Toru Kubota, giornalista e filmmaker giapponese, è stato condannato a 10 anni di carcere in Myanmar per aver filmato le proteste contro il regime militare.
Nel Paese, la libertà di stampa e i diritti umani sono seriamente minacciati
Giornalista arrestato in Myanmar: chi è Toru Kubota
Toru Kubota è un giornalista e filmmaker giapponese di 26 anni.
Ha girato diversi documentari riguardanti migranti, rifugiati e conflitti etnici, lavorando per BBC, Vice Japan e Al Jazeera English.
Nel 2019, in Myanmar, si è occupato della persecuzione della minoranza musulmana dei rohingya, da parte dei militari e delle milizie buddiste.
Lo scorso luglio si è recato nuovamente nel Paese, dove ha filmato le proteste contro il regime militare.
Secondo l’accusa, Kubota avrebbe contribuito alla protesta e avrebbe diffuso materiale falso e provocatorio.
Per questi motivi, il 5 ottobre scorso, la corte militare ha condannato il giornalista a dieci anni di carcere: tre per incitamento alla rivolta, e sette per violazione della normativa sulla comunicazione elettronica.
Inoltre, il12 ottobre sarà processato per aver violato le leggi sull’immigrazione, entrando nel Paese con un visto turistico e non giornalistico.
Il Ministro degli Esteri giapponese è intervenuto, chiedendo il rilascio del giornalista arrestato in Myanmar.
Il governo giapponese continuerà a fare appello alle autorità birmane per l’imminente rilascio del connazionale Kubota
Il vicedirettore regionale di Amnesty International, Ming Yu Hah, ha fortemente criticato il Paese, dichiarando:
Con questo ultimo verdetto l’esercito del Myanmar sta consolidando la sua reputazione di uno dei migliori carcerieri di giornalisti nel mondo. Filmare una protesta non è un crimine. L’esercito del Myanmar dovrebbe rilasciare immediatamente Toru Kubota e lasciarlo andare a casa.
Dovrebbe anche far cadere le accuse che ha sollevato contro di lui, e rilasciare tutti i giornalisti arrestati e condannati semplicemente per aver fatto il loro lavoro
Diversa la reazione del vicedirettore della divisione asiatica di Human Rights Watch, Phil Robertson, che ha rivolto una critica al Giappone.
Questa condanna è uno schiaffo in faccia a Tokyo.
È ora che il Giappone smetta di giocare e inizi a sostenere vere sanzioni internazionali per ridurre le entrate della giunta
Tokyo, infatti, è stato per molto tempo uno dei partner più proficui del Myanmar.
Fino al 2015, si è occupato dell’addestramento dei militari birmani. Dopo il colpo di Stato, nel 2021, il Giappone ha dichiarato di voler interrompere i rapporti.
Tuttavia, non ha imposto alcuna sanzione.
Myanmar: diritti umani e libertà sempre più a rischio
Le proteste nel Paese sono iniziate nel febbraio 2021 quando, attraverso un colpo di Stato, la giunta militare guidata dal generale Min Aun-Hlaing si è insediata destituendo il governo di Aung San Suu Kyi.
San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace del 1991, è stata in seguito arrestata e condannata a 20 anni di carcere.
Sono seguite numerose proteste da parte della popolazione, alle quali il regime ha risposto bombardando e radendo al suolo diversi villaggi.
Oggi, gli sfollati interni sono oltre un milione, mentre i casi di censura e repressione del dissenso sono in aumento.
L’ONG Human Rights Watch ha rilevato sei casi di attivisti torturati e morti in carcere.
Mentre, secondo l’Assistance Association for Political Prisoners, sono almeno 73 le persone morte in custodia nei commissariati e nei centri per gli interrogatori.
Ma Kubota non è l’unico giornalista arrestato in Myanmar.
In seguito al colpo di Stato, sono stati 89 i reporter arrestati per aver “diffuso notizie false” e “incitato alla rivolta”. Alcuni di questi, dopo essere stati rilasciati, hanno raccontato di pestaggi, privazione del cibo e torture.
Inoltre, il regime ha revocato la licenza a cinque testate d’opposizione, dichiarandole fuori legge.
Secondo RSF, il regime militare golpista ha riportato la libertà di stampa nel Paese indietro di 10 anni.
Giulia Calvani