Gennaio, si sa, è per antonomasia il mese dei nuovi, buoni propositi, della riorganizzazione esistenziale e della ripartenza. Capoverso della propria biografia composta da 365 pagine, nel primo mese del calendario si crede di poter piantare le basi per un anno migliore di quello appena concluso. E, a proposito di piantare, se alla volontà di evolvere positivamente si somma quella di aderire a uno stile alimentare più sano ed etico, rispettoso degli elementi animali e vegetali, ecco che balena alla mente la prospettiva del Veganuary. Si tratta di una delle più celebri e abbracciate sfide degli ultimi anni, composta dalla crasi dei termini anglosassoni vegan e genuary.
Il Veganuary e la sua diffusione sui social network
Il Veganuary, neologismo che sta ad indicare una mescolanza tra il primo mese dell’anno e una alimentazione rigorosamente sguarnita di derivati animali, nasce insieme alla tendenza delle sfide on line. È nel 2014, infatti, che sulle piattaforme di tutto il mondo compare la prima challenge. Non si tratta di innocue gare lanciate da amici buontemponi, ma di vere e proprie competizioni guidate da chi coi social network ci lavora. Generalmente, infatti, sono content creator specializzati a mettersi alla prova in challenge stimolanti, poi riprodotte dai loro seguaci. Basterà lanciare un video o un post sui social, accompagnarlo con delle chiare linee guida relative alle regole del gioco e sfidare gli utenti a ripetere l’azione. Ricorderemo tutti la prima, epocale sfida on-line: la Ice bucket challenge. Una secchiata d’acqua gelida versata in testa, scena rigorosamente ripresa e poi postata.
Al netto della antesignana sfida, contraddistinta da una volontà solidale, le challenge hanno carattere propriamente ludico e scanzonato. Nel proverbiale caso del Veganuary, si sfida principalmente la propria pertinacia, indirizzandola verso il consumo di cibi e scelte etici. Per 31 giorni, infatti, i competitori dovranno alimentarsi con prodotti vegetali, escludendo tutto ciò che di derivazione animali potrebbe esserci in tavola. Moltissimi, infatti, nel mese di gennaio, gli influenzer che, soprattutto nelle stories di Instagram, si cimentano in piatti colorati e stuzzicanti, rendendo anche più allettante una cucina che, senza estro, apparirebbe povera e non molto gustosa.
La nascita di un nuovo stile di vita più etico
Sembra quasi il nome di un personaggio fantasy, il Veganuary, ma nulla ha a che vedere con la fantascienza. Al contrario, scegliere di assegnare al tono della propria quotidianità un’impronta empia di principi etici, significa essere consci dello stato di salute dell’universo che abitiamo. L’allarmante siccità degli ultimi anni, la deforestazione selvaggia, valanghe assassine, temperature in picchiata, bagni al mare in inverno e tutta una serie di contraccolpi alla crisi climatica che stiamo attraversando, destano, chiaramente, apprensione nei più.
Se a questo aggiungiamo l’ormai nota casistica di sfruttamenti sugli animali, molti dei quali a rischio estinzione, capiremo bene la decisione presa nel 2014 da un organizzazione no profit britannica di istituire un movimento artefice della challenge. Alla sua nascita, l’Organizzazione contava già 500 mila adepti, numeri esponenzialmente cresciuti negli ultimi anni. Basti pensare che nel 2022 hanno aderito all’iniziativa ben 629 mila persone in 228 Paesi, rendendo il Veganuary un fenomeno globale. Tra questi anche moltissimi personaggi del mondo dello spettacolo, come Joaquin Phoenix, Chris Smalling, Billie Eilish, Famke Janssen.
Mangiare vegano per ridare benessere al pianeta
Molte parole sono state spese sul tema anche da medici ed esperti, soprattutto per rispondere alle generali perplessità relative a una ipotizzabile carenza nutritiva. In realtà, levando dagli occhi la benda dello scetticismo, quella vegana è una dieta ricca di benefici perché sana e bilanciata. Primariamente prevede di rinunciare ai prodotti di origine animale, ma anche a quelli ricchi di grassi e zuccheri raffinati. In sostituzione dei nutrienti animali, molti legumi, frutta e verdure, oltre ai derivati della soia, come tofu e tempeh, e il seitan.
Oltre ai benefici fisiologici e alla protezione degli animali, sono innegabili poi i circuiti virtuosi che potrebbero crearsi nei confronti della salvaguardia ambientale. Intervenire sulle proprie scelte alimentari, infatti, provocherebbe una importante riduzione delle emissioni di gas serra originati dagli allevamenti. Analisi condotte dalla FAO, mostrano, infatti, che gli allevamenti intensivi cagionano, da soli, il 14,5% delle emissioni globali di gas serra.
Il fenomeno in Italia
Singolare, nell’esplosione del fenomeno Veganuary, appare il caso italiano. Nel Paese de “La Grande Bellezza”, aggettivo che non esclude affatto l’estetismo culinario, la tendenza ha preso un inaspettato piede. Qui, dove il connubio eno-gastronomico è un sacrosanto vettore di attrazione turistica e la cucina si tramuta in ottava arte, trovare uno dei suoi capoluoghi in vetta alle adesioni, crea sconcerto. Milano, infatti, con la sua connaturata predisposizione a inseguire tutto quel che è à la page, si guadagna una medaglia di bronzo nella classifica, stilata nel 2022, dei Paesi con maggiori adesioni alla sfida, preceduta da Santiago del Cile e Londra.
In realtà, questo guiderdone non dovrebbe stupirci molto. La città, mettendo en passant la sua carta di identità globalizzata e modaiola, si situa pur sempre nel Paese che ha ideato la dieta Mediterranea. Questa, più che un regime alimentare, è un invito a mangiare sano, riducendo il consumo di carne e cibi raffinati e aumentando, invece, il consumo di frutta, verdura e alimenti non processati.
Il Veganuary è un cambiamento di vita totale
Non sarà di certo la modifica temporanea della propria dieta a ridare salubrità al pianeta. È, però, sicuramente un monito positivo, rivolto soprattutto ai più scettici. La volontà degli ideatori del Veganuary, infatti, non è quella di convertire il mondo al veganismo, ma di renderlo più consapevole delle ricadute ambientali ed etiche delle proprie scelte quotidiane. Non si tratta, infatti, di consumare solo burger vegetali e proporre frullati di frutta e verdure. Il cambiamento deve essere radicale. Indubbio è il maggior consumo di alimenti vegetali e la riduzione di carne e derivati animali, ma negli altri campi come siamo messi?
Una ricerca condotta nel 2021 da Cortilia, l’e-commerce che consegna a domicilio prodotti a filiera corta, mostra come più di 1 intervistato su 3, quindi quasi il 35%, abbia dichiarato di consumare frutta o verdura fuori stagione e di non sapere come smaltire correttamente alcuni rifiuti. Molti di questi non sono disposti a riutilizzare gli avanzi, buttando nella pattumiera il cibo non consumato. All’anonima spesa del supermercato, spesso dettata anche da ritmi frenetici e giornate piene, sarebbe poi auspicabile sostituire un approvvigionamento al mercato rionale o da produttori locali, approfondendo, quando possibile, l’intera filiera insieme al venditore. Questi, e altri piccoli accorgimenti, potrebbero realmente fare la differenza, trasformando la moda del momento in una ormai inderogabile attenzione verso il nostro, sofferente pianeta.