Quest’anno l’Earth Overshoot Day è arrivato prima di sempre, il 28 luglio. L’incapacità di vivere nei limiti delle risorse del nostro pianeta fa discutere, oggi più che mai
Un risarcimento per i paesi in via di sviluppo
A pagare il prezzo più alto della crisi climatica sono i Paesi in via di sviluppo, riuniti nel gruppo G77 e Cina, che racchiude135 stati nei quali vive l’80% della popolazione mondiale. Sebbene i danni causati dal surriscaldamento globale siano visibili in tutto il pianeta (basti guardare le temperature delle ultime settimane, la siccità e le alluvioni sempre più frequente), per i paesi del G77 le conseguenze sono particolarmente disastrose.
Nel 2009, durante la conferenza sul clima di Copenaghen, i paesi ricchi promisero di donare cento miliardi di dollari l’anno a quelli più poveri, per far fronte alla crisi climatica. Ad oggi Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia (i principali produttori di gas serra), non hanno ancora versato la propria parte.
Il 28 luglio, l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato per allargare la lista dei diritti umani: gli Stati dovranno impegnarsi per intensificare gli sforzi per garantire l’accesso ad un ambiente pulito, sano e sostenibile. Nel testo si riconosce la crisi climatica come una delle più gravi minacce per l’uomo.
Le proteste
Nel corso degli anni, l’opinione pubblica sta acquisendo una sempre maggiore consapevolezza dei rischi derivanti dalla crisi climatica. In particolare i più giovani si sentono spettatori di una sorta di conto alla rovescia verso la fine del pianeta.
Questa condizione viene definita eco-ansia e si sta diffondendo sempre di più, provocando malessere, sfiducia e paura nei confronti del futuro. Secondo una ricerca condotta da dieci atenei del mondo, sarebbero circa 6 su 10 i Millennials a definirsi “molto preoccupati” per la crisi climatica. Il 40% degli intervistati sostiene di non voler mettere al mondo dei figli.
I giovani risentono di un forte malcontento nei confronti delle istituzioni, accusate di non fare abbastanza per contenere e ridurre la crisi ambientale. A partire da queste posizioni, negli ultimi anni sono nati movimenti ambientalisti che hanno dato avvio a numerose proteste (è il caso ad esempio di Fridays for Future).
Negli ultimi mesi in particolare, hanno fatto molto discutere le azioni degli attivisti di Ultima Generazione e Just Stop Oil, due associazioni ambientaliste responsabili dei recenti attacchi a discapito dei capolavori pittorici di artisti come Monet, Van Gogh, Constable, Boccioni, Vermeer, Goya e Klimt.
La crisi climatica diventa un corso obbligatorio all’università
Dopo un’occupazione durata una settimana da parte degli attivisti di End Fossil Barcelona, l’università di Barcellona ha deciso di introdurre a partire dal 2024 un corso obbligatorio riguardante la crisi climatica. Circa 14 mila studenti seguiranno il corso che varrà 5 crediti.
Lucía Muñoz Sueiro, dottoranda e attivista, ha affermato che: “non si tratta soltanto di un altro corso sullo sviluppo sostenibile, ma combina gli aspetti sociali e ambientali della crisi, che sono interrelati.” Al corso, si aggiunge anche un programma di training per lo staff universitario e i docenti (circa 6mila dipendenti). Alla luce della prospettiva di crisi socio-ecologica, saranno rivisti inoltre i programmi delle altre discipline.
A dicembre 2022 si svolgeranno occupazioni in centinaia di atenei in tutto il mondo, nella speranza di porre la crisi climatica in una posizione centrale da un punto di vista culturale e politico.