Ammirato da Cicerone, Plutarco, Plinio il Vecchio e Valerio Massimo, Tiberio Gracco fu un uomo estremamente nobile. Ma, soprattutto, fu capace di compiere per amore forse il gesto più coraggioso mai visto nell’antichità. Posto di fronte a una scelta terribile da un presagio, infatti, preferì salvare la vita della propria moglie piuttosto che la propria.
Quando si parla di Tiberio Gracco solitamente si pensa al tribuno della plebe che nel 133 a. C. tentò d’introdurre un’ambiziosa riforma agraria nella Roma repubblicana. Meno noto ma non meno nobile fu suo padre, omonimo del tribuno, due volte console e marito di Cornelia, figlia di Scipione l’Africano. Secondo i racconti di Cicerone (Della Divinazione), Plinio il Vecchio (Storia Naturale), Plutarco (Vita di Tiberio Gracco) e Valerio Massimo (Fatti e detti memorabili), alla donna – di circa trent’anni più giovane – lo legavano una stima e un amore sincero. E una lealtà profonda al punto che, quando un presagio lo mise di fronte a una scelta straziante, non ebbe dubbi sulla scelta da compiere.
Infatti, come narra Valerio Massimo,
Tiberio Gracco, quando vennero catturati nella sua casa un serpente maschio e una femmina avviluppati, volle consultare un aruspice. Costui gli disse che avrebbe dovuto ucciderne uno, ma di fare attenzione. Se avesse lasciato andare il maschio e ucciso la femmina, infatti, sua moglie Cornelia subito sarebbe morta. Se, invece, avesse lasciato fuggire la femmina, avrebbe dovuto uccidere il maschio e allora sarebbe stato lui stesso a perire. Preferendo la salvezza della moglie alla propria, l’uomo ordinò che si uccidesse il maschio e si lasciasse sfuggire la femmina. Ed ebbe il coraggio di vedersi raggiungere dal colpo che uccideva il serpente. Non so se Cornelia possa esser detta la più felice per aver avuto un tale marito, o la più misera per averlo perduto.
Fatti e detti memorabili, IV, 6, 1.
Il significato del sacrificio di Tiberio
Cosa significhi e quanto valga, se si ragiona d’amore, il gesto di Tiberio Gracco è stato chiarito perfettamente dal filosofo Michel Onfray, che ha scritto:
Darei tutto il Simposio di Platone, sottotitolato, ricordiamolo, Dell’amore, per queste dieci righe di Valerio Massimo! […] Perché l’idea dell’Amore non serve a niente, mentre il gesto di Tiberio Gracco funziona da viatico per una vita intera.
da Saggezza
Perché, chiarisce lo studioso, a volte chiamiamo “amore” una passione, un desiderio, perfino un’illusione. Ma se seguiamo la saggezza degli antichi, scopriamo che l’amore è qualcosa di diverso, cioè
la volontà di due soggetti che legano la propria vita fino alla morte. Amare significa voler vivere, invecchiare e morire assieme a una persona.
Amare, cioè, secondo Onfray (così come secondo il filosofo Lucrezio e il politico Tiberio Gracco), è scegliere l’altro sempre. Sceglierlo anche per i suoi difetti, quando la cecità dell’innamoramento cessa e impariamo a vederli. Perché quando non s’improvvisa per la paura della solitudine o per una voglia estemporanea, la costruzione di una vita insieme regge ogni urto. Anche quello del timore della morte.
Una fantasia romantica, seppur sostanziata dalla lettura dei classici? Forse. Eppure, se lo si guarda da vicino, anche il cinismo individualista e disincantato può rivelarsi un mito. Personalmente, a parità di favole, ne sceglierei una che almeno faccia bene all’anima e al cuore.