Conosciamo tutti la storia di Cenerentola: una tenera, rassicurante vicenda d’amore, di magia e di riscatto. Niente piedi o teste mozzate, niente crudeli vendette, niente sorellastre costrette a danzare coi piedi arroventati fino alla morte. Vero?
Cenerentola è una delle fiabe più conosciute e amate dai bambini (e, soprattutto, dalle bambine) in tutto il mondo. Riproposta in decine di rifacimenti e adattamenti – l’ultimo, in uscita il 13 maggio su Disney+, presenta la protagonista addirittura in versione maschile, nei panni di un designer di sneakers in erba – essa sembra godere di una fortuna senza fine. Apparentemente, perché è una storia garbata, rassicurante, piena di speranza. Ma siamo proprio sicuri che sia così?
In un suo recente saggio dedicato alla narrativa per l’infanzia, la scrittrice Katherine Rundell confessa di trovare poco attraente la versione Disney di Cenerentola. E di ritenere un peccato che riprese e adattamenti contemporanei si ispirino pressoché esclusivamente a quest’ultima. Cosa motiva questo giudizio dell’autrice per ragazzi? Anzitutto, una conoscenza profonda di una storia che, in realtà, è antichissima. E decisamente più crudele e spregiudicata di quanto potrebbe sembrare. Infatti, scrive Rundell,
la Cenerentola di Disney – quella che aspetta pazientemente di essere vista, abbellita, scelta e resa ricca – manca di fame. Le fiabe vere raccontano la fame: la fame di potere, soprattutto. Ma anche la fame di giustizia, amore, cambiamento e trasformazione, anche la fame di altre persone. I personaggi si divorano tra loro, anche letteralmente, finché non si trovano incastrati l’uno nell’altro come matrioske.
Cosa intende dire Rundell? Per scoprirlo, bisogna immergersi nelle altre versioni della fiaba. Quelle, decisamente meno rassicuranti, che la vulgata disneyana ha fatto passare in secondo piano.
Cenerentola in Cina e in Egitto
La storia di Cenerentola ha origini antichissime. Il precedente forse più antico si trova in una fiaba popolare cinese trascritta nel VI secolo a. C. da Tuan Ch’ing-Shih. In questa versione della storia, Cenerentola si chiama Yen-Shen e ha una particolarità: i piedi più piccoli di tutto il regno. Una dote non da poco, considerato che all’epoca della favola in Cina i piedi piccoli nelle donne erano considerati un segno di nobiltà e distinzione. Proprio per questo, trovata una scarpetta appartenente alla fanciulla, l’erede al trono la fa cercare per tutto il regno, scegliendola come legittima sposa.
Qualche secolo più tardi, la favola compare nel Mediterraneo: ambientata nell’Egitto del V secolo a. C., ne fa un accenno Erodoto un secolo dopo. Per vederla ripresa e approfondita, invece, bisognerà aspettare nel I secolo d.C. Strabone e nel II d. C. Claudio Eliano. La vicenda, però, è grossomodo la stessa: la virtù di una giovane serva tracia, Rodopi, viene vista e ricompensata dagli Dei.
Bravissima danzatrice e serva volonterosa, le compagne la detestano ma il padrone, apprezzandola, le fa dono di un paio di pantofole di seta dorate. Quando il faraone Amasis invita il popolo a una gigantesca celebrazione a Menfi, le altre serve s’ingegnano per impedire a Rodopi di partecipare. Il dio Horus (o Zeus), però, vede e provvede. Così, mentre lei fa il bucato al fiume lasciando le pantofole ad asciugare, in forma di aquila la divinità plana dal cielo per rubarne una. Andando poi a farla cadere molto opportunamente in grembo ad Amasis a Menfi. Il faraone della ventiseiesima dinastia, ammaliato dalla leggiadra forma del piede impressa nella calzatura, ne fa cercare la proprietaria per tutto l’Egitto. Riuscendo, con non pochi sforzi, a reperire la servetta, a comprarne la libertà e renderla sua sposa.
Insolita e crudele: un’eroina horror nell’Europa moderna
Perché le cose con Cenerentola si facciano davvero interessanti, però, occorre attendere ancora qualche secolo, fino ad approdare alla modernità europea.
La prima versione davvero inquietante della favola si trova in Giambattista Basile, autore napoletano celebre per la raccolta Lo cunto de li cunti (1634). Nella favola – intitolata Gatta Cenerentola – di Basile l’eroina compare con il nome di Zezolla, una ragazza sfortunata con preoccupanti tendenze omicide. In questa versione della storia, infatti, la fanciulla, detestando la propria matrigna, si lascia consigliare dalla propria istitutrice a decapitarla con un baule. Avendo poi convinto il padre a sposare l’istitutrice, Zezolla precipita dalla padella nella brace, poiché costei la relega ai lavori domestici. A guadagnarsi l’affetto del nobile padre, infatti, sono le sei figliastre, che danno filo da torcere alla protagonista, salva grazie al provvidenziale intervento delle fate. Grazie a un dattero magico coltivato amorevolmente, infatti, Zezolla può incontrare una fata madrina davvero generosa. Costei, infatti, le permette non solo di riguadagnare la libertà e la dignità perdute, ma addirittura di sposare il re.
Epurata da Perrault per la sensibilità della corte di Francia, Cenerentola riveste i panni horror nella versione del 1812 dei fratelli Grimm, intitolata Aschenputtel. Particolarmente cruenta, in questa versione della favola, è la sorte delle sorellastre. Infatti, per ingannare il principe esse sono costrette ad amputarsi una l’alluce e l’altra una parte di calcagno per entrare nella scarpetta dorata. Come se non bastasse, la vendetta di Cenerentola è terribile. Quando le due sorellastre cercano di ingraziarsela accompagnandola nella navata il giorno del matrimonio, le fedeli colombe che accompagnano la giovane cavano loro gli occhi.
E non è ancora tutto. Esistono centinaia di varianti della storia di Cenerentola in tutto il mondo. In alcune, come quella islandese, la matrigna è in realtà un’orchessa, cui per vendetta Cenerentola, una volta libera, serve le figliastre in uno stufato. In altre, invece, la vendetta contro le sorellastre consiste nel farle danzare fino alla morte con scarpette di ferro arroventate.
Cenerentola horror: perché ci conquista?
Indubbiamente, la Cenerentola bella e perfida ha un fascino particolare, accattivante anche per un pubblico più ampio degli amanti dell’horror. Il motivo è semplice: la versione edulcorata di Perrault, nonché quella ancora più dolce di Disney, non bastano. Ci danno il lieto fine, ma ci privano della lotta e della ferocia che fanno parte dell’umano e che invece figurano nelle fiabe tradizionali come elementi di cruciale importanza.
Riflettendo su questo aspetto, Rundell – che si citava in apertura – scrive:
Se hanno il potere di fare bene, le storie hanno evidentemente anche il potere opposto. […] Voler cambiare queste storie non è strano. Sono sempre cambiate: strano sarebbe volerle tenere ferme. […] Fiabe, miti, leggende: sono le nostre fondamenta e noi
adulti dobbiamo continuare a leggerle e a scriverle. Dobbiamo continuare a reimpossessarci di loro mentre loro possiedono noi.