Mentre in Italia viene affossata la legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo (DDL Zan) -evento che ha generato indignazione e rabbia nella gran parte del popolo italiano- il resto del mondo si muove verso l’inclusione e il rispetto altrui. Il mondo dei motori apre alle donne, con la partecipazione, alla 24 ore del Nürburgring, di Charlie Martin, prima donna transgender a correre in una gara di automobilismo sportivo.
Non si tratta di una donna qualunque, ma di un esempio di grande forza e coraggio, una donna determinata e caparbia, una donna rivoluzionaria. Charlie Martin nasce nel 1981 a Leicester, e nasce come uomo. Voleva diventare pilota di caccia ma, a causa dei voti troppo bassi in matematica e fisica, dovette mollare il colpo. Rimase, però, la sua passione per la velocità e, all’età di 10 anni, grazie al padre del suo migliore amico che lo portò in pista, cominciò la sua storia con l’automobilismo. A 19 anni, Charlie vide per la prima volta il circuito di Le Mans e lì nacque la sua passione per la celebre “24 ore”. Così rimase in Francia, iniziando a fare le sue prime conquiste nel mondo dell’automobilismo sportivo, nella cronoscalata, finché non ebbe la certezza di essere una donna nel corpo di un uomo, consapevolezza che lo portò alla decisione di cambiare sesso e, conseguentemente, di abbandonare l’automobilismo.
Quando nel 2012 feci coming out, iniziò un periodo duro, pieno di ansie e paure. Innanzitutto, presi la difficile decisione di abbandonare l’automobilismo. Ero convinta che nel paddock nessuno mi avrebbe accettata, pensavo veramente che tutti quelli che fino a quel momento avevo considerato come una vera grande famiglia mi avrebbero voltato le spalle. Contattai, tramite email, alcuni dei miei migliori amici del mondo dell’automobilismo: uno di loro non mi rivolse mai più la parola […] Ci è voluto molto tempo, perché quella situazione cambiasse.
Le parole di Charlie Martin fanno riflettere sulla difficoltà e il profondo isolamento che vivono tutti coloro che espongono la propria sessualità e la propria identità in maniera differente da ciò che, agli occhi dei più, viene considerata “normalità”. Eppure, il concetto di normalità, quasi sempre, e impropriamente, richiamato in tali circostanze, in natura, ebbene sì, non esiste. La normalità, come è brillantemente spiegato nel libro “Il concetto di normalità come costruzione socio-culturale – Valori, norme, proiezioni della realtà e dell’individuo” di Elena Bettinelli, è il riflesso di attitudini, pensieri e azioni che la società ha selezionato come opportuni e convenienti. Esistono, quindi, molteplici comportamenti ritenuti normali o anormali, a seconda della società e della cultura in cui si vive.
Charlie Martin torna in pista come donna, passando dalla cronoscalata alle corse su circuito. Si cimenta, quindi, con varie gare al Ginetta GT5 Challenge, partecipa alla Michelin Le Mans Cup a bordo di una Norma M30 LMP3 e, infine, entra a far parte del team che le permette di portare a termine la missione della gara endurance sul Nürburgring al volante di una BMW M240i Racing.
Quando tornai in pista, volevo assolutamente evitare una cosa: essere il “tabù”, quella che tutti notano, ma fanno finta di non vedere. Il primo giorno dei test invitai membri del team a una piccola riunione e spiegai a tutti la mia storia. La reazione fu sorprendente e mi diede molta forza. La loro risposta si potrebbe riassumere così: quello che conta è la tua personalità e il tuo amore per l’automobilismo. Questo mostra chi sei e chi vuoi essere ed è per questo che siamo una squadra.
La storia di Charlie Martin, piena di sofferenza, ma anche di coraggio, gioia, soddisfazione, apre le porte a una riflessione più ampia, che riguarda la discriminazione delle donne e della comunità LGBTQ+ dal mondo sportivo e dalla società intera, ancora forse troppo restia al cambiamento e all’accettazione del diverso. Al termine “diverso” si dà spesso un’accezione negativa, ma bisognerebbe rifletterci su: diverso non è sbagliato, diverso è, propriamente, “volto in altra direzione”. Vorrei spiegare il concetto in un modo semplice ma chiaro: se mi trovassi di fronte a un bivio, io potrei prendere una direzione, e un mio amico un’altra. Quei percorsi, diversi, battuti su strade diverse, con incontri diversi e difficoltà diverse, potrebbero anche intersecarsi in alcuni tratti, o raggiungere comunque una stessa destinazione. La vita è questa, fatta di strade diverse, di convinzioni diverse, esigenze diverse, scelte diverse che, ad un certo punto, si legano a quelle di altri e si discostano da altri ancora. Ma, alla fine, chi di noi sarebbe in grado di dire qual è davvero la strada giusta da percorrere? Quando ci mettiamo in auto per andare da qualche parte, qual è la strada che scegliamo? Quella più corta? Quella più lunga ma meno trafficata? Quella più caratteristica, durante la quale poter osservare anche il paesaggio? Quale, tra le tante strade possibili, è quella giusta? Tutte. Semplicemente, ognuna di quelle strade darà alla nostra vita e alla nostra esperienza cose diverse, diverse da altri ma giuste per noi.
Per tutte queste ragioni, quella di Charlie Martin rappresenta una grandissima conquista, una conquista che, al di là dello sport e della gara, aiuta a combattere i pregiudizi, ad abbattere le barriere, a vedere strade diverse da quelle che percorriamo di solito, ma ugualmente normali, ugualmente degne, ugualmente giuste, ugualmente intense.