Figlia di Priamo ed Ecuba, principessa troiana, la profetessa Cassandra è tra i personaggi più dolorosi da leggere della mitologia greca. Dotata del dono della profezia, infatti, per volere divino rimase sempre inascoltata, pur svelando ogni volta il vero sul futuro.
Oggigiorno può ancora capitare di sentire qualcuno dire a un altro: «Sei proprio una Cassandra!», col significato di “uccellaccio del malaugurio”. La psicoanalisi junghiana – in particolare per opera di Laurie Layton Schapira – per parte sua attorno al mito di Cassandra ha costruito la descrizione di un disturbo maniacale. La “sindrome di Cassandra“, infatti, consiste in questo quadro nella formulazione di profezie apocalittiche nel contesto di crisi culturali o sociali. Proprio le modalità di comunicazione di chi soffre di questa patologia, secondo gli psicoanalisti, insieme al contesto, contribuirebbero a rendere ineluttabile quanto profetizzato. Innescando e infiammando le paure collettive con la propria predicazione, in altri termini, la Cassandra in questione si porrebbe automaticamente come allettantissimo capro espiatorio. Nella forma fisiologica quanto in quella patologica, comunque, la figura di Cassandra si lega a un pessimismo infondato. Che, però, non rende ragione alla verità del suo mito.
Cassandra e il dono crudele della profezia
A differenza delle Cassandre malauguranti, la Cassandra mitologica aveva assolutamente ragione. Non temeva un futuro nebuloso: cercava di avvisare chi le stava intorno di ciò che aveva visto sarebbe accaduto. La principessa troiana, infatti, possedeva il dono della profezia.
Su come ne fosse venuta in possesso, in realtà, le diverse versioni del mito non sono unanimi. Di lei hanno scritto infatti Omero, Euripide, Apollodoro, Virgilio, Igino, ascrivendo origini differenti alle sue capacità profetiche. Secondo alcuni, infatti, era stato il dio Apollo, invaghitosi di lei, ad aprirle gli occhi sugli eventi a venire. Un bacio o una carezza sulle palpebre: lo sguardo di Cassandra non sarebbe mai più stato lo stesso. Secondo altri, invece, tale capacità aveva origini più antiche. Lei e il fratello Eleno l’avevano ricevuta quando erano ancora bambini. Durante un banchetto nuziale si erano allontanati per giocare e, esausti per il gran correre, avevano cercato rifugio in un tempio, addormentandosi presso l’altare. La madre Ecuba avrebbe notato la loro assenza solo terminati i festeggiamenti. Li avrebbe ritrovati lei stessa nel tempio, vedendo inorridita che dei serpenti sacri stavano lambendo loro le orecchie, purificandoli. E rendendoli profeti.
Che, direttamente o meno, sia stato Apollo a donarle l’arte oracolare, è quasi certo che sia stato il dio a emettere la condanna di Cassandra. Il dio della divinazione e delle arti, infatti, come insegna anche il mito di Dafne, non gradiva ricevere dalle fanciulle di cui s’invaghiva un “no” come risposta. Rifiutato da Cassandra, infatti, il dio per vendetta le sputò sulle labbra: da quel momento, nessuna sua parola sul futuro sarebbe stata creduta. Mai più.
Odiata e ignorata: la profetessa straniera in ogni terra
Incapaci di vedere che diceva il vero, i Troiani cominciarono a darsi rispetto a Cassandra la più semplice delle spiegazioni: la principessa portava sfortuna. Né erano i soli sudditi a pensarla in questo modo, ma anche i familiari. Così, quando nacque Paride, Priamo ed Ecuba si risolsero a dare ascolto alla figlia solo quando anche il fratellastro e sacerdote Esaco predisse sventure. Se non l’avessero abbandonato, il bambino avrebbe mandato in rovina la città. Ma non fu sufficiente: esposto sul monte Ida, Paride si salvò e tornò per gareggiare ai giochi rituali una volta diventato un giovane uomo. Fu Cassandra a riconoscerlo e perciò chiese ai fratelli di ucciderlo, per la salvezza della città. Non creduta ancora una volta, sortì l’effetto opposto, facendo recuperare a Paride il rango di principe. Prima che lui partisse per la Grecia e subito dopo il rapimento di Elena, Cassandra vaticinò la rovina di Troia. Ma ormai era tardi.
Il resto è storia (o meglio, mito). E per Cassandra si concretizza in un’immagine di brutalità feroce. Quella di Aiace Oileo, empio miscredente, che la trascina fuori dal tempio di Atena, di cui era sacerdotessa, per violentarla. Nel farlo, però, l’acheo commette un’empietà troppo grave anche per lui. Strattonando la giovane, cioè, fa rovesciare il Palladio, una statua di legno sacra che protegge la città. La vendetta di Atena per questo non si farà attendere. A causa di questo gesto, infatti, quasi nessuno tra i principi achei avrebbe avuto un felice ritorno a casa.
Magra vendetta per Cassandra. Toccata in sorte ad Agamennone, infatti, una volta a Micene prova ad avvertirlo del pericolo rappresentato da Clitennestra. Non creduta, però, subisce l’ira della regina, venendo uccisa insieme al re.
Cassandra: la dignità, la perseveranza, la vendetta
Degli ultimi atti della vita di Cassandra il mito dà informazioni discordanti. C’è chi, come Eschilo nel suo Agamennone, la vede come quasi remissiva al suo destino. La sua ira è tutta per Apollo. Euripide, invece, la lascia alla sua sorte con le armi in pugno: informata dall’araldo Taltibio che Agamennone l’ha scelta, Cassandra cade in un delirio che reclama sangue.
Madre, incorona la mia testa trionfante e rallegrati per le mie nozze regali!
E se ti sembra che non sia abbastanza sollecita, scortami, spingimi con forza.
Se l’Obliquo esiste, Agamennone, il re glorioso degli Achei si congiungerà con me in nozze più micidiali delle nozze di Elena. Perché lo ucciderò, e distruggerò la sua casa, vendicando i miei fratelli e mio padre…
Ma tralascerò qualcosa. Non canterò la scure che si abbatterà sul collo mio e di altri, né le contese matricide suscitate dalle mie nozze, e la devastazione della casa di Atreo.
(Le Troiane, I, vv. 456-462)
Nell’iconografia e nella letteratura più recenti, è quest’ultima la versione che ha avuto maggior successo. Si pensi, ad esempio, alla Cassandra di Christa Wolf o a quella di Marion Zimmer Bradley. Vinta dal destino e dal volere di uomini e Dei troppo più forti, la giovane principessa non chiede più aiuto. Assume su di sé il dono della preveggenza e si prepara a farne uso. Perché se la sua vita, come sa, deve finire, che almeno il fuoco della sua vendetta possa consumare chi ha distrutto la sua casa.