Quando parliamo di tratta di esseri umani intendiamo un fenomeno molto vasto, di cui purtroppo si parla ancora molto poco. E la pratica più diffusa è costituita dallo sfruttamento sessuale di donne prevalentemente extracomunitarie.
La situazione che viene fotografata denota la necessità di circoscrivere i casi in cui vengono consumate queste forme di maltrattamento. Solo avendo infatti dati precisi è possibile intervenire in maniera mirata.
Serve inoltre l’intervento congiunto di più autorità a livello territoriale per poter intercettare e combattere sul nascere questo fenomeno. E non va infine trascurato il ruolo di molte associazioni, sparse su tutto il territorio italiano, che da diversi anni cercano di sensibilizzare sul tema per tenere alta l’attenzione e ‘forzare’ in un qualche modo l’intervento.
Cosa crea un ambiente favorevole alla prostituzione sotto ricatto
Ci sono una serie di elementi che creano un terreno fertile per dare vita ai sempre più frequenti casi di donne vittime di tratta finalizzata alla prostituzione.
Sicuramente a giocare un ruolo forza è la vulnerabilità socio-economica. Il bisogno di soldi e il versare in una condizione economica critica, infatti, influiscono sull’accettazione da parte della vittima. Ma se questo è uno degli aspetti fondamentali non è però il solo.
Determinante è anche il fattore della discriminazione, da intendersi come discriminazione di genere e di razza, con difficoltà di accesso ai vari servizi. Più elevata è infatti la marginalizzazione, più alto è il rischio di tratta e sfruttamento.
Spesso infatti donne e ragazze che arrivano in Italia da altri paesi sarebbero anche disposte a trovare un lavoro onesto con cui iniziare a guadagnare. Ma sono frequenti i casi in cui la diversa nazionalità, ad esempio, rende più difficile l’immissione nel mondo del lavoro. Ed ecco che cadere nella trappola dello sfruttamento sessuale diventa più facile. E questo i carnefici lo sanno, e giocano proprio su tutte queste fragilità.
Le vittime, dal canto loro, una volta entrate in questo ‘tunnel’, faticano ad uscirne. Si ritrovano ingabbiate in dinamiche che non lasciano loro alternative, vuoi per paura, vuoi per passività, vuoi per debolezza.
Il ruolo delle autorità
In tutto questo ci si aspetta un ruolo attivo delle autorità su più fronti. Manca però quel ‘quid’ che permetterebbe di stroncare sul nascere queste forme di sfruttamento e di abbatterle in maniera massiccia.
La risposta delle istituzioni è purtroppo ancora troppo flebile. Occorre superare innanzitutto la visione stereotipata delle vittime per poter avere una visione reale del fenomeno, capire esattamente da dove provengono queste donne costrette a prostituirsi, qual è la fascia d’età maggiormente coinvolta, dove vivono.
In pratica occorre partire dalla chiara identificazione delle vittime, operazione non sempre facile da parte delle forze di polizia. E ciò lo ritroviamo nei dati denunciati dall’Unodc, secondo cui in Italia meno dell’1% delle persone sono identificate come vittime, mentre in realtà nel nostro Paese ci sarebbe un’incidenza ben 6 volte più alta.
Importante, sempre in quest’ottica di circoscrizione dei soggetti coinvolti in queste pratiche, è il raffronto tra più dati, connesso ad una maggiore trasparenza. Se si considerassero, ad esempio, solo i dati giudiziari, la percezione che ne scaturirebbe sarebbe sicuramente una descrizione privilegiata del fenomeno ma comunque parziale. Invece avere a disposizione più dati e più studi permetterebbe di pianificare risposte e risorse in maniera più consapevole e mirata.
Ed è proprio in questo senso che dovrebbero muoversi le autorità, migliorando il tracciamento, mettendo a punto tecniche efficaci e superando le lacune esistenti.
Un punto, poi, su cui dover investire maggiormente è la formazione specifica delle varie figure che operano: dai funzionari delle forze dell’ordine, ai giudici, a tutti coloro che lavorano nei punti di sbarco e di prima accoglienza, agli ispettori del lavoro, agli operatori sanitari. Tutti devono collaborare per colmare l’incompletezza di incrocio dei dati e ritrovarsi con la giusta preparazione per saper affrontare il problema della tratta a scopo sessuale.
Alcuni dati
Veniamo ora ai dati per rendere un’idea della diffusione di questo fenomeno. Quella che viene chiamata ‘schiavitù moderna‘ interessa circa 20 milioni di persone in Europa , con un’incidenza elevatissima su soggetti di sesso femminile e un aumento perfino su minorenni.
I dati sono stati diffusi alcuni anni fa da ILO ed Eurostat ma permettono già di capire quanto questa attività criminale sia estesa. E in Italia ad essere coinvolte sono circa 2 mila persone, di cui l’86% è costituito da donne e ragazze secondo il rapporto di Save the Children datato 2020, a dimostrazione del fatto che nemmeno la pandemia ha saputo frenare questo fenomeno.
Progetto ‘Roxanne’ (e non solo) per le vittime di sfruttamento sessuale
In aiuto alle vittime di tratta di esseri umani a scopo sessuale sono nati nel corso degli anni una serie di progetti, volti a dare sostegno e vicinanza, ma anche finalizzati al reinserimento nella società.
Tra questi il più noto è il progetto ‘Roxanne’, avviato dal Comune di Roma già dal 1999, gestito dal Dipartimento Politiche Sociali e Salute, e da poco tempo ampliatosi occupandosi di ogni forma di tratta e sfruttamento, non più solo sessuale.
Degno di nota è anche il progetto ‘La Puglia non tratta’, finalizzato a togliere dall’invisibilità le vittime di sfruttamento sessuale. L’iniziativa è nata a livello regionale in tempi più recenti, precisamente nel 2017, e mira a donare vitto, alloggio, protezione ed integrazione socio-economica.
Una tratta senza fine?
Cosa possiamo concludere alla luce di tutto ciò?
I dati sulla diffusione di questa attività criminale non sono incoraggianti, e a non essere di buon auspicio non è nemmeno il calo di denunce di sfruttamento sessuale. Manca il coraggio da parte delle vittime ma manca forse anche la creazione di un impianto, da parte della macchina governativa, che sappia rassicurare e garantire protezione. Non bastano progetti, che sicuramente rappresentano comunque un ottimo rifugio oltre che un mezzo per sensibilizzare sul tema.
Le autorità devono saper mettere in atto una giusta offensiva con politiche di coordinamento, rintracciamento, identificazione e intervento mirato.
Sabrina Maestri