Gli istituti tecnici e le accuse degli snob
Chi ha frequentato gli istituti tecnici sa bene quanto i licei si sentano snob a confronto dei primi. Beninteso, di stereotipi si tratta. Tuttavia, se molti muovono critiche verso l’istruzione negli istituti tecnici un motivo poi ci sarà. La premessa da fare è la seguente: questo NON è un pezzo sui problemi della scuola italiana. Ciò che intendo fare è raccontare la mia esperienza da ex studente dell’ITIS. Svelare quindi la dimensione più vicina ai miei coetanei, quella che impatta la pelle degli studenti. E quindi ciò che la scuola ti lascia, nel bene e nel male. Come le nozioni ben saldate grazie ad un metodo valido. Ma anche quello che, con il senno di poi, sembra, parlando con rispetto, una supercazzola maestosa. Aneddoti dagli istituti tecnici.
La polemica sugli istituti tecnici
Care lettrici e cari lettori, non pensate che io mi sia svegliato con la luna storta e vendicativo nei confronti dei miei vecchi docenti. Questa polemica viene da Carlo Calenda, uno che di sproloqui ne sa qualcosa. In breve, il leader di Azione aveva proposto un’istruzione liceale per tutte le scuole superiori. Secondo questa visione, le specializzazioni verrebbero dopo. Alla base ci sarebbe l’intenzione di formare prima di tutto dei buoni cittadini, ben consapevoli della cultura della loro società. Perlomeno questa è l’idea che Calenda esprime. Di contro ci sarebbero le critiche sul fatto che le intelligenze sono diverse. E quindi gli istituti tecnici non andrebbero derubricati a licei depotenziati. E io, da perito informatico quale sono, sarei anche d’accordo. Però poi arriva il me del presente, studente universitario, che alza la mano per dire qualcosa.
All’industriale non si studia
Non ho alcuna vergogna nel riportare uno dei tormentoni che si udivano nei dibattiti tra diversi istituti. Sì insomma, quella tribale usanza studentesca che consiste nel denigrare i colleghi delle scuole accanto. Ecco, tra i tanti, un luogo ancora oggi comune è quello dell’industriale dove non si studia mai. Non solo, gli istituti tecnici in generale sembrano un gradino sotto rispetto ai licei. Se poi parliamo degli istituiti professionali le battute si spostano direttamente sulla fedina penale dei loro studenti. Comunque, non è vero che all’industriale non si studia. Magari è uno studio diverso da quello “classico”, ma rimane comunque tale. Per dirne una, ha molto rilievo il tempo che passi nei laboratori. Torna il discorso sulle diverse forme di intelligenza; e intendiamoci, è sacrosanta verità.
Tuttavia ogni giudizio va contestualizzato per essere pragmatico. Nel mio caso, a scuola non avevamo laboratori molto attrezzati. E sono sicuro che molti altri lì fuori avranno una storia come la mia. Purtroppo il laboratorio è forse uno dei luoghi dove pesano di più le mancanze di una scuola. Senza dimenticare il perenne divario a livello scolastico tra nord e sud Italia: ne parla un autorevole articolo a questo link. In uno scenario così, le lezioni frontali rappresentano il perno delle scuole svantaggiate. Però gli istituti tecnici hanno un programma di studio più leggero per molte materie, perché sono pensati per altre esigenze. Quel che ne risulta è un’esperienza assai discutibile. In tre anni di informatica ho smontato un computer solo un paio di volte. Anche perché dei computer da smembrare non ne avevamo. Era più probabile che ci procacciassero una rana.
A che serve? Tanto fate l’industriale. . .
Ora vi racconto un aneddoto. Ero al primo anno di informatica, quindi al terzo delle superiori. Avevo appena cambiato classe e professori, perché dopo il secondo si ricomincia da zero. Dentro di me, speravo di trovarmi di fronte ad un programma specializzato, quindi incentrato sull’informatica e materie affini. Nei due anni precedenti mi ero spesso domandato: “Ma a cosa serve studiare le guerre puniche? A cosa serve studiare Boccaccio? Non faccio mica il liceo, io”. Lo avrete sentito dire spesso anche voi. E poi al terzo anno il momento di svolta. Già perché il nuovo prof badava poco o nulla alle date di storia e alle analisi poetiche. Anzi, meglio ancora, ci faceva studiare le sintesi. Tutta la conoscenza dello scibile sublimava con poco carisma nelle mappe concettuali. Sono stati tre anni di pacchia, soprattutto durante il lockdown.
E alla fine arriva l’università. Ero consapevole del fatto che mi fossi allontanato del tutto dal mio corso di studi. Mi ero infatti iscritto a una facoltà vicina alle discipline umanistiche. Tuttavia, non credevo che sarebbe stato un trauma di studio così grande. Nella preparazione del mio primo esame studiai più pagine che in tre anni di italiano e storia all’industriale. Ma non era solo la mole il problema, anche i riferimenti a conoscenze supposte. Idem i discorsi che i prof facevano in aula. Non ho alcuna vergogna nel dire che mi stavo sentendo un completo ignorante.
Fu allora che mi suonavano in mente le frasi del tipo: “Tanto fate l’industriale”. Martellavano con un certo rancore verso i miei vecchi docenti. Vorrei tanto che mi avessero spinto a fare di più, magari portandomi ad odiarli. Però diamine, non é forse quello il mestiere del docente? Penso sia quella persona che dovrebbe tuonare: “Alla malora le tue aspettative da ITIS. Se la storia e l’italiano sono nel programma allora dovrai studiarli per bene”. E inoltre, zero cognizione di diritto, neppure una base di economia. Difatti si dice che in Italia abbiamo una grande ignoranza sui temi economici. Stesso discorso per la politica, ridotta a miglio magico del qualunquismo. Eppure noi tutti viviamo nella stessa società, e dovremmo votare gli stessi partiti. Non vedo come saper, quasi, solo programmare possa aiutare la causa.
Alternanza scuola- cazzeggio
Qualche anno fa, quel borioso fiorentino che avevano come premier riformò parecchio la scuola italiana. Allora venne introdotta l’alternanza scuola- lavoro. Quella che molti studenti concordano essere una cagata pazzesca. Oltretutto, nelle ore di alternanza ci sono stati diversi feriti, e talvolta pure dei morti. Sì, come le morti nel mondo dei grandi. Quelle che poi di fatto sono ore di stage non retribuiti. Tanto per insegnare ai ragazzi come funziona, sul serio, il lavoro in Italia. Ecco, diciamo quindi con molta franchezza che se da domani l’alternanza venisse abolita sarebbero tutti più contenti. Anche stavolta voglio raccontarvi un aneddoto.
Ho fatto alternanza per tutto il triennio, in precisi momenti dell’anno. Ma l’anno che mi è rimasto più impresso è stato di sicuro il quarto. All’epoca dovevamo fare delle ore in un’azienda, a scelta oppure assegnata. Sarà forse superfluo dire che alcuni andarono a fare “alternanza” nelle aziende di famiglie, senza che la scuola fiatasse alcunché sul conflitto di interessi. A chi, come me, gli andava bene sarebbe toccata un’azienda connessa alle materie studiate.
E così passai delle settimane in un’azienda informatica della mia città, e in effetti fu un’esperienza che mi formò parecchio. Ero però ben consapevole del fatto che la mia fosse stata un’eccezione in un mare di mediocrità. Tanto per usare un eufemismo. So di persone andate in pubblici uffici e finite a giocare a briscola per tutta la durata dell’allegra formazione. Oppure di altri ancora che sono finiti a pulire piazzali di aziende del posto. Alla faccia dell’alternanza scuola- lavoro.
Barbero contro la buona scuola
Prima di chiudere il pezzo, passo la palla ad Alessandro Barbero. Il noto divulgatore di storia ha molti video diventati virali. Tra questi, uno in cui si esprime sulla cosiddetta “buona scuola”. Non voglio anticiparvi troppo, mi limito a dire che muove pesanti accuse alla piega recente della scuola italiana. Per capire ciò che intendo, guardate pure il video che lascio qui sotto.
La febbre da ignoranti
Ebbene, le cose da dire sarebbero molte altre ancora. Intendo però fermarmi qui, alle testimonianze di un ex studente. Alla fine del secondo paragrafo ho allegato il confronto tra Calenda e De Blasi sul canale Twitch di Ivan Grieco che ha ispirato questo pezzo. Nella “miniera”, Ivan, Francesca e Umberto indossano spesso una maglietta con sopra stampata la frase: “Show me the fucking DATA“. Sull’onda di questo empirismo, sono le statistiche che ho citato a mostrare alcune debolezze della scuola italiana. Siamo ben lontani quindi dal fare gli snob. Chiudo dicendo che tutti gli studenti hanno pari dignità, specie se inseguono le loro passioni. E forse negli istituti tecnici c’è un legame magico che si crea tra l’amore del fare e le competenze acquisite. Ma bisogna far sì che questo processo possa essere attuabile. Altrimenti gli aspiranti periti avranno sul groppone sospetti di accidia. E pure la febbre da ignoranti.
Matteo Petrillo