KPochi temi influenzano e dividono il dibattito come le identity politics (in italiano politiche identitarie). La cronologia ufficiale ne colloca la nascita negli USA del secondo dopoguerra per affrontare alla radice il problema della discriminazione e promuovere i diritti delle categorie svantaggiate (afroamericani, donne, omosessuali). Caratteristiche ben chiare, che renderebbero le identity politics appannaggio della sinistra liberal. Ma è veramente così?
Quest’interpretazione, condivisa a larga maggioranza, ha un difetto: è fin troppo semplicistica. L’identità riveste infatti da sempre un ruolo centrale nelle società umane. Queste hanno cercato da sempre di definirsi, e lo hanno fatto tracciando linee di confine tra il sè e l’altro. E’ la dialettica oppositiva noi-loro, fulcro dell’esperienza umana. Quelle che oggi vanno sotto la definizione-ombrello “identity politics” sono quindi tendenze antichissime, e trasversali agli orientamenti politici.
Identity politics: Cosa sono?
Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali di altri.
George Orwell, Animal Factory.
Gli esseri umani sono divisi in base a caratteristiche quali il genere, l’etnia e l’orientamento sessuale. La distribuzione di potere e diritti varia in base alle categorie identitarie di appartenenza, e su ciò si sviluppa la dinamica oppressore-oppresso. L’oppressione si concentra infatti su alcuni gruppi identitari e ne tralascia altri. Parafrasando George Orwell: tutte le identità sono uguali, ma alcune identità sono più uguali di altre. Che cosa si intende, però, con identità?
L’etimologia polverizza ogni dubbio. Il termine identità trae la sua origine dal latino identitas, a sua volta derivato dal pronome idem, che significa “lo stesso, il medesimo”. Come in un gioco di specchi, l’identità ci rimanda quindi alle nostre caratteristiche più evidenti, all’insieme di tutto ciò che in noi è innato ed immutabile: il colore della pelle, l’identità di genere, l’orientamento sessuale. Sempre più spesso, però, si applica a sproposito l’etichetta di identità a caratteristiche che non sono nè innate, nè immutabili: è il caso delle scelte ideologiche. Alle considerazioni filosofiche si sostituisce quindi la strumentalizzazione politica, ed ecco che i guai hanno inizio.
A chi segue un credo politico o religioso, l’identità fa gola. O meglio: gli fa gola l’opportunità di far passare la sua scelta ideologica come una caratteristica identitaria. Non c’è modo più facile (e disonesto) di blindare il dibattito e mettersi al riparo da ogni critica. Contestare le idee altrui è socialmente accettato, ma se le idee diventano un’identità, criticarle diventa come per magia una forma di hate speech.
C’è poi un altro atteggiamento, altrettanto pericoloso: l’uso dell’identità come arma. Definirsi non vuol dire più affermare la propria identità, ma negare quella altrui. Ecco che la trasformazione delle identity politics è servita: da strumento di tutela dei gruppi svantaggiati a strategia per opprimere gli altri.
Le identità ferite nelle identity politics
Degli spettri si aggirano per l’Europa (e non solo): le identità ferite. Il loro numero è in aumento, e l’impressione che si ha – restando in tema fantasmi, perfetto per Halloween – è quella di trovarsi in una casa infestata da spettri che sbraitano e lamentano di essere oppressi. Donne madri e cristiane che si scagliano contro le famiglie diverse dalla propria. O ancora, politici per cui bisogna seguire i valori cristiani oppure si scatenerà l’apocalisse. E addirittura papi che chiedono di sospendere manifestazioni contrarie ai loro valori.
La furia identitaria travolge tutto, e non risparmia neppure i cartoni animati. Qualche settimana fa a finire sotto il fuoco incrociato di cattolici ed estremisti di Destra è stato un episodio di Peppa Pig: all’allegra compagnia di suini si aggiungeva infatti una famiglia composta da due mamme.
La diversità come minaccia
Che gli identitari siano allergici alle diversità non è una novità. Basti guardare l’atteggiamento verso le diversità sessuali.
Le famiglie omosessuali, ad esempio, vengono accusate di ogni malefatta immaginabile. In molti le accusano di minacciare la famiglia eterosessuale. Altri invece le associano alla denatalità, come se – ad esempio – la sola presenza di inquilini omosessuali in uno stabile rendesse sterili tutti gli altri. Altri ancora le accusano di offendere i valori religiosi, e si stupiscono dell’astio che la comunità LGBT proverebbe verso la Chiesa e le religioni in generale (come se millenni di persecuzioni non fossero un motivo sufficiente). Tutto questo rientra nel disegno identitario.
Gli identitari vedono infatti il mondo in una logica binaria “noi o loro”, e sono soddisfatti solo se vedono riconosciuti i propri valori come universali. La coesistenza non è un’opzione. La diversità non è arricchimento, ma minaccia. La tolleranza è sempre richiesta, ma mai esibita.
Dietro al chiagni e fotti di chi lamenta oppressione pur trovandosi in una posizione di privilegio c’è la pretesa di voler parlare per tutti. Le identity politics, da strumento di emancipazione, diventano così un modo per silenziare le voci sgradite: quelle degli ultimi.