Antonio Lombisani, 59 anni, sposato, padre di una figlia, era un bracciante agricolo. È morto mercoledì 6 luglio stroncato dal caldo mentre era al lavoro in un agrumeto nella frazione Thiene del comune di Corigliano Rossano, in provincia di Cosenza. Antonio è stato trovato riverso a terra, alle 14,30 di una giornata in cui la temperatura ha superato i 40 gradi. La Procura della Repubblica di Castrovillari ha disposto il sequestro della salma e l’autopsia per chiarire le cause della morte.
Io non lavoro per la Procura della Repubblica, ma abbandonando gli aspetti più tecnici e formali, mi chiedo quali potrebbero essere le cause se non la superficialità e il totale disinteresse verso le condizioni di lavoro che riguardano braccianti sparsi su tutto il territorio nazionale e provenienti da ogni angolo del mondo. Me lo chiedo perché solo pochi giorni fa USB e Rete Iside avevano lanciato l’avvertimento sui rischi dello stress termico legato alle alte temperature sui luoghi di lavoro. Governo e Regioni, tranne Puglia e Basilicata, nulla hanno fatto però di fronte all’ Emergenza Climatica e alle alte temperature che colpiscono soprattutto il settore dell’ agricoltura. Probabilmente i motivi sono da ricercare nella disumana tendenza ad anteporre gli interessi dell’agroindustria e della GDO al tentativo di governare le emergenze.
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Quella di Antonio è l’ultima triste pagina che riguarda il mondo dell’agricoltura, va ricordato il caso del giovane bracciante Camara Fantamadi, 27enne maliano deceduto mentre lavorava nei campi del Brindisino nell’estate 2021, e come lui molti altri, non solo migranti: Giuseppina Spagnoletti, 39 anni, morta il 31 agosto 2017 a Ginosa (Taranto) per un malore e la grande fatica a temperature insostenibili; Paola Clemente, 49 anni, morta ad Andria il 13 luglio 2015 durante l’acinellatura, la ripulitura dei grappoli dagli acini imperfetti fatta a mano sotto i teli di plastica che arroventano l’aria, nella quale sono impiegate soprattutto donne, locali e romene. Pochi giorni dopo morì anche Mohammed, 47 anni, sudanese, mentre raccoglieva i pomodori nelle campagne fra Nardò e Avetrana. Stroncato dal caldo e dalla fatica. E pochi giorni prima di Fantamadi un bracciante orientale di 57 anni era morto nei campi di riso in provincia di Pavia, ucciso da un colpo di calore.
Anche quest’anno la Puglia e la Basilicata hanno vietato il lavoro agricolo dalle 12,30 alle 16, le ore più calde del giorno. Tali utili provvedimenti non sono arrivati alle orecchie del governatore della Calabria Occhiuto e neanche al ministro Patuanelli, più volte sollecitato ad incontri riguardanti le condizioni di lavoro del bracciantato, ma forse poco interessato a sentire le ragioni di chi tutti i giorni vive condizioni inaccettabili. Una misura, la sospensione del lavoro nelle ore più calde, che deve essere applicata in modo preventivo e diffuso su tutto il territorio nazionale, prima di dover piangere la morte di un altro lavoratore.