Reparti d’isolamento per il Covid-19 sovraffollati, senza distanze di sicurezza né privacy. Mancanza di macchinari e anziani abbandonati a sé stessi, allettati costretti ad esperire i propri bisogni fisiologici in dei contenitori, quando sono fortunati. I pasti costituiti, sia a pranzo che a cena, da semplicissimi panini col prosciutto. Se a tutto ciò aggiungiamo anche discriminazioni omofobe sul posto di lavoro, ecco che il risultato è il prototipo di sanità pubblica che non funziona. E no, non stiamo parlando di un ospedale del terzo mondo, ma di un pronto soccorso italiano. Più precisamente, ci riferiamo al pronto soccorso San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, a Salerno.
La testimonianza di Gianluca
Gianluca Stella, un infermiere di 43 anni, da ormai 3 prova a denunciare il trattamento riservato ai pazienti del pronto soccorso di San Giovanni di Dio ma, stando a quanto riferisce, nulla è cambiato. Fino ad ora, l’unico a pagare per le sue denunce è stato lui: aggressioni verbali e fisiche, discriminazioni sul posto di lavoro a causa del suo orientamento sessuale e mobbing, al punto che è stato forzato al trasferimento in un altro reparto per “incompatibilità ambientale”, secondo quanto scritto nel provvedimento preso nei suoi confronti. Gianluca ha deciso di rilasciarci un’intervista per raccontarci ciò che è stato costretto a vedere e a vivere, sulla sua pelle. Questa è la sua storia.
L’omosessualità come colpa
Gianluca ha iniziato a lavorare al San Giovanni di Dio nel 2018. Non ha mai nascosto la sua omosessualità – e perché avrebbe dovuto- ma ciò non è stato accettato da tutti. Ci racconta che, appena un paio di mesi dopo il suo arrivo, il primario del pronto soccorso ha cominciato ad imitare le sue movenze e a fare qualche battuta infelice, anche in pubblico. Inizialmente Gianluca ha provato a non dare peso a queste offese per la paura che, dimostrandogli il suo disappunto, il primario avrebbe rincarato la dose.
Con il Covid il periodo peggiore
Durante la pandemia di Covid-19, poi, la situazione si è ulteriormente deteriorata, sotto ogni punto di vista. Alcuni pazienti non autonomi evacuavano là, sul loro letto , e non ricevevano alcuna assistenza dal personale. Le sale adibite all’isolamento per il Covid erano sovraffollate e mancavano i macchinari. Addirittura, ci racconta Gianluca, la situazione era così critica che erano state qualificate come “reparto isolamento” alcune stanze che non disponevano di bagni, così che i pazienti erano costretti ad utilizzare i contenitori che di solito ospitano gli scarti biologici.
Ancora: mancavano protocolli, linee guida e percorsi per provare a contenere la diffusione del virus (ad oggi, aggiunge, che ancora mancano). Gianluca ha provato a richiedere che queste misure venissero introdotte nel pronto soccorso, denunciando le lacune del sistema agli organi competenti (direzione generale del pronto soccorso, direzione sanitaria e direzione medica di presidio), ma l’unica risposta che ha avuto si è concretizzata in discriminazioni sul posto di lavoro. In particolare, il primario e la caposala del reparto hanno cominciato ad attaccarlo. Stando alle sue dichiarazioni, più che preoccuparsi di migliorare le condizioni in cui pazienti e personale medico-sanitario versavano, la loro apprensione era tutta rivolta ad evitare che Gianluca proseguisse con le sue denunce.
Ho ricevuto una testata sul naso da un collega, aggressioni verbali e fisiche, minacce di morte. La caposala di me diceva: “il ricchi**e non lo voglio. Questa è casa mia, se ne deve andare”.
i provvedimenti del pronto soccorso…
All’interno dell’ospedale nessuno lo ha difeso. Anzi, è accaduto il contrario: l’infermiere autore della testata è rimasto impunito, mentre contro Gianluca il pronto soccorso ha avviato un procedimento disciplinare.
Ci racconta che un giorno, avendo problemi con un macchinario del pronto soccorso, si è rivolto alla caposala affinché chiamasse un tecnico. Questa, per tutta risposta, lo ha bollato come “nullità” e lo ha minacciato. Ma stavolta è troppo: Gianluca non resiste più. Qualche minuto dopo, in una sala dove alloggiavano alcuni pazienti, l’infermiere ha provato a ribellarsi, comunicando alla caposala che non era più disposto ad essere trattato in questo modo e, nella concitazione del momento, gli è sfuggito di mano un cerotto che aveva con sé. Il caposala, a quel punto, ha sfruttato l’occasione per riferire al primario che quel “pericolosissimo” cerotto Gianluca lo aveva scagliato contro la sua testa e quest’ultimo, senza nemmeno ascoltare l’altra versione della storia, ha aperto un procedimento disciplinare nei suoi confronti. Grazie al suo avvocato e ai pazienti testimoni della scena, però, il procedimento è stato interrotto.
Ad oggi sono aperti più processi penali: contro il primario e il caposala, per discriminazioni omofobe e mobbing, e contro l’infermiere che lo ha aggredito.
La forza di resistere
Nonostante tutto Gianluca non ha mollato. Ci dice che dopo la testata tutti pensavano che se ne sarebbe andato, ma che ama così tanto il suo lavoro da non poter abbandonare i suoi pazienti. Da 3 anni continua la sua battaglia per cambiare un sistema che definisce immutabile, ben saldato ai cardini della sua inefficienza. E non ha lasciato perdere neanche adesso, che è stato spostato di reparto contro la sua volontà. La giustificazione formale di questo trasferimento è “incompatibilità ambientale” ma, ci rettifica, non è la verità. Semplicemente è diventato un personaggio scomodo nel reparto, perché non ha chinato la testa di fronte alle carenze del sistema e ai suoi soprusi.
Tutto ciò corrisponde a quanto raccontatoci e denunciato da Gianluca. Noi invitiamo la direzione dell’ospedale San Giovanni di Dio a prendere posizione, per dare spazio ad un contraddittorio necessario ad una situazione così delicata.
Adesso Gianluca lotta per i suoi diritti nell’unico posto dove ancora può essere fatta giustizia: nell’aula di un tribunale. Probabilmente i tempi saranno lunghi, ammette, ma non desisterà. E’ sicuro di essere dalla parte della ragione e sa aspettare. Ma, nel frattempo, serviva che qualcuno rendesse pubblica la sua storia, per dare a tutti quelli che subiscono discriminazioni sul posto di lavoro la forza di denunciare le storture di un sistema che, soprattutto nel 2022, sono inaccettabili.
Daniele Cristofani