Le operazioni di chiusura o rallentamento mirato di Internet da parte delle autorità governative non solo causano perdite economiche, ma rappresentano una vera violazione dei diritti umani. Un fenomeno che accade in molti Paesi del mondo.
Il Report e i dati
Google Jigsaw, un hub specializzato in analisi dei flussi di rete, ha elaborato un report che fornisce un quadro del fenomeno della crescita del numero degli shutdown. Grazie al programma STOP (Shutdown Tracker Optimization Project) di Access Now, organizzazione non profit che si occupa di diritti digitali, siamo in grado di avere un archivio completo e aggiornato dal 2016. Degli 850 episodi registrati negli ultimi dieci anni, ben 768 sono avvenuti dal 2016 a oggi, cioè negli ultimi 5 anni. La maggior parte dei casi si verificano in Africa e Asia, con un picco in India.
L’esempio dell’Egitto
Un esempio su tutti è l’Egitto che nel 2011, durante le cosiddette “Primavere Arabe”, fu un chiaro esempio di shutdown e violazione dei diritti umani: il 93% della rete venne reso irraggiungibile per ordine delle autorità. Fu il primo shutdown nazionale di queste dimensioni ed ebbe l’effetto di aumentare la partecipazione dei cittadini alle manifestazioni nelle strade e nelle piazze.
Le giustificazioni
Nonostante la condanna della comunità internazionale, da allora le interruzioni di internet o l’oscuramento di siti ed app sono aumentati esponenzialmente per quantità, durata e raffinatezza. Raffinatezza nel senso che vengono giustificati nei modi più impensabili e vergognosi. Oscuramenti fatti in nome della difesa della sicurezza nazionale, o per impedire la diffusione di fake news, per ristabilire l’ordine in occasione di proteste e manifestazioni, o ancora per impedire che vengano disturbate elezioni o eventi politici.
I metodi utilizzati per vietare l’accesso alla rete
Le chiusure possono essere totali (shutdown), ma anche parziali e queste ultime sono le più subdole: si chiudono specifici social media o app di messaggistica. I metodi utilizzati sono prevalentemente sei, impiegati anche in combinazione.
- Throttling: si rallenta la connessione fino a quando il caricamento del sito o della pagina ricercata diventa impossibile. L’utenza si convince che ci sia un problema tecnico, dunque non pensa all’intervento delle autorità (per questo il metodo è particolarmente adatto alle attività di censura da parte degli Stati).
- Blocco degli IP: bloccando il singolo IP, si può intervenire con precisione rendendo impossibile l’accesso a un sito specifico.
- Blocco della rete dati: utilizzato tipicamente in Paesi poveri, nei quali sono più diffusi i cellulari che i computer, tale metodo blocca il traffico per i device mobili, lasciando dunque integre le altre modalità di accesso ad Internet tramite altri dispositivi.
- Interferenze DNS: si interferisce con il traffico in modo tale da alterare l’associazione indirizzo IP/nome del server, facendo in modo che alla richiesta dell’utente o non venga fornita una risposta, o che si venga reindirizzati verso un indirizzo IP diverso dall’originale o uno non valido.
- Server Name Identification Blocking: i provider bloccano la connessione non appena si effettua una richiesta di Server Name Identification, vanificando l’utilizzo del protocollo HTTPS.
- Deep Packet Inspection (DPI): utilizzato per opere di censura e sorveglianza. Il DPI permette ai proprietari della rete di esaminare i contenuti dei pacchetti trasmessi, effettuando un’analisi più specifica che permette anche di bloccare o modificare i contenuti, avendo un controllo sull’accesso alle informazioni.
Le ricadute economiche
Queste operazioni provocano una forte ricaduta economica soprattutto per le attività grandi e medie. Gli imprenditori locali in assenza di connessione non hanno potuto concludere transazioni importanti con conseguente perdita di denaro e licenziamento dei dipendenti stessi. In India, per esempio, l’interruzione della connessione ad Internet ha impedito che imprenditori e turisti potessero mettersi in contatto e questo ha determinato una crescente perdita di clienti e danni reputazionali alle strutture alberghiere. Inoltre, a rimetterci sono tutte quelle aziende che dipendono sostanzialmente da transazioni elettroniche.
Violazione dei diritti umani
Ma se le perdite economiche sono gravi ancor più lo sono le conseguenze sul piano dei diritti: le chiusure sono una vera violazione dei diritti umani. In un report del 2011 sulla libertà di espressione, le Nazioni Unite hanno riconosciuto l’importanza di inserire la connessione ad Internet come un mezzo attraverso il quale l’individuo ha la possibilità di esercitare la propria libertà di pensiero, di informarsi e di manifestare. In tal senso, l’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani condanna i blocchi volontari alla rete valutandoli come una violazione dell’art.19 della Convenzione Internazionale dei diritti Civili e Politici che sancisce la libertà di opinione.
Si mette a tacere la libertà di opinione e di informazione
Non si tratta solo di privazione dei diritti fondamentali: gli shutdown possono rappresentare una concreta minaccia alla vita e alla salute degli individui. In Myanmar, per esempio, dopo il golpe militare del febbraio 2021, diverse zone sono state lasciate prive di connessione a lungo, tenendo intere comunità all’oscuro riguardo la pandemia da Covid19.
Viviamo un’epoca in cui l’informazione viene veicolata soprattutto attraverso la rete. Informarsi significa essere a conoscenza dei fatti, manifestare un’opinione ed elaborare una coscienza critica. In una parola, democrazia. Se si colpisce l’accesso alla rete si colpisce il lavoro, i servizi, le relazioni, la libertà di pensiero e di parola, la libertà di manifestare. Sempre in una parola: si mina la base della democrazia.
Marta Fresolone