– Di Sabatina Napolitano –
Tiziana Ferrario conduttrice, scrittrice, giornalista del tg1 e inviata speciale (in Iraq, Afganistan, Pakistan, Uguanda, Darfur, etc) pubblica per Chiarelettere un romanzo dal titolo “La bambina di Odessa” (pagg. 240, 18.00 euro) per raccontare la vicenda di Lydia Franceschi. I provenienti del libro sono destinati alla Fondazione Franceschi.
Tiziana nella raccolta di fonti, scritti e atti è stata aiutata dalla figlia di Lydia, Cristina Franceschi (che le fornisce documenti dall’archivio della Fondazione Franceschi), dagli autori del libro “Perché non sono nata coniglio” edito Alegre curato da Claudio Jampaglia, da Daniele Biacchessi (autore del libro “Roberto Franceschi. Processo di polizia”), dall’avvocato Marco Janni, legale della famiglia Franceschi e da tanti altri che hanno collaborato alla ricostruzione di questa storia che ha caratterizzato un momento tormentato del nostro paese.
Dopo il prologo, seguono quattro parti e poi i ringraziamenti: la prima parte (Odessa), la seconda (Milano), la terza (la stagione delle bombe), la quarta (morire a vent’anni). La domanda a cui rispondiamo leggendo questo romanzo è sicuramente legata all’affermazione di Lydia “non si può vivere nell’odio. Non si semina niente”, eppure dall’inizio sembra non essere solo una storia di perdono e di grandezza d’animo. Il romanzo risponde a delle domande ben più profonde sui destini, come il problema delle aspettative delle donne italiane dal primo dopoguerra ai giorni nostri, così come la riflessione intorno alla dignità di essere al mondo, donne, libere, e per molte, madri.
Il romanzo risponde quindi sì alla questione del femminismo italiano, e della lotta partigiana, ma interpella anche le questioni legate alla burocrazia, ai media, al sistema universitario così come a quello giudiziario. Ed è in queste prospettive critiche etico-sociali che può collocarsi questo grandioso racconto. Così la battaglia per la liberazione femminile e le pari opportunità non è solo una questione di orizzonti e approdi, ma è un fatto basale perché la resistenza è una ideologia di partenza senza la quale non è possibile realmente affrontare un discorso di senno. Dialogo, accettazione del diverso, difesa della pace e dei più deboli, sono strumenti della libertà che ognuno ormai, dovrebbe avere in dotazione da diversi secoli. Ed è per questo che la ricerca della giustizia nel conoscere le cause della morte di Roberto Franceschi è legata alle lotte delle donne per la Resistenza, ma non solo, anche alla difesa dei diritti per gli alunni -soprattutto quelli con handicap- (la scuola ha un ruolo non marginale nella storia di Lydia).
Tiziana racconta i suoi incontri con Lydia come in un diario. Ed è anche il registro colloquiale usato a rendere il racconto più toccante. Lydia Franceschi: staffetta partigiana, preside, madre e simbolo di una donna che usa il tempo come strumento di giustizia, democrazia e libertà senza odio, senza brutture. Trasformare il dolore è di certo possibile, ed è l’unico corridoio percorribile per chi non vuole passare la sua vita nell’inferno del rancore e della rabbia. Anche se il problema fondamentale di un omicidio dello stato senza spiegazione alcuna è il problema della violenza e della repressione. (E in questo il rimando è calzante ai fatti che stanno accadendo in Iran per la repressione del regime). È evidente che il docu-romanzo rimanda a storie giudiziarie che si ricollegano agli ideali studenteschi e non solo. La questione delle contestazioni non esiste perché non essendo in uno stato totalitario ma libero e democratico, i giovani e i lavoratori possono contestare e sono liberi di farlo. La riflessione è fissata sull’utilizzo della violenza verso chi liberamente sta manifestando un dissenso, di qualsiasi natura sia. È lo strumento della violenza ad essere strumento di guerra, così come strumento di guerra lo sono anche i depistaggi, i silenzi, la giustizia italiana che non c’è. Resilienza e coraggio sì, ma soprattutto difesa dei diritti.
Il 23 gennaio 1973 è una data per tutte le donne e per tutte le madri, mai più quell’orrore. Mai più strategia della tensione e lotta armata. Il fatto che il nostro passato di Resistenza sia stato così carico di violenza questo è forse dovuto ad una proiezione per cui agire era molto più importante di analizzare, perché reprimere non ha una descrizione sentimentale ma è solo violenza. L’azione senza analisi (forzata e a tutti i costi) così come la mancanza di dominio di sé, di capacità di controllare gli eventi con contrapposizioni (senza rifiutare le diversità, le disuguaglianze) è indice di un passato troppo burrascoso per continuare ad essere interpellato se non nella chiave dell’insegnamento. Ed è in quest’aura che appare la testimonianza intensa di Lydia, come protagonista riuscita e interessante di un passato di azione che però ha interessato tutte quelle vere esperienze di conversione di un paese, l’Italia dal primo dopoguerra, troppo estremista per comprendere che il cambiamento morale passa per l’integrazione, la normalizzazione degli elementi democratici, il ricorso alle soluzioni civili. In questa ottica il romanzo va a formare quello che è una coscienza civile, una identità consapevole per cui accanto alle parole “vittime innocenti” esistono quelle della “normalizzazione dei diritti chiesti dal movimento femminista”, “libertà di manifestare dissenso e opinioni diverse”.
Femminicidi, abusi di potere, piazze e tribunali pieni di opportunistiche manifestazioni di diritti privati dati in pasto alla giustizia italiana, fino a quando la storia “chiude un occhio” difronte a un delitto. È contro questo “chiudere un occhio” che le donne ancora gridano la loro liberazione. Ed è impensabile che questo accada mediante un meccanismo violento. La violenza appartiene al mondo animale. La libertà di espressione non può essere affidata come ad una propaganda semplicistica ma è una intenzione sempre più contagiosa che permea i nostri immaginari, i rapporti personali, i discorsi comuni, non più come una materia prelibata ma come una realtà della comunicazione (per questo contenente rispetto, gentilezza, empatia e apertura mentale).
La storia di Lydia è quella di una umanità viva, che raccoglie le buone ideologie per farne un patrimonio normalizzato, comune, dove ciò che ancora sembra traguardo è invece la normalità degli esseri dotati di ragione.