L’associazione “Lazio e libertà” non ha potuto esibire lo striscione di protesta contro il mondiale in Qatar, a causa del parere negativo della Questura di Roma, nonostante l’assenso della S.S. Lazio.
Nella splendida cornice di pubblico che ha colorato d’azzurro lo stadio Olimpico, in occasione della sfida casalinga della Lazio contro la Salernitana, sarebbe dovuto comparire tra gli spalti un messaggio di denuncia: “No al mondiale del sangue”. Così recitava lo striscione che la Questura di Roma ha ritenuto “non attinente con la S.S. Lazio”, sebbene la stessa società calcistica si fosse espressa in senso favorevole allo stesso. L’ iniziativa è partita dall’associazione “Lazio e libertà”, la cui volontà sarebbe stata quella di denunciare il “costo umano” nella costruzione delle infrastrutture per il mondiale in Qatar, ovvero l’elevato numero di operai che hanno perso la vita dal 2010 ad oggi.
L’associazione “Lazio e libertà”
L’associazione “Lazio e libertà” non è nuova ad iniziative di questo genere: sin dalla sua fondazione, infatti, persegue l’obiettivo di negare ogni forma di discriminazione razziale, politica e religiosa, favorendo l’integrazione culturale e sportiva. Da sempre, quindi, cerca di rappresentare quei sostenitori dei biancocelesti che non vogliono essere associati con quella parte di tifosi notoriamente di estrema destra. Prima della recente protesta contro il mondiale in Qatar, l’associazione era già conosciuta per le molteplici iniziative portate avanti, la più nota è sicuramente quella del “biglietto sospeso”, grazie alla quale, tramite le donazioni degli altri tifosi, vengono donati ingressi allo stadio a tutti coloro che non possono permetterselo.
Il mondiale in Qatar: troppe ombre e poca luce
Sin dal 2010 – anno di designazione del Qatar come paese ospitante della coppa del mondo del 2022 – troppe sono le ombre che avvolgono il mondiale che a breve si svolgerà nella penisola araba. I primi interrogativi sorti vertevano proprio sulla scelta di un paese privo di storia calcistica, che all’epoca non aveva strutture adatte ad ospitare un mondiale, nonchè sulle elevate temperature che in estate arrivano a toccare anche i 50° C. A causa del clima, infatti, il mondiale in Qatar non si svolgerà durante la bella stagione, come solitamente avviene, ma eccezionalmente avrà luogo nei mesi di novembre e dicembre. Lo spostamento dell’edizione in un periodo inusuale e le varie difficoltà logistiche hanno fatto sorgere molteplici perplessità, che si sono acuite dopo le accuse di corruzione nei confronti di alcuni dirigenti della Fifa, i quali avrebbero intascato delle tangenti per votare Russia e Qatar come sedi delle successive edizioni.
Il “costo umano” del mondiale in Qatar
Il fulcro delle contestazioni, però, si focalizza sull’elevato numero di operai morti durante la costruzione degli stadi che ospiteranno le gare del mondiale. Il cosiddetto “costo umano”, così come chiamato dall’associazione “Lazio e libertà”, che aggiunge il colore rosso sangue ad un quadro generale già a tinte fosche. Secondo i dati del Guardian sarebbero più di 6500 i lavoratori migranti deceduti tra il 2011 e il 2020, in base a quanto riportato dai paesi d’origine degli stessi. I numeri sono in realtà molto più elevati, perché non vengono contati gli operai provenienti dal Kenya e dalle Filippine. Il sistema della Kafala prevede che il lavoratore migrante si leghi ad un “kafeel”, che può essere sia un’agenzia che un privato cittadino. Questo metodo ha avallato forme di schiavismo nei confronti degli operai, permettendo la restrizione della loro libertà personale attraverso la confisca del passaporto e arrivando persino a sospenderne lo stipendio.
Le contestazioni in Europa e nel mondo
Mentre in Italia uno striscione di protesta contro il mondiale in Qatar è considerato “non pertinente con la società S.S. Lazio”, nel resto d’Europa e del mondo le contestazioni avvengono non solo negli stadi, ma anche in altre sedi. Alcune città francesi come Lille, Strasburgo e Reims hanno vietato la trasmissione delle partite del mondiale sui maxischermi. Lo sponsor “Hummel” della nazionale danese ha scelto divise monocromatiche, con i loghi quasi invisibili e la terza maglia completamente nera, in segno di lutto per gli operai morti. Anche i calciatori dell’Australia attraverso una dichiarazione collettiva di protesta hanno denunciato le condizioni precarie dei manovali migranti impiegati in Qatar, chiedendo dei rimedi efficaci. Secondo i dati dell’Oil, infine, tra il 2021 e il 2022, si registrano quasi 35000 denunce di lavoratori migranti rimasti senza retribuzione.
Spesso le partite di calcio sono utilizzate come cassa di risonanza per messaggi di ogni tipo. Secondo il criterio della “non pertinenza” gli striscioni dovrebbero riguardare soltanto la squadra di riferimento ed altri rituali, come il minuto di silenzio per commemorare eventi tragici, o il gesto antirazzista dei black lives matters non potrebbero trovare spazio negli stadi. Da anni il calcio si pone in maniera trasversale, cercando di far passare messaggi positivi attraverso gli sportivi e durante le competizioni più importanti. Lo sport in generale è una miniera di valori sia per gli atleti che per i sostenitori e rappresenta un canale fondamentale per sensibilizzare il pubblico anche sulle tematiche più delicate. L’impossibilità di denunciare le condizioni precarie e di sfruttamento che hanno causato la morte di migliaia di lavoratori migranti, rappresenta una sconfitta per lo sport e l’ennesima vittoria del profitto più spietato.