Italia tra i primi Paesi in Europa per tasso di suicidi. Squilibrio tra forze di polizia e personale educativo. Necessarie più pene alternative.
È stato recentemente pubblicato il report Space I, con cui ogni anno il Consiglio Europeo, in collaborazione con gli esperti dell’Università di Losanna, fornisce un quadro statistico riguardo la popolazione carceraria e gli istituti detentivi dei Paesi membri. Dal report , che mette a confronto le situazioni nei Paesi Europei e analizza i molteplici aspetti che riguardano la vita nei carceri, risulta che l’Italia si conferma tra i primi per sovraffollamento, anche se ad allarmare è soprattutto il tasso di suicidi.
Sovraffollamento ed elevato tasso di suicidi: urgente intervenire sulle condizioni degli istituti italiani
Sebbene sia stato registrato un importante calo nel tasso di popolazione detenuta rispetto al 2011, al 31 gennaio 2021 gli istituti penitenziari italiani presentavano 53.329 detenuti, a fronte di una capacità regolamentare di 50.551 posti, con un tasso di 105,5 detenuti ogni 100 posti. Tale capacità, non consente l’assegnazione di celle che garantiscano i servizi di prima necessità ai detenuti.
Il dato più allarmante però è il tasso di suicidi, tra i più alti in Europa. Nel solo 2020, i decessi totali nelle carceri italiane sono stati 155, di cui sessantuno suicidi, pari al 39,4%, una percentuale che supera notevolmente la media europea, stimata al 28,4%. Uno scenario che deve indurre a riflettere sul modello penitenziario italiano, se si considera che oltre la metà dei detenuti coinvolti, non stava scontando una condanna definitiva.
Questi numeri ci collocano purtroppo tra i primi undici Paesi, tra i quali però bisogna considerare anche realtà come Norvegia e Finlandia, Danimarca e Lussemburgo dove il tasso di suicidi è infinitamente inferiore.
Rimediare al sovraffollamento: più pene alternative e risanamento delle strutture
Ad aver ricevuto sentenza definitiva al 31 gennaio 2021 è il 67,9% dei detenuti presenti. Tra di essi, il 29,1% ha ricevuto una pena che va da cinque a dieci anni, a fronte di una media europea del 21,9%, il 17,9% dai dieci ai venti , mentre 13,2% in Europa e il 6,7% oltre i vent’anni (4,1%, media Europea).
Questi numeri mettono in evidenza la necessità di un celere intervento che, all’atto pratico, deve considerare l’introduzione di pene alternative, previste anche dalla Costituzione ma ancora troppo poco applicate. Limitarsi a costruire nuove strutture al fine di creare nuovi spazi è una misura che non produce significativi miglioramenti per la vita dei detenuti e il loro reinserimento nella società.
Bisogna prima di tutto intervenire sulle precarie condizioni delle strutture esistenti, sulla carenza di personale civile e su un maggior dialogo con la società: considerazioni confermate anche dall’analisi degli studiosi di Losanna.
Evidente squilibrio nel personale: tanta polizia, pochi medici e psicologi
Dall’altro lato la questione del personale, il cui totale ammonta a 40.714 unità. Tuttavia, del personale impiegato direttamente dall’amministrazione penitenziaria l’82,9% è dedicato esclusivamente alla custodia – contro una media europea decisamente inferiore del 54,6%.
Non compaiono dati riguardo il personale medico e paramedico, poiché assunto esternamente, ma figurano comunque solo sette psicologi, 830 funzionari giuridico-pedagogici e ventidue figure dedicate alla formazione professionale.
Questo squilibrio tra le forze di polizia e il personale educativo è sempre stato evidenziato da Antigone: per migliorare le condizioni di vita negli istituti non si può invece prescindere dal potenziamento del personale che si occupa della rieducazione e del benessere psicologico dei detenuti stessi.