Il 13 Novembre è la giornata della gentilezza, spunto di riflessione per comprendere il significato di essere gentili, oggi.
Chiediamoci se è il gesto che fa la persona o se solo da un animo gentile può nascere gentilezza.
Nascita della Giornata della gentilezza:
Se vi state chiedendo da quale evento storico particolare sia sorto l’intento di questa celebrazione eccovi accontentati. Siamo nel 1963 e il preside di un’Università giapponese incita i propri studenti a creare quella gentilezza che in futuro investirà tutto il Giappone. Dal canto nostro potremmo aggiungere “e non solo”. Almeno così ci auguriamo.
La celebrazione che prende il nome di World Kindness Day viene effettivamente celebrata dal 1998, grazie all’iniziativa del World Kidness Movement. Il suo omonimo italiano è stato creato nel 2000 e la sua sede si trova a Parma.
In pratica, cosa fare?
Nella pratica durante questa giornata ognuno di noi dovrebbe fare un gesto di gentilezza. Nella consapevolezza che certo ciò non può bastare.
Aristotele sosteneva che la virtù deve essere un habitus, cioè un’abitudine. Non un semplice gesto una tantum. In altri termini, solo tramite azioni virtuose l’uomo può divenire virtuoso.
Evitiamo perciò di sentirci gentili se costelliamo solamente il nostro 13 Novembre di atti gentili. Non basta. Dobbiamo “indossare” quotidianamente questo abito per poterlo essere veramente.
Cosa significa gentilezza, oggi?
È probabile che presi dalla foga di eseguire azioni utili ed in vista di un fine si possa perdere di vista cosa sia la gentilezza. Non prendiamoci troppo in giro e ammettiamo che spesso questa parola viene considerata anacronistica.
Spesso ci sentiamo incitare ad essere più intraprendenti, spavaldi, ad alzare la testa, ad alzare la voce per farci sentire. Certo, non necessariamente queste definizioni vanno all’opposto della gentilezza, anzi. Si può alzare la testa, la voce, essere intraprendenti con gentilezza.
Ma di erto quest’ultima non è la prima tra le caratteristiche che la società sembra chiederci. Spesso, purtroppo la gentilezza viene confusa. Fin troppo confusa.
Gentilezza non fa rima con debolezza
La gentilezza non è debolezza. Non significa sottomettersi ad altri, né è sinonimo di mansuetudine passiva o di poco carattere.
Tutt’altro. Essere gentili significa essere talmente attivi verso l’altro da poter fare anche un passo di fianco a noi stessi per cedergli un po’ di posto.
Significa essere talmente forti da non temere di darsi. Solo chi è veramente libero d’animo e sicuro negli intenti può dimostrare gentilezza.
Il paradosso “Dunning-Kruger”:
Ciò che piano piano sta emergendo in quest’epoca di schiamazzi generalizzati è un chiaro esempio di ciò che viene rivelato nell’effetto Dunning-Kruger. In poche parole, chi meno sa più crede di sapere e viceversa. Un errore di valutazione, potremmo affermare.
In questo, l’ignoranza in un dato campo tende a caricare un sentimento di superiorità. Viceversa, chi è competente, spesso si sentirà come chi ha ancora molto da imparare.
Se ci fermiamo a riflettere di certo qualche esempio, nell’uno e nell’altro caso, può sorgere a chiunque di noi. Quindi, spesso è la non capacità di affrontare un evento che porta ad alzare la voce, essere aggressivi, coltivare l’arroganza.
Elogio alla gentilezza:
Al contrario, la gentilezza richiede fermezza, proprio perché i gesti gentili sono lo specchio di un animo gentile. Di un animo perciò tutt’altro che incapace di farsi strada o di sostenere il proprio pensiero.
È perciò necessario che alla gentilezza si educhi e si venga educati. Con la consapevolezza che per educare ad essere gentili è necessario esserlo. Essa non può essere raccontata o spiegata; rappresenta una pratica che dobbiamo indossare proprio come quell’habitus che deve calzare sulla nostra pelle.
Se per Marco Aurelio la gentilezza rappresentava la più grande delizia dell’umanità, chiediamoci allora oggi che tipo di umanità vogliamo essere.