Sono 26 le persone morte negli oltre 300 incendi boschivi in Cile durante le ultime settimane. Più di 300.000 ettari di terra bruciati. Ci sono anche responsabilità politiche.
È un bilancio drastico quello che riguarda gli incendi boschivi in Cile delle ultime due settimane: le regioni nel sud del paese (Valparaíso, Bìo Bìo, La Araucanìa, Ñuble, Los Rìos, Los Lagos) sono state colpite da circa 320 incendi che hanno bruciato oltre 300.000 ettari di territorio (ovvero 3000 chilometri quadrati di superficie, circa l’estensione della Valle d’Aosta). Sono almeno 26 le persone morte a causa di questa catastrofe, 2180 invece i feriti. Più di 1500 abitazioni sono state distrutte secondo gli ultimi aggiornamenti e ci sono oltre 3000 sfollati. I dati si aggravano con il passare dei giorni.
L’estate cilena deve fare i conti con una lunga siccità che affligge questi territori da ormai 14 anni. A causarla non sono stati esclusivamente eventi naturali, dal momento che cambiamento climatico e attività di deforestazione (oltre alle temperature estive molto alte, intorno ai 40 gradi) hanno causato gravi squilibri climatici. I venti provenienti dalla Patagonia e dall’Oceano Pacifico (condizione metereologica denominata dagli esperti “La Niña“) hanno ulteriormente destabilizzato la situazione.
In questo contesto di estrema difficoltà, sono emersi alcuni malfunzionamenti della macchina pubblica per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche. Le azioni di contrasto agli incendi hanno riscontrato la mancanza di un elemento imprescindibile: l’acqua.
La situazione nel paese
Gli incendi che dal 2 febbraio hanno colpito le regioni meridionali del Cile sono di una gravità eccezionale. Solo nel 2017 il paese aveva affrontato una situazione altrettanto disastrosa, con quella che era stata definita “tempesta di fuoco”.
Per far fronte agli incendi sono stati dispiegati oltre 6000 vigili del fuoco. Molti di loro sono volontari, altri appartengono al Corpo forestale nazionale cileno. Sono stati e saranno inviati aiuti internazionali (personale, mezzi o materiale) da Stati Uniti, Spagna, Argentina, Messico, Venezuela e Francia. L’Unione Europea ha attivato il Meccanismo Europeo di Protezione Civile e ha inviato personale esperto e fondi da destinare alla Croce Rossa cilena.
Il Governo cileno ha annunciato lo stato di emergenza per le zone più colpite, mentre il Ministro dell’Interno, Carolina Toha, ha affermato che i territori bruciati in quest’ultima settimana equivalgono a due anni di incendi in condizioni “ordinarie”. Un paragone decisamente impressionante.
I settori più colpiti sono stati quello agricolo e quello del legname. Le regioni a sud di Santiago, la capitale, sono le zone maggiormente coltivate, nonostante il territorio prevalentemente montuoso del paese limiti in parte la messa a coltivazione.
L’accesso alle risorse idriche è politicamente limitato
I vigili del fuoco e i volontari che stanno cercando di limitare il propagarsi degli incendi hanno riscontrato difficoltà nell’accesso alle risorse idriche del paese. In Cile l’acqua è una risorsa tanto preziosa quanto contesa, fin dai tempi della dittatura di Augusto Pinochet: negli ultimi anni sono stati fatti dei progressi ma l’emergenza attuale ha reso evidente il problema della gestione delle risorse idriche da parte dell’amministrazione pubblica.
Superate le grandi privatizzazioni portate avanti da Pinochet negli anni ’80, superate le proteste del 2019 e conclusi i lavori per una nuova costituzione cilena nel 2022 (il paese è attualmente guidato dal presidente socialista – e progressista – Gabriel Boric), il tema della gestione dell’acqua rimane aperto. Dai tempi di Pinochet, questa risorsa è regolata attraverso il neo-liberista Water Code (1981).
Con il passare del tempo, la commercializzazione dell’acqua ha creato gravi squilibri sociali all’interno del Paese. Tra grandi sprechi, mancanza di approvvigionamenti e crisi climatica in corso, lo Stato cileno deve trovare una soluzione urgente per una gestione pubblica dell’oro blu quanto più equa e democratica possibile.
Le fiamme degli incendi non aspettano la politica.
Luca Oggionni