L’Italia è un Paese strano. Un momento prima il governo cade in nome della contrarietà ad un termovalorizzatore; quello dopo il tema scompare completamente dal dibattito pubblico, eclissato dai veri topics di questa campagna elettorale: coalizioni, alleanze, candidati, totoministri e via discorrendo. Il problema che il termovalorizzatore avrebbe dovuto risolvere, cioè l’emergenza rifiuti a Roma, è stato accantonato. Tutto tace: se ne riparlerà almeno a fine settembre. Nel frattempo un altro caso mediatico sta seguendo la stessa triste parabola: il rigassificatore di Piombino. E questa volta il problema riguarda l’intero Paese, come aveva ricordato Mario Draghi al Senato il 20 luglio , sottolineando come la costruzione di questa infrastruttura energetica fosse una questione di sicurezza nazionale.
Nel comune toscano gli affiliati locali di quasi tutti i partiti si sono compattati al grido di: “no al rigassificatore”
I contraltari di questa situazione locale sono i vaghi sostegni all’infrastruttura da parte dei leader degli stessi partiti, che però evitano di riferirsi esplicitamente a Piombino. Matteo Salvini e Giorgia Meloni dribblano le domande sull’argomento, mentre il PD si trova ad avere il piede in due scarpe: è favorevole al progetto ma deve fare i conti con Sinistra Italiana e Europa Verde, suoi alleati, che si sono dichiarati contrari. E’ dunque una situazione spinosa da cui districarsi per i partiti, che per ora hanno trovato solo un rimedio: far scivolare l’argomento nel dimenticatoio.
Ma cosa è un rigassificatore? Qual è il suo impatto ambientale? Quanto è necessario nell’ambito del piano di riduzione della dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia?Tutte queste domande non hanno trovato ancora risposte precise all’interno del dibattito pubblico. In un contesto del genere allora diventa un dovere, per chi informa, rendere consapevoli gli elettori su ciò che realmente li riguarda. Facciamolo.
Rigassificatore: cosa è e a cosa serve
Quando parliamo di rigassificatori, ci riferiamo ad impianti adibiti alla riconversione del gas naturale liquefatto (GNL) allo stato gassoso. Infatti i gas naturali possono essere trasportati per via terrestre, attraverso appositi gasdotti, oppure via mare. In questo caso però, è necessario che il gas venga liquefatto: il volume si riduce di circa 600 volte, rendendo molto più conveniente il trasporto. Ciò presuppone un alto livello di investimenti in infrastrutture sia per il Paese esportatore di gas (impianti di liquefazione) che per il Paese importatore (rigassificatori).
Esistono due tipi di rigassificatori: quelli onshore, collocati sulla terraferma, e quelli offshore, che invece si trovano vicini alla costa e alla quale sono collegati da un gasdotto. I rigassificatori offshore a loro volta possono essere delle vere e proprie isole artificiali, costruite per rimanere dove si trovano, oppure delle navi chiamate floating storage regasification unit (FSRU) , che sono di conseguenza mobili.
Quanti rigassificatori ci sono in Italia?
In quei pochi giorni in cui è passato sotto la lente del dibattito pubblico, il rigassificatore è sembrato una novità assoluta. In realtà, l’Italia può già contare su tre rigassificatori: il più vecchio, l’impianto onshore che si trova in provincia di La Spezia, a Panigaglia; il più grande, il terminale GNL adriatico, un’isola artificiale offshore situata in provincia di Rovigo, poco distante da Porto Viro; infine la FSRU che si trova nel mar tirreno, tra Pisa e Livorno. Tutti e tre i rigassificatori hanno in comune di appartenere, con quote diverse di partecipazione, a Snam, l’azienda che si occupa di gasdotti in Italia e che ha in carico anche il progetto di Piombino.
E il rigassificatore di Piombino?
Nel caso del comune toscano l’impianto sarà una FSRU. Si tratta di una precisa richiesta del governatore della regione Toscana- commissario dell’opera Eugenio Giani per limitare l’impatto a lungo termine del rigassificatore: la nave rimarrà al porto di Piombino fino al 2026 per poi essere ricollocata a largo della regione. L’impianto garantirà circa 5 miliardi di metri cubi di gas in più all’anno, rispondendo al 6,5% della domanda nazionale di gas. Il collegamento alla terraferma sarà assicurato da un gasdotto di 8,8 chilometri che si ricongiungerà con quello nazionale. Al momento è questa la parte più contestata dell’opera, a causa dell’alto impatto ambientale e paesaggistico che la conduttura potrebbe avere sulla città. Nonostante ciò, la Snam sembra piuttosto sicura della buona riuscita del progetto: ha già acquistato la FSRU Golar Tundra per 350 milioni di dollari ed aspetta solo l’ok definitivo di Giani per allestirla.
Il punto della situazione
La scorsa settimana Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, ha inviato una lettera alla Commissione Europea in cui ha reso noto che il progetto, in virtù della sua temporaneità e della straordinaria eccezionalità della situazione energetica , non sarà sottoposto a valutazioni di impatto ambientale. L’unica analisi tecnica su cui si può fare affidamento è quella presentata da Snam al commissario Giani e ora al vaglio di 30 enti che esprimeranno un giudizio entro il 19 settembre. Secondo Snam, nella peggiore delle ipotesi le emissioni di ossido di azoto e polveri sottili saranno rispettivamente 10 e 50 volte inferiore ai limiti di legge. La sicurezza del sito sarà garantita attraverso una spessa muratura in calcestruzzo che seguirà tutto il gasdotto. Inoltre, Snam ha assicurato che né la pesca né l’itticoltura saranno in alcun modo danneggiate dall’infrastruttura.
Dopo il 19 settembre la palla passerà a al commissario, che entro la fine di ottobre dovrà decidere se autorizzare il progetto. Da parte sua, Giani si è fatto garante della città, presentando al governo un memorandum sulla base del quale modellare la costruzione dell’impianto.
Aspettative e conclusioni
I prossimi mesi ci diranno se questa infrastruttura necessaria alla sicurezza energetica dell’Italia sarà costruita e, se sì, secondo quali parametri. La speranza è che si trovi il giusto compromesso tra interessi nazionali e interessi locali, entrambi meritevoli di ascolto e di tutela. Infine, dovremmo chiederci qual è la credibilità di partiti che non riescono nemmeno a conformare la postura dei propri associati locali alla propria. Perché, se è vero che è da anni che la politica si sta allontanando dai cittadini con tutte le conseguenze del caso, un’ulteriore distanza all’interno dei partiti stessi, tra chi dirige e chi è vicino alla vita di tutti i giorni di una comunità, non può che significare il declino definitivo di questi organismi, convulsi tra le dinamiche di palazzo e le esigenze elettorali.
Daniele Cristofani