La dislessia, il disturbo evolutivo dell’apprendimento che causa difficoltà nella scrittura e nella lettura, è secondo l’OMS tra i deficit più diffusi, con conseguenze emotive più marcate nell’età adolescenziale.
Notoriamente l’adolescenza è il periodo di transito più difficile da affrontare, sia per chi la vive, sia per chi ha a che fare con ragazzi adolescenti. Tra i 13 e i 19 anni si forma l’individuo e si sviluppa l’immagine di sé che va a modellare l’intera personalità. Si tratta della fase di crescita più complessa e delicata, caratterizzata da forti emozioni, negative e positive, e dall’allontanamento dal cerchio familiare a favore del gruppo di amici e compagni.
L’adolescente che presenta un disturbo evolutivo dell’apprendimento, come la dislessia, vive questo periodo con maggiore disagio e frustrazione: a scuola aumenta il carico di lavoro, le lezioni diventano frontali con interrogazioni dirette che prevedono capacità dialettiche ed utilizzo dei termini adeguati, aumentano gli episodi di emarginazione ed aggressività da parte di altri coetanei in cerca della propria identità.
La dislessia causa nell’adolescente coinvolto un aumento dell’ansia e del senso di frustrazione che si ripercuote sull’autostima e sulla conseguente formazione della personalità. Nei casi più gravi il disturbo dell’apprendimento si trasforma in un vero e proprio atteggiamento depressivo, volto alla chiusura totale verso il mondo esterno. Nei casi più lievi, per fortuna anche più numerosi, l’adolescente che presenta problemi legati alla dislessia preferisce evitare le azioni o i compiti che gli costano fatica.
La lettura, in particolar modo quella a voce alta, rappresenta l’ostacolo maggiore per la dislessia. I ragazzi rifiutano tenacemente di leggere e se obbligati, non riescono a sostenere lo sforzo per più di qualche minuto.
Il più delle volte gli adolescenti dislessici appaiono timidissimi, estremamente introversi e molto abitudinari. Tendono a frequentare sempre gli stessi posti e le stesse persone, temono ciò che non trovano familiare. Nonostante questo atteggiamento passivo, risultano estremamente aperti alle sfide, specie quelle che prevedono la competizione in abilità che sanno di possedere e in materie in cui sanno di poter eccellere. Compensano i sentimenti negativi che provoca loro il basso rendimento scolastico con delle eccellenti capacità atletiche e artistiche.
Come si affrontano dunque le implicazioni emotive della dislessia nel periodo adolescenziale? Non ci sono regole precise e assolute, ogni ragazzo ha una personalità differente e modi di reagire assolutamente variabili e non inquadrabili in un preciso modello comportamentale.
Il ruolo più importante è quello dell’insegnante che è tenuto prima di tutto a saper riconoscere il disturbo dell’apprendimento nell’adolescente, anche se non precedentemente diagnosticato, e a consultarsi con i genitori con delicatezza e disponibilità.
Non sono necessari favoritismi di nessuna sorta, non bisogna modificare il metodo di valutazione, che deve assolutamente restare identico per tutti, ma quello di insegnamento. Dando all’adolescente dislessico gli adeguati strumenti per apprendere si garantiranno gli stessi risultati degli altri compagni. Dovranno quindi essere normalmente punite, come in ogni altro caso, le situazioni di menefreghismo e indolenza. La precisa mancanza di volontà di studiare non attribuibile ad alcun disturbo dell’apprendimento non è colpa della dislessia.
L’adolescente dislessico necessita di un metodo di studio diretto, conciso, che proceda per concetti e che non disperda la concentrazione. Mappe concettuali, interrogazioni basate su domande di tipo giornalistico (Chi? Cosa? Dove? Come? Quando?Perché?). La dislessia ha bisogno di cercare l’informazione nella mente in maniera puntuale, senza divagare o perdersi in vie traverse.
Invitare alla lettura va bene, ma senza esagerare. Si dovranno individuare le letture più piacevoli e interessanti per il ragazzo e si dovranno stabilire insieme delle quantità quotidiane, ponendosi un obiettivo numerico di pagine da raggiungere di volta in volta che andrà gradualmente aumentato.
Per i genitori il consiglio è ovviamente quello di saper accettare la problematica, senza opporre strenui rifiuti che causerebbero solo ulteriori danni all’adolescente. Incoraggiare con ottimismo i risultati raggiunti e non forzare mai il ragazzo contro la propria volontà. Saper riconoscere un limite non è necessariamente una sconfitta, ma solo decidere che lì c’è un punto di arresto, un confine, che nel caso della dislessia, è un confine in continuo mutamento, un limite continuamente rinegoziabile, un orizzonte che, insieme, può essere sempre spostato qualche metro più in là.