Letto attraverso il lavoro di Jane Jacobs, il caso della piazzetta chiusa a Bologna sembra emblematico di una gentrificazione presentata come riqualificazione
La piazzetta chiusa a Bologna è quella degli Absidi di San Domenico. Si tratta di un piccolo spazio verde e accogliente, a forma di anfiteatro, che costeggia la basilica di San Domenico a Bologna. Affiancata da palazzi in cui sono ubicati principalmente uffici, presenta due entrate sullo stesso lato: una che consente il passaggio delle auto e una seconda pedonale. Questa piazzetta è stata spesso luogo di piccoli eventi, ma da qualche anno è sempre più lasciata a sé stessa. I lavori per la chiusura sono iniziati durante il silenzio della pandemia e oggi sono quasi al termine. Dalle grate dei confini del cantiere è già possibile vedere il grande cancello nero che a breve impedirà l’accesso alla piazzetta durante le ore notturne.
Chiamare il mutamento di questa piccolissima piazzetta di Bologna con l’appellativo gentrificazione potrebbe risultare errato agli occhi più ortodossi in quanto il termine è in genere usato per definire modifiche a scopo economico di sistemi più complessi, come città o quartieri. Tuttavia, il caso di questa piazzetta chiusa può essere letto attraverso il lavoro di Jane Jacobs sui fattori necessari a mantenere in vita i parchi di quartiere, tra i quali rientrano anche le piazzette alberate. Se per la giornalista la varietà è la caratteristica che contraddistingue i luoghi pubblici, per questa piazzetta sta accadendo esattamente il contrario.
Una piazzetta chiusa per ristabilire il decoro
La decisione di chiudere la piazzetta è stata presa dall’Associazione per la tutela e la conservazione della Piazzetta Absidi di San Domenico attraverso un Patto di Collaborazione con il Comune di Bologna firmato a giugno 2020. Si tratta di una trattativa che, in questo caso, consente a un privato di apportare modifiche a uno spazio pubblico su propria proposta, in accordo con la Pubblica Amministrazione.
Le finalità dichiarate dal patto sono di ripristinare e riqualificare la piazzetta da un punto di vista estetico e architettonico e di consentire la fruibilità del sito da parte della collettività in condizioni di decoro e serenità. Per adempiere a questi obiettivi, l’Associazione si impegna a costruire un cancello e istituire orari di apertura e chiusura compatibili con le esigenze di protezione del sito secondo il Comune di Bologna. La protezione del sito fa riferimento alla necessità di riportare la piazzetta chiusa a un periodo antecedente il degrado attuale. Infatti, il patto descrive la piazzetta come “un luogo poco illuminato, sporco ed indecoroso ove, con frequenza sempre maggiore, si realizzano episodi di disturbo, che lo rendono poco fruibile da parte dei cittadini e non lasciano, nel contempo, spazio alle attività culturali spontanee, un tempo fiorenti.”
In aggiunta al patto originario, nel settembre del 2021 l’Associazione ha deciso di integrare una serie di interventi aggiuntivi che prevedono di installare due telecamere finalizzate a “ottimizzare il controllo remoto” e di aprire un nuovo ingresso nel vicolo di fianco al complesso adiacente la piazzetta, in modo da evitare l’entrata di persone non autorizzate e di consentire ai dipendenti di entrambi gli stabili di accedere in qualsiasi orario.
Jane Jacobs e la sorveglianza spontanea nei parchi di quartiere
Pur non parlando apertamente di gentrificazione, il contributo di Jane Jacobs al modo in cui si intendono gli spazi pubblici è valido ancora oggi. Il saggio “Vita e morte delle gradi città” (1961) evidenzia un’attenzione alle esigenze della comunità nell’analizzare i luoghi abitati in sostituzione a un mero calcolo edilizio. Secondo l’autrice, uno degli aspetti essenziali dei comportamenti urbani è la spontaneità. A questo fattore è legata la sicurezza dello spazio pubblico che prende forma a partire dall’azione e la varietà delle persone che lo frequentano. Un esempio descritto dall’autrice è il parco di Rittenhouse Square a New York con i suoi vari frequentatori: dai “passeggiatori mattinieri”, ai residenti, a “coloro che, abitando altrove, vengono a lavorare nella zona”, al “numero di persone anziane che non hanno niente da fare, di poveracci e di sfaccendati non meglio identificabili” che frequentano il parco a tutte le ore del giorno.
Come spiega Jane Jacobs, nel quadro di un assetto urbano efficace il controllo dei comportamenti all’interno di un dato luogo si attua con il concorso di tutti a partire da un’espressione di cura spontanea e occasionale alimentata dai rapporti umani che vi prendono forma. Questo tipo di sorveglianza è formata da persone non specializzate, non rimpiazza la sicurezza istituzionalizzata e non è da questa sostituibile. Si tratta di un meccanismo a sé, possibile a partire dal fatto che un luogo è frequentato da persone di diverso tipo e che lo osservano e se ne prendono cura durante l’arco di tutta la giornata. La varietà è un fattore indispensabile per stabilire un contatto tra il numero maggiore possibile di interazioni e serve a perpetuare e garantire la dimensione di spontaneità senza chiudere lo scambio di esperienze in termini pre-costituiti o istituzionalizzati.
Quando i parchi diventano soggetti al degrado urbano
Secondo Jane Jacobs, è comune considerare i parchi di quartiere come “benefici elargiti alle derelitte popolazioni urbane” e usare come strumento di lotta alla degradazione urbana il mutamento di questi luoghi a uso dei ceti più elevati, impoverendoli nella loro varietà. Tuttavia, sono gli utenti che, frequentandolo o meno, determinano il successo o l’insuccesso di un parco. Oltre a rappresentare “un’occasione perduta”, i parchi poco frequentati finiscono per acquisire la fama di luoghi pericolosi, vengono evitati, diventano sempre più vuoti e sono dunque sempre più soggetti al vandalismo.
L’autrice contrappone l’esempio della variegata Rittenhouse Square alla piazza di Washington Square a New York: quest’ultima presenta una carenza di diversità di usi nelle immediate adiacenze in quanto, essendo circondata unicamente da uffici, può attingere soltanto a un tipo di utenti potenziali. Come scrive la giornalista, ogni parco “le cui adiacenze sono prive di varietà funzionale è inesorabilmente condannato a restare deserto per gran parte della giornata”. Lo svuotamento è dato dal fatto che gli impiegati d’ufficio seguono in genere lo stesso orario e abbandonano la zona a fine lavoro. L’assenza di persone durante la maggior parte della giornata impedisce la formazione di una sorveglianza spontanea, portando la piazza all’impossibilità di sottrarsi all’influsso malevolo che colpisce i “vuoti urbani”, ossia ciò che oggi chiameremmo “degrado urbano”.
Perché una piazzetta chiusa può rappresentare uno dei volti della gentrificazione
Il caso della piazzetta chiusa a Bologna è parzialmente diverso dagli esempi descritti da Jane Jacobs. Infatti, la piazzetta degli Absidi di San Domenico è un luogo piccolo, che risiede in una città di dimensioni più contenute nonché con un impianto urbanistico differente rispetto a quelle analizzate dalla giornalista. Tuttavia, sono riconoscibili alcune similitudini.
Con la pretesa di riqualificare uno spazio pubblico, l’Associazione sembra aver ottenuto quel ritorno di immagine che soddisfa un senso di ordine tipico dei luoghi frequentati unicamente da personale di ufficio e deserti per gran parte della giornata, un tipo di configurazione che oggi inseriremmo tra i volti della gentrificazione. Avendo sede negli uffici della palazzina prospiciente la piazzetta chiusa, l’Associazione proponente il patto otterrà un accesso privilegiato e indipendente dagli orari di apertura dei cancelli, configurando la piazzetta come un giardino privato. Inoltre, la presenza di cancelli intorno a un luogo così raccolto ha un forte impatto sulla sua percezione visiva, rischiando di svuotarlo ancora di più e così di ridurre la varietà dei suoi frequentatori spontanei, fattore che secondo Jane Jacobs consente a un parco di essere sicuro.
Si può davvero parlare di riqualificazione?
Ammesso che la piazzetta abbia davvero perso la vitalità di un tempo, e senza soffermarsi su cosa “degrado” possa voler significare, è davvero questo il modo di riqualificare un luogo e allo stesso tempo di gestire efficacemente il degrado urbano?
Forse la questione dovrebbe essere spostata su un altro piano: come circondare la piazzetta di una varietà tale che le consenta di essere vitale e vissuta dalla città? Come potrebbero una recinzione e delle telecamere riportare la piazzetta a quella vitalità culturale di cui il patto parla? Dopo tutto, come scrive Jane Jacobs, “è chiaro che un parco che assomigli a un cortile di prigione non riuscirà ad attirare frequentatori e a influire beneficamente sull’ambiente circostante”.