Parlare dei “nostri” tempi, delle nostre strade, della “vita vera”, attraverso “un insieme di voci, in gran parte periferiche”. Questo è quel che ha fatto Vasco Pratolini, cercando di raccontarci l’Italia. Un’Italia inedita al mondo della letteratura, fatta di operai, di partigiani, lotta al fascismo. Una nazione segnata indelebilmente dalla guerra.
Pratolini nasce nel 1913 a Firenze, luogo al quale rimarrà sempre legato. E’ di Firenze che ci parla, nei suoi libri più famosi, da Metello alle Ragazze di San Frediano, passando per il Quartiere, senza dimenticare le cronache degli abitanti di Via del Corno. Tutti posti che ben conosceva e amava.
I personaggi descritti da Vasco Pratolini sono persone comuni, le vicende narrate sono storie di “piccoli eroi proletari”. Lo scrittore ci ricorda che vivere e sbarcare il lunario è difficile, che per cavarsela nella vita ci vuole una bella fetta di eroismo. E, nonostante la drammaticità degli eventi, non lo fa con un tono patetico, anzi. Ci diverte raccontandoci storie di quartiere, permettendoci di sbirciare attraverso la serratura e osservare le peripezie e le vicende degli abitanti delle piccole vie del centro di Firenze (e non solo).
Il lato “frivolo” delle cose non sfugge mai allo scrittore fiorentino. Basti pensare, per esempio, all’epilogo delle Ragazze di San Frediano, senza dubbio uno dei romanzi più divertenti dell’autore, che riesce a combinare una descrizione minuziosa, sentimentale, realistica del quartiere cogliendone davvero fino in fondo l’essenza e lo spirito. Lo si percepisce già dall’incipit:
Il rione di Sanfrediano è “di là d’Arno”, è quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni mediceii; l’Arno vi scorre nel suo letto più disteso, vi trova la curva dolce, ampia e meravigliosa che lambisce le Cascine. Quanto v’è di perfetto, in una civiltà diventata essa stessa natura., l’immobilità terribile ed affascinante del sorriso di Dio, avvolge Sanfrediano, e lo esalta. Ma non tutto è oro ciò che riluce. Sanfrediano, per contrasto, è il quartiere più malsano della città; nel cuore delle sue strade, popolate come formicai, si trovano il Deposito Centrale delle Immondizie, il Dormitorio Pubblico, le Caserme. Gran parte dei suoi fondaci ospitano i raccoglitori di stracci, e coloro che cuociono le interiora dei bovini per farne commercio, assieme al brodo che ne ricavano. E che è gustoso, tuttavia, i sanfredianini lo disprezzano ma se ne nutrono, lo acquistano a fiaschi.
Ma non si scade mai nella mera caciara: anche i sentimenti viene lasciato sempre ampio respiro.
Meno noto di altri scrittori partigiani, Vasco Pratolini lo ricordiamo non solo per le sue indiscusse capacità letterarie, il suo talento nell’osservare il mondo circostante e farlo rivivere su carta, ma anche per il suo contributo – ideologico ma anche pratico – nella lotta al fascismo.
Una lotta che si fa concreta soprattutto nel luglio ’43. In quell’anno, infatti, andò a Roma e strinse contatti intellettuali militanti comunisti, entrando a far parte della Resistenza. Inoltre, dal settembre 1943 fino al giugno dall’anno successivo fu responsabile politico del PCI per il settore Flaminio-Ponte Milvio.
La vita di Pratolini si annoda e si snoda sempre intorno a due passioni: quella per la letteratura, e quella per la politica. Ma anche l’arte visiva rientra tra gli interessi dell’autore, che si avvicina al mondo della cultura, in gran parte, anche per merito della sua amicizia con il pittore Ottone Rosai, che aveva lo studio proprio a Firenze, in via Toscanella.
Rileggere le sue opere, a trent’anni dalla sua morte, significa confrontarsi con un’Italia che non c’è più. Un’Italia dell’impegno come necessità. Un’Italia antifascista e proletaria. Intraprendere un viaggio nel tempo.
Che vale sicuramente la pena fare.
Sofia Dora Chilleri