Attraversare gli spunti di Harry a pezzi, pellicola di Woody Allen, si configura come un’occasione di indugio sull’intricato rapporto tra arte e vita. Ripercorrerne i tratti – tra vita a pezzi e pezzi di vita – significa abitare uno degli itinerari di ricerca più frequentati nella storia culturale e simbolica dell’uomo: il tentativo di approssimarsi all’essenza dell’arte.
Alla prima visione del film di Woody Allen Harry a pezzi si potrebbe pensare, di fronte al procedere frammentato della pellicola, che il supporto utilizzato sia difettoso. O ad un errore di caricamento della piattaforma di cui si usufruisce. In effetti capita questo, nei polifonici e più disparati aspetti della vita, quando l’itinerario intrapreso sembra non tenere conto della forma che ci si aspettava. Che potrebbe trattarsi di un malfunzionamento. A ben vedere, però, è l’esistenza stessa ad imporsi essenzialmente così. I pezzi di vita – proprio come il titolo del film preannuncia e sin dalle prime scene si impone con grande chiarezza – non sempre si incastrano linearmente nel progressivo aprirsi all’inatteso.
E può anche accadere, come avviene ad Harry Block – scrittore di successo in piena crisi artistica ed esistenziale, nonché protagonista dell’opera in questione – di ritrovarsi a vivere cornici esistenziali tanto complesse, ardue, faticose da sentirsi, appunto, a pezzi. Così come capita, nel corso della vita, di disseminare pezzi di sé nella nebulosa delle relazioni e della comunicazione. Della quale uno dei più grandi teatri è l’arte.
PELLICOLA A PEZZI, VITA A PEZZI, PEZZI DI VITA: LA TONALITÀ DELL’OPERA
Insomma, evidentemente l’andamento rapsodico che caratterizza le prime sequenze della pellicola alleniana non costituisce un errore di montaggio. Ma, al contrario, riflette profondamente la tonalità dell’opera e l’andamento frenetico del vissuto di chi, della pellicola, è specchio: Harry Block. Un uomo di mezza età in «bancarotta spirituale», che reca già nel nome la congiurante stasi che ne tratteggia i connotati su due piani di astrazione.
Da un lato – come già evidenziato – Harry Block è attanagliato da un momentaneo ed apparentemente insuperabile ‘blocco dell’artista’. Dall’altro, il personaggio interpretato dallo stesso Woody Allen, è una figura caratterizzata tanto da uno straripante estro artistico sul fronte letterario quanto da un connaturato affanno esistenziale che ne rende difficile la coltivazione di qualunque tipo di relazione.
CONTRADDIZIONI E ORIZZONTI
In questo secondo senso, Harry Block, incarna una triste ma interessante contraddizione che diventerà uno dei principali pilastri concettuali del film. La contrapposizione tra la ‘fluidità’ dell’uomo nell’alveo artistico ed i costanti e puntuali ‘blocchi’ dello stesso nell’universo delle relazioni del mondo ‘reale’.
Il malessere sgorgante dai continui fallimenti inanellati sotto il profilo relazionale si interseca con la momentanea e beckettiana stasi produttiva. Harry Block si ritrova in uno stato di angosciante spaesamento senza precedenti.
Per la prima volta nella vita, allo scrittore viene a mancare anche il terreno dell’arte. Da sempre ritenuta il contraltare propositivo e salvifico a fronte di una vita disordinata, squilibrata, disastrosa. Tre matrimoni falliti, un rapporto claudicante ed accidentato con il figlio ed il profondo senso di solitudine che ne permea la quotidianità.
Harry Block è talmente disperato, a pezzi appunto, da arrivare a definirsi la peggiore persona della storia dell’umanità dopo Hitler, Göring e Goebbels.
LA DOPPIA VIA DELLA PELLICOLA ALLENIANA
In questa cornice si articola una doppia via che permea l’intera pellicola. E che sarà destinata a risolversi in una divergente convergenza e convergente divergenza, sgorgante a più riprese dal profondo itinerario esistentivo ed esistenziale intrapreso dal protagonista: quella tra arte e vita.
Se i due universi, da un lato, mantengono ampi perimetri di specificità – sarebbe ingenuo e parziale sostenerne una netta identità – è pur vero che, dall’altro, si intersecano, arricchendosi vicendevolmente. E ciò emerge icasticamente già dalle prime battute del film quando, in seduta, l’analista di Block riconosce a quest’ultimo la straordinaria capacità di «distillare oro dall’infelicità umana». In questo senso l’arte emerge dalla vita, dall’accostarsi alla viva voce del mondo, facendosene carico, per poi restituirla nei più disparati codici.
LA QUESTIONE DELL’ARTE TRA LA GRECIA ARCAICA E CLASSICA E WOODY ALLEN
Si tratta di un dispositivo già intercettato dai sapienti greci d’età arcaica. Questi ritenevano che gli artisti fossero, in primo luogo, antenne riceventi la parola delle Muse e, solo successivamente, trasmittenti i cenni ascoltati. Ma la stessa arte che emerge dalla vita, dall’osservare – e, quindi, dal theorein, termine dal quale deriva teoria – è anche praxis e, quindi, ritorna alla vita. Alle volte anche prepotentemente se, sempre l’analista, di fronte alle rocambolesche vicende raccontategli da Harry Block, constata che «quindi scrivere le ha salvato la vita».
Ed ancora, le opere di un artista non sono che pezzi di sé disseminati nel mondo. Non si tratta della famigerata ed ancestrale questione dell’autobiograficità o meno di ciò che si produce. Inevitabilmente il mondo incamerato e restituito in forma artistica, passa al vaglio dell’artista che, dunque, sparge frammenti di sé nell’intero. In caso contrario si tratterebbe di un impalpabile e vuoto contenitore che si farebbe solo ed esclusivamente medium di un contenuto di cui sarebbe del tutto inconsapevole.
TORNANTI TEORETICI DA PLATONE A WOODY ALLEN
Già Platone aveva intercettato ed aspramente criticato questa deriva nello Ione, sottolineando come la mania dovesse, per non ricadere nella staticità del Diktat dell’ispirazione, essere smussata dal lògos. In questo caso si può sostenere che il filosofo ateniese sostenesse una convergenza divergente di arte e filosofia. Per quanto non manchino scuole di pensiero che sostengano l’assoluta condanna platonica nei confronti dell’arte.
L’arte, non contenendo in sé e solo in sé la validità dei propri contenuti, deve necessariamente strutturarsi, articolarsi, svilupparsi sulla scorta del méthodos filosofico. Si tratta di un assunto ben delineato dalla pellicola alleniana, in cui i personaggi dei romanzi di Block non sono che frammenti di realtà immagazzinata e poi riproposta dallo scrittore. In altri termini, pezzi dell’autore che, ancora una volta, riemergono nel reale quando – in uno scenario tra il sobrio e l’onirico – dialogano con lo stesso Block.
LE SOGLIE TRA ARTE E VITA
A questo punto i margini tra arte e vita sono soglie piuttosto che incrollabili e marcati confini. E l’itinerario dello scrittore interpretato da Allen si gioca nel teatro dell’enigma. Confrontandosi, a pezzi com’è, con le sue stesse opere – pezzi di sé – Block tenta di mettere ordine al suo vissuto. Non prima di aver compiuto l’impresa di scendere nel proprio inferno sulle note di Sing, Sing, Sing e confrontarsi con i più profondi meandri dell’esistenza.
Invitato ad una cerimonia in suo onore dall’università che, un tempo, frequentava, ma poi costretto a lasciare il luogo e rinunciare al premio da vicende rocambolesche degne del miglior teatro dell’assurdo, Harry Block torna, sommesso, alla sua abitazione. Di ordine, nella sua vita ‘reale’, è riuscito a instillarne ben poco. Destino naturale sarebbe una resa senza appello. Eppure, nel fecondo silenzio di una dimora vuota, un cauto fuoco riecheggia attorno la macchina da scrivere. L’arte emerge dalla vita e ad essa ritorna. Arte che è teoresi e prassi. Vita a pezzi che riemerge da pezzi di vita:
È stupefacente. Per me è un personaggio davvero interessante: un tizio che non sa funzionare bene nella vita ma che funziona bene solo nell’arte. Questo è triste, ma anche buffo: ottimo per un romanzo.
Mattia Spanò