Oggi, 13 febbraio, si è celebrata la Giornata Internazionale dell’Epilessia. Un’importante occasione per promuovere la consapevolezza di una patologia tutt’ora soggetta a stigmi e discriminazioni.
Ogni anno, il secondo lunedì di febbraio, ricorre la Giornata internazionale dell’Epilessia. In tale occasione, i monumenti principali delle città si sono illuminati di viola, colore della lavanda, fiore simbolo dell’epilessia. Al pari di altre patologie, l’epilessia – sebbene sia più coretto parlare di “epilessie”- costituisce una condizione neurologica socialmente rilevante. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’ha riconosciuta come una malattia sociale.
Nonostante l’incidenza elevata di questa malattia sulla popolazione adulta (61,4 /100000 abitanti) e infantile ( 86/10000 abitanti), se ne parla ancora poco. Il mondo delle epilessie è circondato da una sorta di nebulosa, alimentata da ignoranza e pregiudizi. La tradizione popolare ha da sempre considerato l’epilessia come “un male sacro”, associandolo alla possessione demoniaca o alla malattia mentale. Questo retaggio culturale riesce ancora ad influenzare la percezione delle epilessie, ostacolando l’integrazione sociale delle persone che ne soffrono.
Oggi, pertanto, operatori e medici si sono radunati nelle piazze per promuovere un’informazione consapevole,riconoscere ed evidenziare i problemi affrontati dalle persone con epilessia e dalle loro famiglie. Per l’occasione, abbiamo intervistato la Dott.ssa Francesca Marchese, neuropsichiatra infantile presso l’Ambulatorio di diagnosi e trattamento delle epilessie e delle cefalee di Palermo. Consigliera della LICE (Lega Italiana Contro l’Epilessia), la la Dott.ssa Marchese si occupa da diversi anni anche di monitorare le criticità presenti in Sicilia e Calabria, per quanto riguarda, non solo la presa in carico dei soggetti con epilessia, ma anche la loro relativa integrazione sociale.
Intervista alla Dott.ssa Marchese: epilessia e società
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Abbiamo tutti sentito parlare di epilessia, ma, ancora oggi, è una patologia poco conosciuta ai più. Mi potrebbe brevemente spiegare a cosa ci si riferisce esattamente col termine epilessia?
L’epilessia è una condizione neurologica, legata ad un’improvvisa attivazione elettrica dei neuroni. Il termine deriva appunto dal greco “epilambanein”, ossia “essere colti di sorpresa”. Correttamente, non si dovrebbe parlare di epilessia, ma di epilessie. Esistono, infatti, più di 30 forme di epilessia, che si presentano con diverse intensità e sintomi. Per parlare di epilessia non è sufficiente la manifestazione di una sola “crisi”, ma è necessaria la comparsa di almeno due crisi epilettiche a distanza di 24 ore. Le cause possono essere diverse: le più frequenti sono strutturali, legate a malformazioni cerebrali o radici genetiche. Tuttavia, molte cause rimangono ancora da scoprire, ed è in questa direzione che si stanno dirigendo gli sforzi della ricerca. Le epilessie comportano una condizione cronica e, ribadisco, è importante sottolineare che una crisi epilettica non fa epilessia.
- Qual’è l’impatto reale di questa condizione clinica sulla qualità di vita delle persone?
L’impatto sulle persone varia sicuramente in base alla tipologia di epilessia di cui si soffre e alla sua intensità. A differenza di quanto si creda, nel 70% dei casi i soggetti possono condurre una vita normotipica grazie ad un trattamento farmacologico, e tenere sotto controllo le crisi. È importante sottolinare come non sia unicamente la terapia medica a influire sulla vita delle persone, ma, soprattutto, è l’impatto sociale a generare molte delle difficoltà. Le epilessie possono, infatti, essere definite, “malattie sociali”, poichè ad esserne coinvolti, non solo soltanti i pazienti, ma le famiglie, le scuole e i luoghi di lavoro. E sono l’ignoranza e la scarsa preparazione dei diversi attori sociali che possono sortire gravi conseguenza sui soggetti con epilessia.
- I luoghi comuni e pregiudizi che riguardano l’epilessia influiscono negativamente sulla vita dei soggetti che ne soffrono. Secondo lei, quali sono i più reticenti a sparire e perchè? Esistono delle strategie efficaci per contrastarli?
La causa principale di pregiudizi e stigmi è sicuramente la cattiva informazione. Si parla molto di epilessia, non in modo profondo. Sicuramente c’è tanta paura, legata alla repentinità delle crise epilettiche. Molti non sanno gestirle e mettono in atto interventi sbagliati che potrebbero danneggiare la persone. La credenza di dover mettere qualcosa in bocca al soggetto in preda ad una crisi, ad esempio, è scorretta. Bisogna semplicemente togliere gli oggetti pericolosi attorno, volgere la persona su un fianco e aspettare che la crisi passi. Ma sono in pochi a saperlo, e la paura della gestione di un evento così acuto e drammatico è fortemente radicata nelle persone. Questa paura induce tanti pregiudizi, che comportano,in molti casi, una marginalizzazione sociale dei soggetti con epilessia. Uno stigma ricorrente è quello che associa l’epilessia ad un disagio psichico e sostiente il binomio epilessia/disabilità intellettiva. Questa erronea convinzione comporta l’isolamento di molti ragazzi in età scolare (dovuto all’atteggiamento iper-protettivo di famiglie e insegnanti) o, addirittura, gravi discriminazioni sui luoghi di lavoro. Mi preme sottolineare che quest’associazione con la disabilità intellettiva non è vera: è una patologia che, a seconda dell’intensità, può impattare alcune funzioni, ma abbiamo delle terapie sintomatiche che aiutano a non fare venire le crisi. L’ignoranza ha dettato, inoltre, tutte quelle credenze che associano l’epilessia alla “follia” o, addirittura, alla possessione demoniaca. Purtroppo, sono convinzioni difficili da sradicare e, durante la mia carriera, mi è più volte capitato di avere a che fare con famiglie in cui ancora sopravvivevano i pregiudizi dettati dalla tradizione.
Una maniera efficace per contrastare lo stigma sono le campagne di sensibilizzazione nelle scuole e, come oggi, nelle strade delle città. Affrontare l’epilessia significa “affrontare” la società”. La paura va combattuta con la conoscenza, che deriva da una corretta informazione da parte delle figure competenti. Di epilessia se ne deve parlare, per questo abbiamo lanciato la campagna di sensibilizzazione #QuannuVeniSiCunta.
- Lei è una neuorpsichiatra infantile, quindi ha principalmente a che fare con bambini e ragazzi dai 0 ai 18 anni. Mi può illustrare le maggiori difficoltà sociali riscontrate dai giovani soggetti con epilessia?
Come accennavo poco fa, spesso non sono solo le crisi epilettiche in sè ad influenzare la vita dei bambini, ma il contesto sociale. Frequentemente accade che il bambino non venga accettato da chi lo circonda, o che verso di lui si sviluppino degli atteggiamenti iper-prottettivi da parte di familiari e insegnanti. Sono questi comportamenti a far sì che avvenga un ritiro sociale: lo scarso investimento sulla formazione dei bambini e l’aura di paura che li circonda, possono far scadere il loro rendimento e spingerli ad isolarsi. Spesso, gli insegnanti interdicono a bambini e ragazzi lo svolgimento di attività sportive. Anche in questo caso, a guidarli è l’ignoranza e la paura. Ripeto, con la diagnosi e il farmaco giusto i soggetti possono raggiungere una libertà da crisi nella maggior parte dei casi. È bene, pertanto, informare correttamente insegnanti e familiari, e adottare piccole accortezze utili a diminuire l’esclusione sociale. Per esempio, io evito di far prendere i medicinali negli orari scolastici ai miei assistiti, per evitare che già questo sia un momento di disagio per il bambino. È, inoltre, importante responsabilizzare tutti i bambini presenti nella classe, affinchè si possa collaborare in maniera efficace per gestire eventuali crisi epilettiche, senza lasciarsi sopraffare dalla paura.
La campagna di sensibilizzazione serve a questo, a parlarne e diffondere un’informazione consapevole. Al di fuori della Giornata Internazionale di oggi, come ASP stiamo organizzando formazioni nelle scuole, per garantire un’adeguata preparazione di insegnanti e alunni. La LICE, inoltre, ha messo nel sito un materiale divulgativo gratuito, “Epilessia a scuola”: racconta cosa sono le crisi, come gestirle, illustra le tecniche di primo soccorso e spiega, ad esempio, cos’è un elettrocenfalogramma.
- Abbiamo parlato delle difficoltà legate al contesto scolastico: mi potrebbe parlare adesso delle problematiche che insorgono nelle famiglie dei soggetti con epilessia?
Le famiglie dei miei ragazzi sono per lo più impreparate. Non è una colpa: come ho già detto, di epilessia si parla poco e male. Molti genitori arrivano spaventati, non sanno come affrontare la situazione. Il nostro diventa non solo un lavoro prettamente medico, ma dobbiamo intervenire al fine di formare un intero contesto sociale: è un lavoraccio. Bisogna, innanzi tutto, far accettare la situzione ai familiari, altrimenti il percorso terapeutico può divenire estremamente difficoltoso. Ad esempio, le famiglie si devono convincere dell’importanza di far assumere correttamente e con regolarità i farmaci ai figli. Molti adolescenti rifiutano di prendere i farmaci, ed è fondamentale che, sia gli operatori che i familiari, riescano a spiegarli come, nonostante tutto, sia possibile condurre una vita normalissima. Proprio per questo nel nostro ambulatorio prendiamo in carico tutta la famiglia. Molti genitori, inoltre, hanno difficoltà nell’accettare o ammettere che il bambino abbia bisogno di sostegno. Fanno fatica a parlarne, forse anche per la paura e, in molti casi , subentrano i sensi di colpa, ci si sente inadeguati. Ma, come ripeto sempre loro, sono i genitori i veri eroi. Nei casi più complessi, come nelle forme farmacoresistenti, si ritrovano a gestire delle situazioni davvero difficili, le quali richiedono una forza di
volontà e coraggio ammirevoli.
- Gli stigmi possono influire negativamente sulle persone con epilessia anche in età post-scolare. Che difficoltà possono insorgere, ad esempio, nell’interfacciarsi col mondo del lavoro?
Sicuramente, alcune delle discriminazioni più rilevanti nei confronti delle persone con epilessia si verificano proprio nel mondo lavorativo. La scarsa attuazione delle norme contenute nella Legge vigente relativa all’occupazione dei disabili, fa si che il tasso di disoccupazione sia più elevato nei soggetti con epilessia rispetto al resto della popolazione. In termini generali l’epilessia non impedisce di per sè lo svolgimento di una normale attvità lavorativa, ma, pregiudizi e disinformazione, precludono spesso l’assunzione di persone con epilessia. Diversi studi ufficiali hanno dimostrato come molti lavoratori e lavoratrici evitano di dichiarare di soffirre di epilessia, per il rischio di venire discriminati. In questo modo si espongono al licenziamento in caso di crisi epilettiche (soprattutto per quanto riguarda le aziende di piccole dimensioni), o alla mancata copertura assicurativa in caso di incidenti sul lavoro. Quello che a me spaventa è il ritiro sociale dei soggetti interessati, causato dalla paura dei pregiudizi e discriminazioni. Si viene a creare così una spirale, in cui lo stigma spinge le persone con epilessia ad isolarsi, e, in questo modo, ad intensificare la cortina di silenzio e disinformazione sulle epilessie. Gli effetti possono essere devastanti, andando ad intaccare non solo il piano lavorativo, ma anche quello sociale ed emozionale.
- Esistono criticità nella presa in carico delle persone con epilessia nei percorsi diagnostico terapeutici? Questi vengono formalizzati in PDTA regionali? Esistono delle differenze sostanziali a livello interregionale?
Qui in Sicilia ci stiamo attivando per avviare dei PDTA regionali (Percorsi diagnostici Terapeutici) che già esistono a livello nazionale in regioni come l’Emilia, Toscana, Veneto… Serve però anche una legslazione adeguata, tutt’ora carente. Ci sono alcune difficoltà legate all’accesso ad alcuni farmaci, a volte più difficlemtne reperibili qua in Sicilia rispetto ad altre regioni del nord Italia. Ci sono criticità, ma stiamo cercando di fare rete tra le varie province, per poter capire quali sono le strutture a disposizione ed organizzare i PDTA. Stiamo lavorando per evitare alle famiglie di compiere costosi viaggi fuori regione per riuscire ad accedere ai centri e alle teconologie più avanzate. Proprio per questo motivo sono tornata a Palermo. Ho lavorato per 3 anni a Genova, ma mi sono resa conto che tantissima gente continuava a venire su, in cerca di cure adeguate. Adesso, assieme ai colleghi nelle altre province, stiamo cercando di mettere in moto una collobarazione efficiente a livello ragionale, al fine di costruire una solida rete a sostegno delle persone con epilesssia anche qua in Sicilia.
- Informazione consapevole e responsabilizzazione: queste sono le direttive principali per affrontare l’impatto sociale delle epilessie. A tal proposito, lei è stata promotrice della campagna #QuannoVeniSiCunta, che, al di là della giornata di oggi, si propone degli obbiettivi a lungo termine.
Sì, sono molto soddisfatta del lancio di questa campagna: per la prima volta Palermo ha partecipato alla Giornata Internazionale dell’Epilessia, assieme ad altri 26 comuni nel palermitano. È un grandissimo passo in avanti per quanto riguarda la Sicilia. La campagna non deve però fermarsi qui, ma diffondersi e continuare in maniera sistematica, per ricordare che dobbiamo parlare. Parlare per ridurre la paura, per sfatare le false credenze e demolire le idee sbagliate sull’epilessia. Questo può aiutare a ridurre lo stigma e la discriminazione affrontati giornalmente dai bambini e dalle persone che vivono con l’epilessia. A costoro devono essere garantite le stesse possibilità e diritti di tutti gli altri. La paura va combattuta, con le corrette informazioni e la conoscenza: come diciamo in siciliano Quanno Veni, Si Cunta (“quando arriva, si racconta”).
- Grazie Dott.ssa per la sua disponibilità e averci fornito una panoramica completa sulle questioni mediche e sociali relative alle epilessie.
Grazie a voi, è stato un piacere.