Questione Ucraina: mentre i grandi giocano a fare la guerra e ad intensificare gli schieramenti in campo, dalle Repubbliche Popolari di Donetsk (DPR) e Lugansk (LPR) aumentano le evacuazioni di bambini, donne e anziani.
Sono ormai quotidiane, talvolta minuto per minuto, le notizie riportate dai media occidentali sulla questione Ucraina, fino a poco tempo fa quasi sconosciuta per i più.
Nonostante questa abbia avuto inizio nel 2014 e abbia provocato molti morti tra civili e combattenti nella zona del Donbass, sembrerebbe che solo oggi il mondo se ne stia accorgendo, come conseguenza dello scendere in campo di nomi altisonanti e del possibile avvicinamento al confine europeo.
Questione Ucraina: notizie discordanti e sensazionalistiche dalla diplomazia
Confermata dal portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, la telefonata tra Putin e Macron e previsti per oggi e domani altri colloqui internazionali, al fine di continuare sulla linea del dialogo.
Prematuro, anche se avvalorato, invece un incontro con Joe Biden; troppo presto per stabilirne le date e i contenuti.
Richiesta, infine, dal leader della Federazione una seduta straordinaria del Consiglio di sicurezza.
Pioggia di accuse rivolte all’Est da parte del blocco della Nato.
Per il presidente Biden, ma non è una novità, la Russia sarebbe sempre più pronta ad invadere l’Ucraina.
Presto un violento attacco russo
Lo stesso era la settimana scorsa, quando addirittura sembrava esserci una data certa.
Per la Prima Ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, il riaccendersi della questione Ucraina sarebbe stato causato esclusivamente da Mosca e da questa, pertanto, dovrebbe essere risolto.
Per il Primo Ministro degli Esteri austriaco, Alexander Schallenberg, Putin avrebbe già annesso la Bielorussia di Lukashenko. Le truppe russe sono in realtà nello stato di Minsk per operazioni missilistiche congiunte e non contrarie alla volontà bielorussa.
L’Ucraina chiede di imporre sanzioni, ancor prima di trovare una soluzione.
Serve grande oggettività per analizzare questa situazione, se si vuole provare a comprendere. Ognuno può e potrà avere il suo punto di vista sulla questione Ucraina, ma non possiamo limitarci a pensare che ci sia da una parte un unico cattivo e dall’altra un esercito di esportatori di pace e giustizia.
Crederemmo di nuovo alla storia delle bombe intelligenti.
Le origini di un conflitto localizzato
E così mentre si susseguono queste notizie e aleggia, più o meno pesantemente e a giorni alterni, lo spettro di una guerra di grandi dimensioni, si riaccende un conflitto, mai del tutto sopito, minore, localizzato e che, purtroppo, già comincia ad avere drammatiche conseguenze.
Siamo nelle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk proclamatesi indipendenti dall’Ucraina nell’aprile del 2014; in questi territori si sono poi tenuti, nel maggio dello stesso anno, dei referendum, mai però ufficialmente riconosciuti.
Per questi i leader separatisti hanno chiesto e chiedono una ufficializzazione, anche al fine di pacificare l’area, alla quale Kiev si oppone.
Un bisogno di indipendenza in un territorio abitato, ai tempi dello scoppio del conflitto, dall’83% di popolazione di etnia russa.
Una necessità di autonomia dettata dall’insediamento, a seguito della rivolta partita da Kiev dell’Euromajdan, di un governo pro-occidentale. Questo decise di rompere con Mosca e costrinse l’ex presidente ucraino Viktor Janukovič (filo-russo) alla fuga. Anche altre le ragioni, come la messa al bando della lingua russa come lingua ufficiale e l’idea futura di entrare nella Nato.
Una zona sensibile, una storia lunga, complessa, mai risolta. Una terra, quella del Donbass, che ha visto in questi otto anni molti feriti, morti, bombardamenti, “cessate il fuoco” infranti. Il tutto retto dagli accordi di Minsk, non sempre rispettati.
Le forze in campo
La guerra del Donbass ha visto e vede tuttora schierati da una parte un “giusto” e regolare esercito ucraino.
Un esercito giustificato nelle sue azioni dall’Occidente, seppur sostenuto da discutibili armate di volontari. Si pensi, ad esempio, al battaglione paramilitare di Azov, che recluta neonazisti da tutta l’Europa sotto la sua bandiera, che ricalca quella delle SS Das Reich, e che dal 2015 è stato inquadrato nella Guardia nazionale dell’Ucraina e trasformato in unità militare regolare e permanente.
Un esercito macchiatosi di azioni terribili come il bombardamento dell’asilo di Makievka nel 2014, durante il quale rimasero uccisi almeno dieci bambini.
Dall’altra i separatisti filo-russi, i ribelli, quelli non riconosciuti, foraggiati dalla Russia di Putin, accusati dal blocco della Nato e non solo di auto-infliggersi morte e distruzione al fine di attirare l’attenzione contro lo Stato di Kiev.
Quelle forze che terrebbero in ostaggio delle intere regioni per i propri scopi, che avrebbero indirizzato i referendum per l’indipendenza. Le forze al soldo di Mosca.
Quelle forze che però cercano nella quotidianità di rendere più dignitosa la vita dei civili, permettono l’ingresso di aiuti umanitari, organizzano giornate commemorative e difendono quei confini non ufficialmente riconosciuti, ma esistenti.
Cosa succede ora in Donbass
Aldilà delle origini e delle realtà in campo, sulle quali ci sarebbe ancora molto da aggiungere e discutere, cosa sta succedendo ora in Donbass?
La tensione sta crescendo, sono ripresi i bombardamenti e maggiori sono state le violazioni del “cessate il fuoco”.
Ma entriamo nel vivo della situazione: oggi il capo della Repubblica di Lugansk, Leond Pasechnik, ha firmato un decreto sulla mobilitazione volontaria degli uomini oltre i 55 anni, chiaro segnale della necessità di maggiore dispiego di combattenti; in precedenza i richiamati erano tra i 18 e i 55 anni.
Sono inoltre state riportate due vittime, un militante filo-russo e un civile, ad una fermata dell’autobus nella periferia di Donetsk, e tre feriti.
Il 18 Febbraio è stata fatta esplodere, fortunatamente senza conseguenze, l’auto del capo delle milizie della DPR, Denis Sinenkov; modalità, quella dell’attentato, ampiamente utilizzata negli anni precedenti, se si pensa ai separatisti caduti in quest’area come Alexei Mozgovoj, Alexander Zakharchenko e Mikhail Tolstykh (Givi).
Episodi questi che per le autorità ucraine sarebbero stati realizzati dagli stessi separatisti, al fine di sobillare un intervento di Mosca.
Analisi alquanto contorta, teoria quasi complottista. O meglio.
Se così, perché allora dovremmo credere a questa versione cospirativa e non magari a quella che vedrebbe l’Ucraina inscenare situazioni al fine di provocare la Russia e quindi incentivare gli Stati Uniti e l’Europa a scendere in campo? Perché si ritiene il separatista filo-russo capace di certi atti e non il soldato ucraino a braccetto con l’estrema destra?
Indubbiamente ognuno ha cercato e cercherà di tirare acqua al suo mulino, mettendo in campo tutti i mezzi necessari, ma non possiamo comprendere realmente guardando da un’unica prospettiva, analizzando con gli occhi di chi ci è stato detto essere buono e chi cattivo.
L’unica certezza: la situazione dei civili del Donbass
Ciò che invece è purtroppo certo è che a fare le spese di questo riaccendersi del conflitto, sono ancora i civili del Donbass. Quelle persone dimenticate per anni, se non da poche realtà, che hanno vissuto in un perenne stato di guerra, paura e incertezza.
Dallo scorso venerdì, infatti, le Repubbliche Popolari hanno dato l’ordine di evacuare i bambini, le donne e gli anziani verso la regione di Rostov in Russia; sono circa 61 mila i civili in fuga e moltissimi i pullman che abbandonano le città.
Lo stato d’emergenza è stato esteso poi oggi ad altre regioni russe: Penza, Saratov, Ryazan, Kursk, Volgograd. Tutte pronte ad accogliere i rifugiati.
Ancora una volta la diplomazia lancia ora dopo ora notizie destinate più che a informare, a fare scalpore e a gettare nel panico.
Ancora una volta qualcuno sta realmente vivendo la guerra.
In diretta dal Cremlino
Nel corso del discorso che poco fa Putin ha tenuto al Cremlino, questi ha riconosciuto le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk come parte della Russia e necessitanti di difesa.
La situazione in Donbass è diventata critica e l’Ucraina è parte integrante della nostra storia e cultura.
Questa la decisione presa nel corso del Consiglio di sicurezza odierno. Decisione della quale, poco prima di comparire davanti alla nazione, aveva informato il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz.