Viene ancora dichiarata assente, nei registri delle scuole italiane, l’educazione sessuoaffettiva.
Nonostante le 16 proposte di legge succedutesi dal 1977 ad oggi, parlare di educazione sessuale e affettiva nelle scuole rimane un insuperabile tabù. Affiancata dalle consorelle europee Cipro, Polonia, Romania, Lituania e Bulgaria, in Italia non è obbligatorio formare i giovanissimi sui temi della prevenzione e dei comportamenti responsabili nella sfera sessuale. Sul contraltare, dati allarmanti su gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili, nonché un rapporto incongruente e spesso frustrante con il sesso.
Educazione sessuale, definiamola
Il fattore x della comprensione di un fenomeno è, usualmente, la circoscrizione dei suoi margini. Ha tentato di rispondere alla richiesta di precisazione circa l’educazione sessuale l’Unesco, che, nel 2009, redige l’ International Technical Guidance on Sexuality Education. Nel testo del prontuario, la materia viene definita “un approccio, adeguato all’età e alla cultura, nell’insegnamento riguardante il sesso e le relazioni attraverso la trasmissione di informazioni scientificamente corrette, realistiche e non giudicanti”. Non un manuale su come si struttura un rapporto sessuale, quindi, come i reticenti conservatori continuano a credere, ma un’esegesi metodica su uno degli aspetti prominenti della vita di ogni individuo. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, in aggiunta, sottolinea come un consolidamento delle nozioni circa l’educazione sessuale offra ai giovani, durante la loro costruzione identitaria, sia l’occasione di indagare i propri valori, sia la capacità di sviluppare le competenze deliberative e comunicative necessarie anche a ridurre i rischi.
L’educazione sessuoaffettiva: un’osmosi
Insegnare i cardini della sessualità, prescindendoli dalle emozioni, risulterebbe, tuttavia, infruttuoso. La prima è senza dubbio un perno fondante nella vita degli individui, comprensiva del sesso ma anche dell’erotismo, senza tralasciare l’importanza dell’intimità e del piacere, climax a cui tendere e non materia di biasimo. Oltre all’aspetto puramente fisico, nella sfera sessuale rientra finanche la concreta evoluzione dell’identità, dei ruoli di genere e dell’orientamento sessuale. Parlare di sesso disgiungendolo dalle emozioni, rischierebbe, però, di diventare un’arma a doppio taglio.
Educare i giovani all’affettività, oltre che al sesso responsabile, significa indirizzarli verso il rispetto reciproco, l’accettazione dei sentimenti dell’altro e la capacità di elaborare dei “no”. Si materializza con la comprensione del consenso, la percezione dei bisogni e dei desideri e la cognizione degli stati d’animo. L’educazione all’affettività ha, pertanto, tra le finalità principali, quella di sviluppare una sana intelligenza emotiva, partendo dalla consapevolezza delle proprie sensazioni, dal dominio dei propri impulsi e il discernimento circa le conseguenze delle proprie azioni. Diventa allora inoppugnabile il peso dell’educazione affettiva, strumento che potrebbe diventare il deus ex machina nella prevenzione della violenza di genere.
L’astrusità del raccomandato ma non obbligatorio
Perseverante habitué delle raccomandazioni e dedita al disimpegno di fronte agli atti giuridici vincolanti, l’Italia non ha mai adottato una legislazione concreta sull’introduzione dell’educazione sessuoaffettiva nelle scuole. Nel nostro Paese il primo a proporre un disegno di legge nella materia fu Giorgio Bini, esponente dell’allora Partito Comunista, il 13 marzo 1975. Si sono poi succedute circa 16 proposte, provenienti perlopiù dalle frange politiche di sinistra, senza però mai superare il vaglio del sistema binario italiano.
In una piramidale gerarchia connotata da abulico pilatismo, viene demandata direttamente alle singole regioni la possibilità di destinare fondi per i programmi di educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole. Ancora più in basso alla scala, qualora fortunati progetti dovessero realmente essere approvanti, spetterà ai dirigenti scolastici renderli attuabili e attuativi, nominando i specialisti che se ne dovrebbero occupare. Finisce così che “le parole greche se ne vanno senza legge nella Terra di Ausonia” producendo, poi, un nulla di fatto.
Piccoli già grandi
Nella agenda politica non pare, dunque, comparire sotto la voce “urgenze” l’educazione sessuoaffettiva. Eppure, le statistiche hanno ripetutamente strillato lo stato delle cose: l’età del primo rapporto sessuale si sta progressivamente abbassando. Tra gli intervistati dalla Società Italiana di ginecologia e ostetricia, più di un terzo degli oltre 1.000 giovani under 20 interrogati, ha dichiarato la propensione a consumare il rapporto già dopo il primo incontro. Parliamo di ragazzi che spesso non hanno compiuto il quindicesimo anno di età. Dalle indagini emerge chiaro che solo il 39% dei giovani usa abitualmente il preservativo, re indiscusso della contraccezione, mentre il 37% di loro ritiene inutile l’utilizzo combinato di pillola e preservativo e il 14% li considera un ostacolo al rapporto.
Non c’è da stupirsi se la maggiore preoccupazione che accomuna i giovani concerna le gravidanze indesiderate, ma pochi di loro pensino anche a proteggersi dalle malattie sessualmente trasmissibili, di cui l’unica più comunemente conosciuta è l’AIDS. Invero, al netto del virus che ha sconvolto la sessualità negli anni ’90 e oggi, fortunatamente in discesa, le MST in drammatica crescita sono la condilomatosi – che, ogni anno, conta 250 mila nuovi casi – e la clamidia. Infezioni che, sebbene non eccessivamente pericolose, intaccano considerevolmente il benessere fisico e psicologico e che, se non riconosciute e ben curate potrebbero incidere anche sulla fertilità.
La buona prassi della Francia
Sulle orme della progressista Svezia, che ha anticipato i tempi introducendo l’educazione sessuoaffetiva nei programmi scolastici già nel 1955, in Francia diventa materia obbligatoria nel 1998. Da ultimo, il presidente Emmanuel Macron, ha annunciato la gratuità, in vigore dal 2023, dei preservativi per le giovani generazioni. Un incentivo ulteriore all’utilizzo di uno strumento di prevenzione e contraccezione che sembra ormai in disuso, corroborando un contrasto al proliferarsi di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate non ancora, a bene vedere, del tutto efficace. In un Paese come l’Italia, dove fino a due anni fa questi prodotti di fatto non si potevano neanche pubblicizzare liberamente, iniziare a prendere consapevolezza della necessità di aprire un dibattito coscienzioso e risoluto sul tema, sarebbe già una piccola rivoluzione.