni dell’intelligence inglese, e portava la firma dello stesso Blair.
Oggi abbiamo pubblicato un dossier di 50 pagine che descrive in dettaglio la storia delle armi di distruzione di massa irachene, la sua violazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite e gli attuali tentativi di ricostruire il programma illegale di armi di distruzione di massa. […]
Naturalmente non c’è dubbio che l’Iraq, la regione e il mondo intero starebbero meglio senza Saddam. […] Ma il nostro scopo è il disarmo. Nessuno vuole un conflitto militare. […] Il disarmo di tutte le armi di distruzione di massa è la richiesta. In un modo o nell’altro deve essere accettato. […]
Infine, il 5 febbraio 2003, in uno storico discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’allora segretario di Stato degli USA, Colin Powell, mostrò al mondo una provetta contenente una sostanza che si ritenne fosse antrace, prodotta in laboratori segreti iracheni.
Il mese successivo, una coalizione di 35 Stati, guidata da USA, UK, Australia e Polonia, diede inizio alla cosiddetta “Operation Iraqi Freedom“, per distruggere le WMD e liberare la popolazione dalla dittatura di Saddam Hussein.
Solo molti anni dopo, si scoprì che la provetta di Powell conteneva del borotalco.
E la presenza di armi di distruzione di massa non fu mai accertata.
Crimini e torture, da Abu Ghraib a WikiLeaks
La guerra in Iraq, che avrebbe dovuto essere una guerra-lampo, rappresenta, in realtà, uno dei conflitti più sanguinosi degli ultimi decenni.
Secondo le stime ufficiali di Iraq Body Count, progetto che monitora i dati e le conseguenze della guerra, il numero totale delle vittime è 288 mila.
Tra queste, la quantità di morti civili si aggira tra i 186 mila e i 210 mila. Ma ulteriori indagini stimano almeno altre 15.000 vittime.
Il conflitto in Iraq è ricordato anche per l’alto tasso di violazioni dei diritti umani che lo hanno contraddistinto.
Gli abusi cominciarono a rivelarsi all’opinione pubblica nell’aprile 2004, quando la rete CBS News ricevette delle inquietanti foto provenienti dal carcere di Abu Ghraib.
In origine utilizzato come carcere dal regime iracheno, il comando statunitense lo trasformò in un centro di detenzione per i prigionieri iracheni.
Le immagini giunte alla CBS mostravano come Abu Ghraib fosse teatro di abusi fisici e sessuali, torture, stupri, sodomizzazioni e omicidi da parte dei militari e della CIA. Il tutto, con la piena consapevolezza del Presidente Bush.
Un grande contributo alle indagini sulla guerra in Iraq è da attribuire al lavoro di Julian Assange che, attraverso WikiLeaks, ha mostrato al mondo le prove di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani in Iraq.
Nell’aprile 2010, l’organizzazione rese pubblico il video “Collateral Murder“, che mostra un attacco aereo avvenuto a Baghdad il 12 luglio 2007.
Nel video, si vedono alcuni militari americani, a bordo di un elicottero Apache, sparare a un gruppo di civili disarmati a terra. Tra questi, ci sono due giornalisti di Reuters attrezzati con una grossa telecamera, che i militari avrebbero scambiato per un lanciarazzi.
Dopo il primo attacco, l’elicottero apre il fuoco su un soccorritore giunto sul posto con un furgone, uccidendo l’uomo e ferendo i due figli.
Il resoconto finale è di 18 civili morti (tra cui 2 giornalisti) e 2 bambini feriti.
Il video divenne subito virale e scatenò una forte indignazione, legata alla superficialità dell’operazione e alle reazioni di compiacimento dei militari a bordo dell’Apache.
Pochi mesi dopo, nell’ottobre 2010, WikiLeaks rilasciò i cosiddetti “Iraq War Logs“, una raccolta di oltre 400.000 documenti classificati riguardanti la guerra in Iraq.
I file mostrano come le autorità statunitensi abbiano evitato di registrare numerosi incidenti, omettendo circa 15.000 morti civili.
Inoltre, documentano come gli USA abbiano volutamente evitato di indagare in merito alle torture inflitte dalle autorità irachene sui detenuti iracheni, in violazione della Convenzione ONU contro la Tortura.
Iraq oggi: tensioni e instabilità
L’Iraq, 20 anni dopo la guerra, si trova in una situazione di forte instabilità politica.
Secondo Claudio Bertolotti, analista dell’ISPI, la guerra in Iraq è una delle più disastrose e controverse dell’ultimo decennio.
Da un punto di vista analitico, rappresenta una svolta sul piano degli equilibri geopolitici, a livello sia regionale che globale.
Ma è anche un punto di rottura sul piano delle relazioni internazionali, che ha determinato l’impossibilità di un ritorno all’ordine precedente l’invasione.
Oggi, nonostante l’ISIS sia stato ufficialmente sconfitto, l’Iraq continua a vivere sotto la minaccia del terrorismo e delle milizie armate.
Sul piano politico, l’instabilità prodotta dall’imposizione di un governo di delega statunitense ha causato numerose proteste e le dimissioni di diversi funzionari governativi.
A tutto ciò, si aggiungono le tensioni etniche e religiose, l’alto tasso di criminalità, la disoccupazione e la carenza di servizi essenziali.
Come spiega ancora Bertolotti, la guerra in Iraq, con il rovesciamento di Saddam, ha destabilizzato l’intero Medio Oriente. Si è creato così un vuoto di potere che ha stimolato la nascita di movimenti estremisti, come l’ISIS, e la radicazione di un sentimento anti-occidentale.
Quello dell’invasione in Iraq, dunque, è un anniversario particolarmente scomodo per l’Occidente.
Si è trattato di una guerra di manipolazione di un’opinione pubblica traumatizzata. Di bugie e di false informazioni. Di disumane torture, e di crimini che non saranno mai puniti.
Una guerra lunghissima, terminata con l’abbandono di un Paese che non smette di pagarne le conseguenze, e che testimonia un enorme fallimento.
Un anniversario doloroso, ma necessario, per comprendere l’orrore di cui siamo responsabili.