Si è svolto ieri il terzo ed ultimo incontro di Mediterranea Saving Humans – Mediterranea in Formazione – con l’avvocato Andrea Pappalardo esperto di diritto del mare e attivista di Mediterranea. In questo ultimo incontro si è parlato principalmente di alcuni riferimenti normativi di diritto internazionale, ovvero quegli accordi, convenzioni che disciplinano gli obblighi tra Stati.
In assenza di vie sicure e legali verso paesi rifugio in cui poter ricostruire la propria vita, i migranti che rischiano la vita per attraversare il Mediterraneo verso l’Europa su fragili imbarcazioni spesso pilotate da trafficanti di esseri umani corrono un rischio di morte maggiore ora che da anni. La questione del salvataggio dei rifugiati in mare è diventata di importanza globale.
I dati dell’UNHCR mostrano che lo scorso anno ci sono stati 3.231 morti o dispersi in mare, un forte aumento rispetto al 2020. Il bilancio delle vittime dei naufragi dello scorso anno è alla pari con il 2014, anche se quasi il doppio delle persone ha attraversato il mare verso l’Europa otto anni fa, quando l’esodo di coloro che fuggivano dalla guerra in Siria era al culmine.
Finora quest’anno l’OIM ha segnalato 1928 migranti morti o dispersi nel Mediterraneo. Complessivamente, l’OIM afferma che 24.871 migranti sono morti o scomparsi nel Mediterraneo dal 2014, con il numero reale che si ritiene sia ancora più alto dato il numero di naufragi che non vengono mai denunciati.
Di fatti il Mar Mediterraneo negli ultimi 9 anni ha visto morire circa 25mila persone una grossa parte dei quali ha perso la vita nella parte direttrice centrale, (ricordiamo che sono tre le direttrici: orientale, occidentale e centrale). L’area che più ci interessa in termini di numeri, quella che più ci tocca da vicino.
La situazione è una tragedia diffusa, di lunga data e ampiamente trascurata
Quando si parla di migrazione di attraversamento del Mediterraneo si pensa sempre alla stessa rotta: alla partenza dalla Libia e all’arrivo in Italia, ma soprattutto è considerato un fenomeno recente, legato all’attualità, in particolar modo agli ultimi decenni. Va sottolineato che c’è una lunga storia di migrazione attraverso il Mediterraneo.
La mobilità umana in tutte le direzioni attraverso il Mediterraneo si verifica da migliaia di anni. Più di recente, almeno dalla metà degli anni ’90, migliaia di persone ogni anno hanno attraversato il Mediterraneo in barca dalle coste settentrionali dell’Africa e della Turchia per chiedere asilo o per emigrare in Europa. Va notato che il Mar Mediterraneo è il luogo in cui la migrazione irregolare verso l’Europa è più visibile. Il viaggio verso l’Italia si è confermato essere il più pericoloso.
Più di tutto quando si parla delle ragioni per cui le persone si mettono su una barca e cercano di attraversare il Mediterraneo spesso si dimentica di considerare quelli che sono chiamati push factors. Ovvero i fattori che spingono alla migrazione, ragioni che possono essere economiche, climatiche, politici, culturali o una combinazione di essi. E soprattutto quando si parla di ragioni si sottovaluta il ruolo che l’Europa ha nel creare queste fattori che spingono alla partenza.
Il dovere del soccorso in mare dei rifugiati nel diritto internazionale
Le regole e le leggi che regolano il soccorso in mare: ciò che sembra un’azione naturale – soccorrere la gente in mare che si trova in pericolo – è regolato da leggi ben precise. Una consuetudine diventata a sua volta prassi, un valore codificato, normato, disciplinato.
Dove avviene questa attività di servizi di ricerca e soccorsi? Nelle zone SAR. Assieme a queste regolamentazioni vi sono anche la suddivisione del mar mediterraneo in zone SAR che altro non sono delle convenzioni degli accordi fatti tra gli Stati che circondano il Mar Mediterraneo. Le zone SAR (Search and Rescue) che ricordiamo significano zona di ricerca e soccorso che sono affidati a degli Stati diversi. Nello specifico cosa regola gli obblighi nelle zone SAR e quali sono le normative che regolano il soccorso in mare.
Con L’avvocato Andrea Pappalardo si è parlato principalmente di alcuni dei riferimenti normativi di diritto internazionale. Quindi quegli accordi tra Stati, quelle convenzioni che disciplinano gli obblighi reciproci tra Stati. Obblighi alcuni vincolanti alcuni no.
L’obbligo di soccorso in mare deriva da una consuetudine di solidarietà marina e da convenzioni internazionali.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati non impone alcun obbligo agli Stati firmatari di soccorrere i rifugiati in mare ed è una caratteristica consolidata del diritto internazionale che gli Stati nazionali possano controllare l’accesso al proprio territorio. Tuttavia, esiste anche un’usanza di lunga data di fornire assistenza in mare. Il dovere di farlo ha raggiunto lo status di diritto internazionale consuetudinario ed è sancito in tre Convenzioni internazionali vincolanti che affrontano la questione.
Le tre convenzioni svolgono funzioni diverse, ma tutte impongono un dovere generale di soccorrere coloro che si trovano in pericolo in mare, e prevedono che gli Stati parte istituiscano operazioni di ricerca e soccorso.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, 1982), La Convenzione Internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare (Convenzione SAR, 1979) e la Convenzione per la sicurezza della vita in mare (Convenzione SOLAS, 1974).
Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare – UNCLOS art. 98 – obbligo di assistenza
Pretende, nelle parole del preambolo, di risolvere tutte le questioni relative al diritto del mare. Tocca infatti tutti gli aspetti del diritto del mare, dalla navigazione, ai diritti di accesso alle piattaforme continentali, allo sfruttamento delle risorse. Originariamente concordato nel 1982 ed entrato in vigore nel 1994. Ampiamente ratificato nella sua forma moderna e modificata. Notevoli non parti includono Iran, Israele, Libia, Corea del Nord, Turchia, Stati Uniti e Venezuela.
Art. 98, 1 UNCLOS. Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera nella misura in cui gli è possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio oi passeggeri.
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Presti soccorso a chiunque si trovi in mare in pericolo di vita.
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Proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso della persona in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di assistenza, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa.
L’Art. 98, 2 UNCLOS impone ad ogni Stato costiero l’obbligo di l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare. E, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi con gli Stati limitrofi.
UNCLOS è stato descritto come una ‘quasi costituzione per gli oceani’. Tre (o forse quattro) ulteriori convenzioni stabiliscono i dettagli degli obblighi di ricerca e soccorso.
Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio in mare (SAR)
Concordata nel 1979 ed entrata in vigore nel 1985. A seguito di un emendamento entrato in vigore nel 2004 per tutte le parti tranne Malta, che si è formalmente opposta, l’obbligo di fornire assistenza a una persona in pericolo in mare si applica espressamente ‘indipendentemente dalla nazionalità o dallo status di tale persona o dalle circostanze in cui tale persona è trovato’. Una volta che una persona è stata soccorsa, deve essere consegnata in un ‘luogo sicuro’.
Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS)
Del 1974 si occupa principalmente della navigabilità delle navi, anch’essa ampiamente ratificata. Un documento molto corposo e dettagliato, la cui prima versione fu adottata nel 1914 in risposta all’affondamento del Titanic.
La SOLAS impone al comandante di una nave in mare l’obbligo, nel ricevere informazioni da qualsiasi fonte che le persone sono in pericolo in mare, ‘di procedere con tutta la velocità alla loro assistenza’. La Convenzione impone inoltre agli Stati parti l’obbligo di assicurare che siano prese le disposizioni necessarie per la comunicazione e il coordinamento in caso di emergenza nella loro area di responsabilità e per il salvataggio delle persone in pericolo in mare lungo le sue coste.
Gli emendamenti a SAR e SOLAS che richiedono al comandante di una nave di sbarcare una persona soccorsa in un luogo sicuro si sono dimostrati molto controversi nel Mediterraneo e altrove. Sono emersi diversi esempi importanti di paesi che rifiutano di consentire ai rifugiati di sbarcare da una nave, iniziando ma non terminando con il Tampa in Australia nel 2000. Anche il governo italiano ha rifiutato di consentire lo sbarco.
Qualunque disaccordo sorga tra gli Stati, tuttavia, a nessuno Stato parte della Convenzione di Ginevra è consentito di espellere o respingere un rifugiato in qualsiasi modo alle frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate. Questo obbligo è imposto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra ed è spesso indicato come dovere di non-respingimento .
L’interdizione dei rifugiati in mare e il loro ritorno in paesi come la Libia è quindi altamente discutibile in termini legali. Soprattutto dove non ha luogo una valutazione formale del rischio.
Convenzioni di salvataggio
Infine, esistono due convenzioni internazionali sul salvataggio, che impongono entrambe l’obbligo di prestare assistenza in mare. Il motivo per cui le convenzioni sul salvataggio impongono questo obbligo è garantire che venga data priorità al salvataggio di vite umane piuttosto che alla proprietà in una situazione di salvataggio.
La prima è la Convenzione di Bruxelles per l’unificazione di alcune norme in materia di assistenza e salvataggio in mare del 1910. O semplicemente Convenzione di Bruxelles. Articolo 11 impone:
Ogni comandante è tenuto, per quanto può farlo senza grave pericolo per la sua nave, per il suo equipaggio e per i suoi passeggeri, a prestare soccorso a chiunque, anche nemico, si trovi in mare in condizioni pericolo.
La seconda è la Convenzione internazionale sul salvataggio del 1989. L’articolo 10 impone:
Il comandante di ogni nave, ‘nella misura in cui può farlo senza grave pericolo per la sua nave e le persone a bordo, di prestare assistenza a qualsiasi persona in pericolo in mare’ e impone agli Stati parti l’obbligo di adottare le misure necessario per far rispettare tale dovere.
Felicia Bruscino