In questi giorni tiene banco il dibattito sulla riforma del catasto. La manovra da alcuni è più che auspicata, poiché stanerebbe gli evasori fiscali, proprietari di “immobili fantasma”. Altri, invece, negano la necessità di una riforma del catasto, soprattutto in un momento in cui -guarda caso- c’è altro a cui pensare. Questa novità, secondo questa posizione, obbligherebbe i contribuenti ad affrontare nuove spese. Il dibattito, recentemente salito agli onori della cronaca a seguito dell’interessamento del Premier Draghi, è in realtà vecchissimo. E simili al passato sembrano essere le posizioni della politica.
Riforma del catasto: tra i due litiganti chi non paga l’Ici gode
L’argomento in mano a chi dichiara che con la riforma del catasto ci sia solo che da guadagnare è che, stanando ruderi e immobili fittizi in attesa di destinazione sfuggiti all’accatastamento, si recupereranno almeno tre milioni e mezzo di tasse. In effetti, a chi non crea risentimento pensare ai capanni silenziosamente diventati villette sul mare, o alle vecchie stalle trasformate in centri benessere? La posizione opposta, sostenuta dalla destra, fa invece appello al bene più prezioso ed emotivamente evocativo per molte famiglie italiane: la casa. Su questa, afferma Salvini, cadrebbe una stangata patrimoniale in un periodo di difficoltà economica per molti. Non c’è dubbio che, trattandosi di riforma del fisco, è prevista una revisione e un innalzamento di alcune aliquote, ma è vero anche che queste verrebbero compensate da alcune riduzioni.
La riforma del catasto piace a tutti, tranne a chi ci rimetterebbe: indovina chi
Il fatto veramente interessante e poco dibattuto mentre le parti sono intente a guardare pagliuzze negli occhi altrui è un altro. È vero: Italia esistono diversi immobili non censiti, o censiti con fantasia, di proprietà di ricchi furboni. Tuttavia, la maggior parte dei mancati incassi risiede altrove. Le mancate entrate per il fisco italiano sono infatti legati alle obsolete e arbitrarie esenzioni fiscali applicate ai beni della Chiesa. Uno dei tanti privilegi che, secondo un sondaggio Doxa condotto l’anno scorso su commissione dell’Uaar su una popolazione di 2142 intervistati, è sgradito alla maggioranza degli italiani.
Tassare gli immobili della chiesa: i cittadini sono d’accordo
Mentre Draghi e i sostenitori della riforma del catasto da una parte e il monolitico movimento “no tasse” dall’altra perdono tempo a litigare, sfugge a entrambi la più lapalissiana delle soluzioni. Il censimento e la tassazione degli immobili di proprietà della Chiesa dovrebbe mettere d’accordo tutte le forze politiche. E non solo loro. Il sondaggio Doxa ha evidenziato come questa posizione già metta d’accordo praticamente tutti i cittadini. Il 54% degli italiani, infatti, desidera che la Chiesa versi allo Stato le imposte su tutti gli immobili di sua proprietà. Il 30,2% del campione analizzato si limiterebbe alla tassazione degli immobili su cui la Chiesa incassa redditi. Solo un’esigua minoranza della popolazione italiana (il 9,4%) è contraria alla tassazione degli immobili della Chiesa. E, tuttavia, decidersi a tassare anche i beni ecclesiastici non sarebbe una scelta né malvagia né infondata. Plurime condanne obbligano infatti già da tempo il nostro paese ad applicare regolari imposte a tutti.
Immobili della Chiesa: l’assurdo motivo per cui non sono tassati
Mentre la riforma del catasto contempla di tutto fuorché i beni, spesso di lusso, su cui il clero non paga le giuste imposte, il gruzzolo continua ad aumentare. Ammontano ormai a miliardi gli arretrati Ici in attesa di essere riscossi. La ridicola scusa accampata per il mancato incasso dell’imposta comunale sugli immobili è disarmante. A impedire allo stato italiano la mancata riscossione delle tasse sugli immobili ecclesiastici sarebbe la difficoltà del censimento. Il riferimento è alla vicenda iniziata più di dieci anni fa con la denuncia dell’ex deputato Maurizio Turco e del fiscalista Carlo Pontesilli per le esenzioni fiscali concesse agli enti ecclesiastici impegnati in attività commerciali. Denuncia conclusasi nel 2018 con la sentenza della Corte di Giustizia Europea. La Corte Europea stabilì che l’Italia ha l’obbligo di recuperare le somme dovute, non essendo più considerata valida la scusa delle “difficoltà organizzative” che avrebbero determinato l’impossibilità di individuare retroattivamente il tipo e la percentuale di attività (economica o non economica), e quindi la riscossione.
Cosa aspettarsi
In un periodo in cui recuperare soldi sperperati appare quanto più urgente che mai anche ai non addetti ai lavori, la politica sembrerebbe non riuscire a inquadrare la soluzione, anche se palese. Secondo il segretario nazionale dell’Uaar Roberto Grendene «Se la riforma del catasto punta tra l’altro a stanare gli “immobili fantasma”, perché non darsi come primo obiettivo quello di recuperare finalmente le ingenti somme dovute allo Stato dal più grande immobiliarista del mercato, ossia la Chiesa?». Non sappiamo se partirà o meno la riforma del catasto. Di certo sarebbe una buona idea partire con il censimento e la regolare tassazione degli immobili della Chiesa e delle sue ramificazioni.
Irene Tartaglia