Volendo, si può continuare a dare la colpa alla destra o ai magheggi di Renzi. Ma siamo davvero sicuri che il Pd sul ddl Zan abbia fatto la cosa giusta nel modo giusto?
I politici si distinguono dagli ideologi o dai filosofi essenzialmente perché dovrebbero conoscere le logiche interne ai partiti e alle istituzioni di cui fanno parte: è necessario che abbiano, accanto a idee e contenuti, anche strategie precise per non fare naufragare miseramente ciò in cui credono. Ecco perché quello che è accaduto ieri in Senato con la tagliola al ddl Zan non può essere semplicemente liquidato con “colpa della destra” o “maledetto Renzi”. Se infatti accanto a una destra indegna che esulta con cori da stadio quando toglie i diritti a qualcun altro, il segretario di Italia Viva sa sempre farsi trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato, bisogna anche considerare la strategia fallimentare del Partito Democratico, per non diventare, a tutti i costi, degli ultrà di sinistra accecati dall’ossessione verso Renzi. Ricominciamo da capo, quindi.
La votazione di ieri
L’aula del Senato, dicevamo, ieri ha chiuso definitivamente con il disegno di legge Zan: 154 persone hanno votato per la sospensiva, meglio nota come “tagliola”. 131 persone invece si sono espresse per proseguire con i passaggi necessari alla discussione e all’approvazione, mentre 2 senatori si sono astenuti. Partiamo proprio dal concetto di tagliola: innanzitutto è uno strumento a norma di Regolamento del Senato, quindi perfettamente valido, con cui si chiede all’Aula di sospendere l’esame di un disegno di legge e di rimandarlo in Commissione. Se siete alla ricerca di un approfondimento in merito, lo spiega bene il giornalista Ettore Maria Colombo, sul suo blog.
Ieri, comunque, si votava su questa sospensiva, che deve essere richiesta da almeno venti senatori. Sempre questo rimane il numero minimo di richiedenti per ottenere il voto segreto. Bingo: entrambe le condizioni si sono verificate ieri, con un impegno particolare profuso dal senatore Roberto Calderoli, a cui la democrazia parlamentare riconosce questa possibilità. La conseguenza? La stessa proposta di legge non potrà essere esaminata dall’Aula per altri sei mesi.
Appuntamento a maggio 2022?
Il nuovo orizzonte per il ddl Zan è quindi fissato per il maggio del 2022. Ma non è tutto: la Commissione Giustizia da cui l’esame della legge dovrà ripartire è quella presieduta dal senatore leghista Ostellari, quello che appunto già nel luglio scorso aveva proposto di stralciare dal testo il riferimento all’identità di genere. Realisticamente, però, che possibilità ha la legge di venire ridiscussa, rivotata e approvata da un Senato in cui i numeri e le persone non cambieranno? Tra sei mesi, infatti, i componenti di Palazzo Madama saranno ancora gli stessi, visto che le Camere almeno fino a gennaio non si potranno sciogliere per via dell’elezione del Presidente della Repubblica, e, anche correndo dietro a una crisi di governo che all’orizzonte non si profila, le elezioni politiche non si improvvisano. Insomma: fantapolitica.
Prima di guardare al futuro, però, diamo ancora un’occhiata al recentissimo passato di ieri pomeriggio. Sarebbe facile, infatti, scaricare sulla destra la colpa di un Paese dell’UE che è rimasto solo con Polonia e Ungheria (non proprio due baluardi di tolleranza) a non avere una legge contro l’omotransfobia. La destra, però, può fare quel che crede: la Costituzione e la democrazia glielo consentono. Il buongusto, forse, dovrebbe impedire certe esultanze, ma per quello non c’è testo costituzionale che tenga.
“voi persone lgbt avete già tutto” e infatti oggi sono qui a vedere un video dove dei politici esultano, applaudono, fanno quasi dei “cori” perché hanno affossato la legge che mi avrebbe tutelata in quanto donna lesbica #ddlzan pic.twitter.com/IDXfrzhGL7
— Luce (@lucesilverhawk) October 27, 2021
La tentazione, subito dopo, è puntare il dito contro Matteo Renzi, segretario di Italia Viva, ieri assente in Senato per impegni in Arabia Saudita: ora, abbiamo già scritto sull’incredibile capacità di Renzi di indossare con orgoglio la veste luccicante di capro espiatorio per i fallimenti della sinistra. Spesso, anche laddove non si attivi per far naufragare personalmente qualcosa, ha comunque la naturale propensione a farsi trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato. Anche i più ossessionati dalle colpe dell’ex sindaco di Firenze, però, concorderanno su un punto: non basta però Renzi o il suo sparuto gruppo di senatori assenti a giustificare il fallimento della sinistra.
I conti non tornano
I numeri di ieri, infatti, sono enigmatici per tutti i partiti: nel centrosinistra chi ha fatto i conti pensava di poter vincere con 8 voti di scarto. Dopo il voto segreto, però, sono mancati all’appello 16 misteriosi senatori. Il centrodestra, invece, si è trovato 20 voti in più. Gli assenti erano 11, ma bisogna dare ragione a Salvini (aspettate che ci riprendiamo un attimo da questa affermazione): sì. Bisogna dare ragione a Salvini, quando dice che nel Pd non sono in grado di fare i conti: lo ribadisce questa mattina anche Francesco Costa nel suo podcast. Anche se infatti tutti i presenti, al di là del voto segreto, avessero votato coerentemente con l’indicazione dei loro partiti, si sarebbe raggiunta al massimo la parità con il centro destra. Senza considerare, tra le altre cose, i voti dirimenti dei senatori a briglia sciolta, appartenenti al gruppo misto.
Per colpa di chi?
Quindi, per colpa di chi? Forse anche il Partito Democratico dovrebbe fare un’analisi seria della sua strategia. Il ddl Zan alla Camera è stato approvato in scioltezza perché a Montecitorio i numeri sono altri, rispetto a quelli del Senato. Qui, invece, le discussioni e le votazioni che si sono svolte a partire da luglio, hanno evidenziato una maggioranza risicatissima di un paio di voti per la coalizione a favore dello Zan: cosa fare quindi? Rischiare e scommettere, con l’all in politico del tirare dritto e vedere quel che accade? Questa sembrava la linea del Pd, che per bocca di Enrico Letta si è sempre dichiarato fermamente convinto della necessità di non modificare il testo, per non svuotarlo di significato. Legittimo.
Più aperta, invece, è sempre stata la posizione di Italia Viva, pronta a discutere e a stralciare frasi indigeste alla destra ma che, effettivamente, avrebbero privato il disegno di legge di una certa sostanza. La discussione è sempre quella tra i sostenitori dell’uovo oggi e i fan della gallina domani: meglio una legge incompleta ma approvata o una legge perfetta ma rispedita al mittente?
La pausa di questi mesi
La questione è stata però accantonata per qualche tempo: il Pd ha detto che sarebbe stato meglio tornare a discuterne dopo le elezioni amministrative per evitare di ostacolare con anche questa battaglia i candidati già alle prese con questioni spinose riguardanti le loro città. Qualche giorno fa, però, fulmine a ciel sereno: Enrico Letta si presenta da Fazio e dice che il Pd è pronto a trattare sul ddl Zan. Pronto? Come? Ma la discussione è tra tre giorni! Come si fa ad avviare una trattativa seria su un argomento così divisivo nello spazio di 72 ore? E infatti la trattativa nemmeno parte. Non si chiede nemmeno di rinviare la discussione.
Fare la cosa giusta nel modo sbagliato
Ora: il discorso è semplice. Se il Partito Democratico avesse creduto davvero nella trattativa, l’avrebbe avviata prima e con maggiore serietà: un’apertura di questo genere non si improvvisa. Non è serio per la battaglia in sè, per i propri elettori e nemmeno per i propri avversari. In cosa si è tradotto, infatti, l’atteggiamento del Partito Democratico? In un incrociare le dita e sperare di avere i voti. È giusto che una battaglia di civiltà di questo genere venga affidata a una strategia politicamente kamikaze?
La strategia mancata del Pd sul ddl Zan
Sì, perché le cose sono due: o ci credi e non apri a nessuna mediazione o bluffi. Magari della legge non ti interessa poi così tanto. Forse la consideri una sorta di test per verificare gli equilibri del Parlamento in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica. Sulle spalle di chi in questa lotta crede davvero. Oppure c’è una terza opzione: non conosci le logiche del Senato e sei, appunto, un kamikaze delle votazioni, che si fa il segno della croce prima di tirare la cordicella. Tanto, in ogni caso, potrai rivendere agli elettori la rinfrancante storiella della colpa della destra e di Renzi.
Elisa Ghidini