Quando il movimento di chi non concorda con le linee generalmente imposte s’infiamma e cresce, come nel caso dei No Green Pass e No Vax, è adeguato o utile, perseguire la strada della sua ridicolizzazione?
Abbiamo dimenticato quanto sia necessario amare e prendersi cura della diversità di opinioni, preferiamo piuttosto nutrire ed accrescere l’avidità dell’ego. Lo scopo è unico: avere ragione. Ma è questa la traiettoria da seguire?
Emblematica e rappresentativa di un pensiero sviluppatosi con l’emergere delle normative relative alla situazione pandemica, una frase esposta su una lavagna di un bar in Urbino, nelle Marche, è divenuta fulcro di discussioni, nella provincia e non solo. È Febbraio e la scritta del locale Caffè del sole, recita: “Si raccomanda alla gentile clientela di non smettere di vivere per paura di morire”. Sul retro “In questo esercizio si disapplica qualsiasi normativa relativa all’utilizzo o alla richiesta di Green Pass”. La chiarezza dell’obiettivo esposto con tanta fermezza ha suscitato l’immediata reazione della polizia, la quale ha fortemente consigliato ai titolari di cancellare l’invito per evitare futuri provvedimenti.
Ora, a prescindere dalla legittimità e dalla scientificità delle tesi di chi sostiene l’inadeguatezza non solo dei contenuti, ma anche delle forme e dei tempi prescritti dalle norme per arginare la diffusione del virus, è forse giunto il momento per sospettare circa le dinamiche attraverso le quali si compie l’attuale scarno dibattito, povero d’intenti unificanti.
Chi di noi si direbbe disposto, anche solo ad ascoltare l’esposizione di un’idea opposta alla propria, se la controparte ride e sbeffeggia ancor prima che la discussione abbia inizio?
Ridimensionare il proprio protagonismo è il modo più sano e concreto per preservare l’intento stesso dell’incontro tra divergenze.
I No Green Pass ed i No Vax, nati e cresciuti negli ultimi due anni non scaturiscono dal nulla, sono il frutto, sin troppo maturo, di ciò che finora è stato fatto. Sono figli della rabbia, risentimento sociale allo stato puro. Pretendere il loro silenzio, senza accogliere o perlomeno tentare il dialogo con questi interi gruppi di cittadini è un difetto. Una lacuna in cui la maggioranza attuale potrebbe smarrire le sue fondate ragioni.
È imprescindibile stringere in pugno la veridicità scientifica quando la politica è chiamata a rispondere di un’emergenza sanitaria di tale portata. Però, ogni bilancia per il suo equilibrio richiede una massa compensatrice. Nell’altra mano stringere la disponibilità al dialogo, all’iper-demonizzato compromesso è indispensabile, assieme ovviamente, al modo con il quale vengono comunicate le scelte fatte e future. Non si tratta dunque di polemizzare l’efficienza del vaccino o di qualsiasi prevenzione medica attuata negli ultimi tempi, quanto di comprendere sinceramente perché ne sia derivata una protesta di tale portata, e come questa avrebbe potuto essere meno furente se a sostegno delle concrete spiegazioni empiriche fosse stata applicata un’altrettanto solida, delucidazione mediatica.
Nel merito di questa dicotomia, ambo le parti in gioco, tendono a percepire la realtà in maniera unilaterale. È un fenomeno cognitivo che possiede volto e figura: “bias da conferma”.
La selezione perpetua di informazioni in linea con le nostre convinzioni o ipotesi finisce per attribuire ad esse credibilità assoluta. Siamo portati ad ignorare o sminuire qualsiasi ragguaglio che le contraddica. L’attitudine risultante sarà il circondarsi di persone che siano in accordo con noi e conseguentemente, emarginare le opposizioni, o appunto, svalutarne le posizioni precocemente. Serrare le porte al confronto diviene definitivo specialmente quando a questa dinamica succede l’effetto “Dunning-Kruger”; l’illusione sistematica di possedere capacità intellettuali superiori alle conoscenze effettive possedute, finisce per distoglierci dall’inesattezza delle nostre tesi. L’ignoranza semina sè stessa nell’assenza di una responsabile autocritica. L’evidente fragilità di questa falsa apparenza rischia di contaminare il pluralismo e cadere in un doveroso adeguarsi al “pensiero unico”.
Ad una gestione della pandemia maggiormente sensibile al dubbio altrui, avrebbe potuto rispondere una proporzionale crescita del consenso. Abbiamo certamente perso un’occasione, ma l’evolversi del tempo offre possibilità di riscatto…
Paradossalmente, il conflitto russo-ucraino è un’opportunità: potremmo restituire a quella dibattuta locuzione, un significato nuovo.
Il crudele realizzarsi della guerra deve preoccuparci. Spingerci a riflettere sull’importante solidità della democrazia e sulla contraria violenza di cui sappiamo capaci le dittature. Quel “non smettere di vivere” può essere un invito alla protesta, al dissenso, al rifiuto totale del conflitto armato. Possiamo accogliere ed impersonare ogni affermazione rilevante che sfoci in atti significativi. Ma possiamo fare di più come non cadere nella retorica di guerra per la quale l’individuazione forzata del nemico porta le coscienze a ritenerne lecita l’oppressione.
Il linguaggio è il fondamento dell’agire umano, gli avvenimenti di questi giorni tracciano sagome di una storia che tenta di tornare indietro. Noi, protagonisti di quest’ultima, dobbiamo muoverci controcorrente. Ritrovare, custodire ed accrescere le potenzialità della comunicazione è sinonimo di ricercare il nostro comune (e nel migliore dei casi, pacifico) stare nel mondo.
In ogni caso dunque: non smettere di dialogare per timore di un contrasto.