Con l’acquisizione di Twitter, il magnate Elon Musk si erge a garante della democrazia all’interno della sua piattaforma. Ma come può un social network essere democratico e perché mai dovrebbe diventarlo?
Alla luce della recente acquisizione di Twitter e delle dichiarazioni del suo nuovo proprietario in merito all’intenzione di rendere democratico il social network, viene quasi spontaneo chiedersi se questo obiettivo sia effettivamente raggiungibile o desiderabile.
Garanzia di democrazia o mera accessibilità?
In linea di principio, tutti coloro che soddisfano i requisiti d’età stabiliti possono iscriversi a un social network e dare voce alle proprie opinioni. Poco importa se poi, in nome del tanto invocato diritto alla libera espressione, si offende la libertà altrui. L’apparente “suffragio universale” dei social, tuttavia, non può essere indice di democraticità, ma solo della loro teorica accessibilità a tutti coloro che intendono farne parte. Tale accessibilità garantisce loro una quantità enorme di iscritti e un conseguente innegabile potere. Eppure, per via della natura stessa dei social network, quel potere non risiede e non può risiedere nelle mani del popolo, come invece vorrebbe l’etimologia della parola democrazia.
Con una certa approssimazione, quello svolto dai social network potrebbe essere considerato come una forma di servizio pubblico, paragonabile, con le dovute distinzioni, a quello offerto da altri mezzi di comunicazione. Così come gli altri media, anche i social sono imprese che, come è giusto che sia, hanno una propria linea di pensiero. Agli utenti sta quindi la scelta di iscriversi o no, come quella di cambiare canale o di non acquistare uno specifico giornale. Eppure, questa si chiama, ancora una volta, libertà e non democrazia. Per quanto sia infatti il popolo a scegliere se e a chi dare ascolto, non è il popolo ad attribuire ai social media il potere di diffondere informazioni. Piuttosto, è il sistema democratico dello Stato in cui essi esercitano il proprio diritto di cronaca a garantire loro tale potere.
Norme di comportamento o restrizioni della libertà?
In virtù del diritto d’espressione, trovo sacrosanto che, purché in modo intellettualmente onesto, ogni impresa e canale di comunicazione adotti una propria linea interpretativa e imponga delle norme di comportamento ai propri utenti.
Era giusto che Twitter censurasse i contenuti che riteneva non aderenti ai propri standard? Credo di sì. Benché non fosse ancora una società privata (era infatti quotata in borsa), ritengo che Twitter, in quanto impresa, avesse ogni diritto di porre e far rispettare delle regole di condotta. La valutazione su quanto condivisibili fossero tali regole e il pensiero a esse sottostante stava poi al giudizio dell’utente.
Era un comportamento democratico? Probabilmente no, ma Twitter non è un ente eletto dal popolo e non è quindi tenuto ad adottare comportamenti democratici. Perché mai una piattaforma dovrebbe snaturare il proprio credo per accontentare un pubblico che, se insoddisfatto, potrebbe semplicemente abbandonarla?! Che cosa c’è di sbagliato nel fatto che i legittimi proprietari pongano delle condizioni all’utilizzo dello spazio che mettono a disposizione?
La democrazia è essenziale per i social network?
Personalmente, non ritengo affatto che l’essere democratico sia un requisito necessario per un social network. Trovo però quantomeno ingannevoli le dichiarazioni con cui Musk sostiene che la sua acquisizione di Twitter renderà la piattaforma finalmente democratica.
Se la struttura dei social network non prevede che sia il popolo a eleggere i propri rappresentanti (o proprietari), come può quella società dirsi democratica? Al di là delle dichiarazioni, sembra che Elon Musk in realtà tema la democrazia al punto da ritenersi l’unico autorizzato a concederla – sebbene in forma puramente illusoria. Appare infatti paradossale che il millantato processo di democratizzazione sia avvenuto tramite privatizzazione e accentramento nelle proprie mani di un potere che era, per giunta, auto-attribuito. Mani che, con l’acquisizione, hanno avuto accesso a un’infinità di dati relativi agli utenti della piattaforma. Dati di cui sappiamo – pur senza voler, in questa sede, entrare nel merito della questione – che l’uomo più ricco del pianeta potrà disporre quasi a proprio piacimento. Inutile dire che l’immagine, francamente preoccupante, evocata da questi fatti non è quindi quella della democrazia, bensì quella dell’autocrazia.
Democrazia o plutocrazia?
Chiunque possieda le risorse economiche necessarie può acquisire un’azienda e, nei limiti del legale, farne ciò che vuole. Tuttavia, le azioni intraprese dal proprietario di un’impresa, seppur volte al bene degli utenti, non possono e non devono essere scambiate per democrazia. Qualsiasi tentativo di spacciarle per tale è, anzi, un lampante esempio di demagogia in atto. A preoccuparmi, pertanto, non è affatto la risaputa non democraticità dei social media, ma il fatto che un singolo uomo in possesso di una piattaforma globale, auto-proclamandosi garante della democrazia, possa convincerci che vi sia democrazia in un regime autocratico.
Cristina Resmini