Migranti e illegalità: una correlazione scontata? Mercoledì 28 dicembre 2022 il governo Meloni approva un decreto-legge che rende ancora più difficoltosa l’azione delle ONG e soccorrere le persone migranti in mare diventa ancora più complicato. Domenica 26 febbraio 2023: un nuovo naufragio, al largo di Crotone, in Calabria. Un’imbarcazione con a bordo centinaia di persone si rompe in due e muoiono più di 60 migranti, che avrebbero potuto ricevere aiuto da parte della nave di Medici Senza Frontiere Geo Barents e, forse, salvarsi. Tale nave, però, aveva appena ricevuto un fermo amministrativo per non aver rispettato le regole approvate alla fine dello scorso anno. Il ministro dell’Interno Piantedosi afferma:
Rispetto a tragedie come quella di oggi, non credo che si possa sostenere che al primo posto venga il diritto e il dovere di partire, e partire in questo modo.
Domenica 28 febbraio 2023 si tengono le primarie del Partito Democratico, e ne esce vincitrice la nuova segretaria Elly Schlein, che nel ruolo di parlamentare europea – dal 2014 al 2018 – si è impegnata per attuare una riforma del Regolamento di Dublino, approvata al Parlamento ma poi bloccata dal Consiglio dell’Unione Europea. La riforma voleva creare una reale condivisione di responsabilità fra gli stati membri dell’Unione Europea, in modo da alleggerire i paesi di primo arrivo come l’Italia e garantire più diritti alle persone migranti, tra cui quello di poter scegliere in quale paese fare richiesta d’asilo. Ma, soprattutto, la riforma intendeva creare corridoi umanitari concreti e agevoli, per dare un’alternativa sicura a chi desidera spostarsi ma non può farlo legalmente perché non viene da un paese che rilascia un passaporto privilegiato. Come molte altre voci del centro-sinistra, Schlein ha chiesto le dimissioni del ministro Piantedosi, definendo le sue parole «indegne».
Ma perché migranti e illegalità sono due parole così strettamente legate? Perché il viaggio illegale è spesso l’unica scelta possibile?
Dire “migranti” non è come dire “rifugiati“. Si migra per moltissimi motivi, e negli ultimi anni una parte dell’antropologia ha messo in dubbio l’arbitraria divisione giuridica fra migranti economici e con possibilità di scelta da un lato, e migranti politici e forzati a spostarsi dall’altro. Spesso le ragioni che spingono le persone a partire non sono singole, ma molteplici, e si intrecciano rendendo complicato – addirittura inutile – decidere chi ha diritto d’asilo in Europa e chi invece dev’essere rimandato indietro, o criminalizzato.
Una gran parte del centro-destra in Italia sostiene di voler bloccare le partenze per salvare vite, ma il vero problema è alla base e spesso si nasconde sotto frasi slogan e poca conoscenza delle norme nazionali ed europee. Non sono i migranti che partono a creare illegalità, ma le leggi che impediscono a chi migra di farlo legalmente e in modo sicuro, creando così la necessità di prendere la via del mare. In modo illegale, ma soprattutto pericoloso.
Come tutti i sistemi di proibizione, impedire alle persone che non hanno un passaporto occidentale di entrare nell’Unione Europea per questioni economiche e lavorative non ferma il fenomeno delle partenze illegali, ma lo crea, perché chi vuole migrare parte comunque e viaggiare per mare diventa una delle poche opzioni percorribili. E questo sia per chi scappa da guerre e persecuzioni – per la poca efficacia dei corridoi umanitari – sia per chi si sposta perché il proprio paese non offre possibilità lavorative, e legittimamente sceglie di cercarle altrove, come fanno tanti giovani europei. Le politiche della frontiera, della paura, della divisione fra Nord del mondo privilegiato e mobile e Sud del mondo impoverito dal colonialismo obbligano le persone migranti non occidentali a rimanere nel vuoto istituzionale e forzatamente relegate all’illegalità . Non sono le persone migranti a sceglierla.
L’unico modo di evitare altre morti è quello di non criminalizzare più le persone che migrano senza privilegio occidentale, e ribaltare le norme securitarie e proibizioniste delle politiche della frontiera.
Debora Dellago