I suicidi nelle carceri italiane sono già 10 sulle 25 morti da inizio anno. Di chi è la responsabilità? Si può fare qualcosa?
I suicidi nelle carceri sono un problema sempre più grave. Nel 2022 l’Italia ha raggiunto il suo record con 87 detenuti morti suicidi, il 2023 non prospetta numeri migliori. I dati rilasciati dall’associazione Antigone pochi giorni fa fanno riflettere su quanto il sistema carcerario non stia migliorando negli anni, anzi va sempre più a scatafascio. La maggior parte dei suicidi avviene durante le festività e nei primi 6 mesi di detenzione. Di solito a togliersi la vita sono detenuti in attesa di giudizio oppure con pene che non superano i 5 anni di reclusione. Fatti che fanno riflettere su quanto sia destabilizzante per le persone approdare in carcere.
Cause dei suicidi nelle carceri
Partendo dal presupposto che l’assistenza sanitaria nei penitenziari non è per nulla garantita ai detenuti, non ci si deve stupire se la maggior parte dei suicidi avviene per disturbi psichici non curati o addirittura non diagnosticati. Bisogna capire che nella psiche di una persona la privazione della libertà porta danni importanti; se poi a questo si aggiunge la disperazione di ritrovarsi in un luogo in cui non si è più considerate persone, la situazione mentale non può che aggravarsi. Le strutture che dovrebbero occuparsi di curare detenuti con malattie mentali o con problemi di dipendenze da droghe sono insufficienti, per questo vengono buttati in mezzo agli altri carcerati nei penitenziari comuni, creando un ambiente malsano per tutti. Il sovraffollamento, che è al 107,7%, inoltre non aiuta la salute mentale dei detenuti. Celle troppo piccole per accogliere più di un detenuto (3 mq), spazi comuni affollati e possibilità di educazione e di lavoro non garantita a tutti. Oltre alla carenza del personale sanitario, anche il personale educativo è insufficiente. I detenuti perciò si ritrovano a passare intere giornate senza svolgere nessuna attività, circondati da agenti che li trattano come cani. Una situazione molto grave che non lascia via di scampo alle menti più deboli. È ovvio che ritrovarsi in un luogo dove non si è considerati più persone può portare a disperazione e, in molti casi, all’insano gesto. Le carceri non sono un luogo dove poter cambiare e migliorare per reinserirsi nella società, ma luoghi di tortura. Solo il 58,7% delle celle garantisce uno spazio adeguato e solo il 45,7% ha l’acqua calda.
L’articolo 27 della Costituzione italiana riconosce la funzione rieducativa della pena. Questo nella teoria. Nella pratica i detenuti non vengono rieducati, ma solo puniti attraverso violenze psicologiche e fisiche. Non c’è da stupirsi quindi se il tasso di recidività è del 70%. Un esempio delle violenze subite dai detenuti è l’episodio avvenuto nel penitenziario di Santa Maria Capua Venere nell’aprile del 2020, dove si sono verificate violenze di massa e torture sui detenuti da parte delle guardie.
I suicidi nelle carceri si possono evitare
È lampante che il sistema carcerario italiano va tempestivamente cambiato. I detenuti sono persone che un giorno rientreranno nella società e il fine dei penitenziari deve essere quello di prepararli alla loro ritrovata libertà. Fondamentale è garantire il lavoro a tutti e un’istruzione adeguata, responsabilizzarli per il bene del loro futuro al di là delle sbarre.
Il fondo complementare del Pnrr alla lettera G prevede 132,9 milioni di euro, dal 2022 al 2026, per la costruzione e il miglioramento di padiglioni e spazi per le strutture penitenziarie per adulti e minori. Ma non sono solo le strutture a dover essere migliorate. Supporto psicologico, strutture per le cure mentali e per le dipendenze, collegamenti con l’esterno e con gli affetti di ognuno, tutto questo manca e al governo non se ne parla. I detenuti non sono elettori degni di interesse politico.
Eppure cambiare il sistema carcerario è possibile, basta guardare gli enormi passi avanti della Norvegia. I penitenziari norvegesi sono i più umani e vivibili al mondo e i suicidi nelle carceri sono pari a zero. Le loro parole d’ordine sono “rieducare e responsabilizzare”. I detenuti sono trattati come persone da recuperare, i loro diritti sono rispettati in tutto e per tutto e hanno anche dei doveri. Le celle sono singole e di 12 mq, con tutti i servizi igienici e senza sbarre, sembrano camere d’hotel. I detenuti ne escono la mattina e rientrano la sera e le chiavi le hanno loro. Ognuno è responsabile per se stesso. Durante la giornata studiano, lavorano, pagano le tasse con ciò che guadagnano, fanno sport e sedute psicologiche di gruppo. Sono liberi di girare per il carcere senza troppa sorveglianza. Gli agenti non sono armati, convivono con i detenuti alla pari e il 40% sono donne.
La formazione degli agenti carcerari dura 2 anni ed è incentrata su psicologia, criminologia, giurisprudenza, diritti umani ed etica. Ogni detenuto è affiancato da un agente che lo aiuta, all’avvicinarsi della fine della pena, a trovare lavoro e un alloggio una volta uscito dal carcere. Anche le pene sono più umane: niente ergastolo (tranne per genocidi o crimini di guerra) e il massimo degli anni da scontare è 21.
Perché è importante cambiare
Tutto ciò può allarmare, ma i fatti dimostrano che questo sistema è molto più efficiente del metodo punitivo che abbiamo in Italia. In Norvegia il tasso di recidiva è del 20%, una differenza abissale rispetto al nostro Paese. I suicidi nelle carceri sono un problema grave e non abbiamo i dati dei tentati suicidi o della situazione mentale dei nostri detenuti. Si può solo immaginare cosa voglia dire essere rinchiusi in un luogo di violenza, senza libertà e senza il rispetto dei diritti umani. Le nostre carceri sono come gli orribili allevamenti di animali in Cina, che fanno orrore a tutti. Quasi dei lager, senza la possibilità di lavorare. I detenuti non lasciano la via del crimine, nelle carceri imparano a delinquere ancora meglio, imparano che le minacce e la violenza sono la strada corretta, non conoscono altre vie. Sono queste le persone che vogliamo tornino in libertà? Questo non è il modo giusto per abbattere la criminalità. Riformare i detenuti, insegnare la via del lavoro onesto e delle responsabilità, insegnare a vivere da cittadini attivi è la via migliore per rendere la nostra società proiettata nel futuro.
Helena Rori