È successo 14 anni fa ma potrebbe essere successo anche l’altro ieri. Un uomo sfida la morte per sensibilizzare sul tema del cambiamento climatico. Attualissimo. Ebbene, Lewis Pugh ha nuotato nelle gelide acque del Polo Nord per attirare l’attenzione su come stesse cambiando rapidamente l’ecosistema artico.
I racconti del padre
Suo padre influenzò molto Lewis fin da quando era bambino. Gli raccontava le storie dei grandi esploratori, del Captano Scott e della sua marcia fino al Polo Sud, e di Sir Edmund Hillary che scalava l’Everest. Da quando aveva 6 anni sognava di andare nell’Artico. Quando crebbe, ci andò per diversi anni consecutivi. E ogni volta lo vedeva cambiare, nell’arco di tempo di un anno.
“Ho visto orsi polari camminare su ghiaccio molto sottile in cerca di cibo. Ho nuotato davanti ghiacciai che si sono ritirati moltissimo. E ho anche visto, ogni anno, sempre meno ghiaccio”.
“Volevo che il mondo sapesse cosa stava succedendo lassù”
Lo scioglimento dei ghiacci
Nei due anni prima della sua nuotata il 23% della calotta polare artica è scomparsa. “Volevo scuotere l’attenzione dei leader del mondo. Così ho fatto questa nuotata simbolica in cima al mondo, che dovrebbe essere tutto ghiacciato ma che si sta sciogliendo rapidamente. Il messaggio era chiaro: i cambiamenti climatici sono reali e dobbiamo fare qualcosa in proposito. Adesso”.
La parola “Adesso” risuona ora come un necrologio. Sono passati 14 anni.
L’allenamento
Il team che ha seguito Lewis era composto da 29 persone di 10 nazioni diverse. Ha dovuto affrontare un’enorme mole di allenamento. Un anno per l’esattezza. “Nuotare in acque gelide, avanti e indietro. la cosa più importante era allenare la mia mente e prepararmi per quello che sarebbe successo. Dovevo visualizzare la mia nuotata dall’inizio alla fine. Dovevo sentire il sapore dell’acqua salata in bocca”.
Per avere un’idea della temperatura, le acque del Canale della Manica sono a 18 gradi. I passeggeri del Titanic che finirono in acqua trovarono una temperatura di solo 5 gradi centigradi. L’acqua normalmente congela a 0 gradi. L’acqua al Polo Nord si trova a meno 1,7 gradi.
La prima prova
“Abbiamo deciso di fare una veloce nuotata di prova di 5 minuti. In acqua, riuscivo a malapena a respirare. Ansimavo. Stavo iperventilando a tal punto che nel giro di qualche secondo non ho sentito più le mani. Il paradosso è che quando siete in acqua gelida in realtà vi sentite bruciare. Ho nuotato più forte che potevo per 5 minuti. Mi ricordo che volevo solo uscire dall’acqua. Mi sono trascinato fuori dal ghiaccio. E mi ricordo di essermi tolto gli occhialini e di essermi guardato le mani in uno stato di shock assoluto perché le mie dita si erano gonfiate tanto da sembrare delle salsicce. Si erano gonfiate tanto che non riuscivo neanche a chiuderle”.
Noi siamo fatti in parte di acqua che quando congela si espande. Quindi le cellule delle dita di Lewis si erano congelate e quindi espanse. “Ero in uno stato tale di agonia… Mi hanno subito portato sulla nave e sotto una doccia calda”. Dopo 2 giorni c’era l’impresa: nuotare per 20 minuti nelle acque del Polo Nord per un intero chilometro.
Il ricordo dell’impresa analoga di Fiennes
“Mi sono svegliato la mattina dopo in uno stato di depressione terribile. Tutto quello a cui potevo pensare era Sir Ranulph Fiennes. Per chi non lo conosce lui è un grande esploratore inglese. Un po’ di anni fa ha tentato di sciare fino al Polo Nord. Ha accidentalmente rotto lo strato di ghiaccio ed è caduto in acqua. E dopo appena tre minuti in quell’acqua, dopo appena tre minuti in quell’acqua, è riuscito a tirarsi fuori. Ma le mani gli si erano congelate a tal punto che è dovuto ritornare in Inghilterra. Andò in un ospedale locale dove gli dissero: “Ran, non ci sono speranze di riuscire a salvare quelle dita. Saremo costretti ad amputarle.” A quel punto Ran decise di andare nel suo capanno degli attrezzi, prendere una sega, e farlo da solo”.
Il giorno dell’impresa
Lewis racconta: “Tutto intorno avevamo zone in cui il ghiaccio era ormai mare aperto. Sono sceso nella mia cabina e mi sono messo il costume. Poi il dottore mi ha attaccato un sensore al petto per misurare la mia temperatura corporea e la mia frequenza cardiaca. A quel punto siamo usciti sul ghiaccio.
Mi ricordo di aver guardato il ghiaccio, c’erano grandi blocchi di ghiaccio bianco mentre l’acqua era completamente nera. Non avevo mai visto l’acqua nera prima. Ed è anche profonda 4.200 metri. Mi sono detto “Lewis, non guardare a sinistra, non guardare a destra. Buttati in avanti e parti.”
“Abbiamo visto i primi orsi polari. Assolutamente magico. Una madre ed un cucciolo. Una vista meravigliosa. E pensare che fra 30, 40 anni potrebbero essere estinti… E’ un pensiero spaventoso, davvero, davvero spaventoso.
Finalmente siamo al Polo Nord. Questi sono mesi e mesi e mesi di sogni per arrivare qui. Anni di allenamento, organizzazione e preparazione”.
Ebbene, com’è finita? Ce l’ha fatta. Ma come ha fatto? Controcorrente. Ha nuotato contro la corrente. E ce l’ha fatta.
Ci sono voluti quattro mesi perché Lewis sentisse di nuovo le mani. Ma ne valeva la pena? Certo, assolutamente, lui assicura.
Ne valeva la pena
“Ci sono davvero poche persone che ancora non sanno cosa sta succedendo nell’Artico. Tutte le bandiere sulla nave rappresentano tutte le nazioni da cui provenivano i membri del mio team. Allo stesso modo, con i cambiamenti climatici, ogni nazione dovrà affrontare dei tagli. Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Sud Africa, Congo. Tutti insieme, siamo tutti sulla stessa barca insieme.
Dobbiamo credere in noi stessi. Ora è il momento di credere. Abbiamo fatto molta strada. Stiamo andando bene. Ma la cosa più importante che dobbiamo fare, credo, è poter arrivare alla fine delle nostre vite, voltarci indietro, e farci una domanda fondamentale: “In che tipo di mondo vogliamo vivere? E quali decisioni prenderemo oggi che ci assicureranno che tutti vivremo in un mondo sostenibile?”
Riflettiamo su come sta evolvendo tragicamente il cambiamento climatico. L’impresa di Lewis Pugh è avvenuta nel luglio 2007. Dopo 14 anni siamo qui, con i vertici sul clima poco coraggiosi e le piazze piene di manifestanti. Dopo 14 anni, siamo ancora qui a gridare, “Non c’è più tempo, bisogna agire adesso”.
Marta Fresolone