Da mesi è caos in Mali e la Francia, stanca dei continui colpi di Stato, avvia il ritiro del suo contingente
E’ di nuovo caos in Mali con il secondo colpo di stato in meno di un anno, perpetrato il 24 maggio scorso, senza spargimento di sangue e per mano degli stessi militari del golpe del 18 agosto 2020.
E nuovamente cade l’ombra sulla stabilità e la credibilità internazionale di un paese al centro della guerra al neo-jihadismo saheliano.
In questo territorio, infatti, come nella gran parte di quelli che sono retti da governi instabili, le milizie jihadiste controllano buona parte del territorio, per cui il processo di pacificazione fatica a decollare.
Violenze in aumento
Dallo scorso Agosto, il caos in Mali è diventato molto preoccupante dato l’aumento delle violazioni dei diritti umani. A dirlo è stata l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet. La Missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma) ha registrato 617 violazioni dei diritti umani. Numeri che segnano un aumento di circa il 37% rispetto alla violenza documentata tra agosto a dicembre 2020. Gli autori sono stati principalmente gruppi jihadisti, ma anche lo Stato ha dato il suo contributo, in tal senso: esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie sono state perpetrate dalle forze di difesa e sicurezza maliane (Mdsf)
Cerchiamo di capirne di più
La crisi maliana si protrae ormai da quasi dieci anni, da quando nel 2012 gruppi jihadisti affiliati ad Al-Qaeda e al sedicente Stato Islamico si sono insediati nelle regioni centro-settentrionali del Paese, costringendo l’intervento francese e della comunità internazionale, Italia compresa, al fianco del governo e delle Forze armate locali.
L’aiuto della Francia
Barkhane è l’operazione antinsurrezionale nata nel 2014 sotto la guida della Francia e costituita da una forza di 5.100 uomini dotati di 3 droni, 7 caccia, 22 elicotteri, 10 aerei di trasporto, 290 blindati pesanti, 240 blindati leggeri e 380 mezzi logistici, appoggiati a 11 basi territoriali sparse fra Mali, Niger e Ciad.
Nei quasi sette anni in cui è stata operativa il caos in Mali è stato parzialmente contenuto. La missione ha messo fuori combattimento 1.200 terroristi appartenenti a formazioni affiliate ad Al Qaeda o allo Stato Islamico nel Grande Sahara, e ha sofferto la perdita di 45 uomini. Non ha però potuto impedire che si ripetessero gli attacchi ai villaggi di Mali, Niger e Burkina Faso, e alle basi delle forze armate di questi tre paesi, attacchi che hanno causato migliaia di morti nello stesso arco di tempo: 4 mila nel 2019, 3.500 nel 2020.
Il supporto dei Paesi Europei
Alla fine del 2019, Macron ha invocato la creazione di una missione militare europea che affiancasse Operazione Barkhane e ha ottenuto l’approvazione del progetto da parte dei presidenti africani nel vertice di Pau del gennaio 2020. Dopo di allora, una lunga lista di paesi europei, Ue e non-Ue, ha dato la disponibilità a dare vita alla task force. L’elenco comprende Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Norvegia, Olanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Regno Unito, Serbia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Fino ad oggi, però, solo Francia, Estonia, Repubblica Ceca e Svezia, e più recentemente Italia e Grecia, hanno trasferito uomini e mezzi sul terreno.
La Francia annuncia il ritiro
A seguito dell’imperversare del caos in Mali, il 10 giugno scorso, a margine del summit dei Paesi G5 Sahel, il Presidente Macron ha annunciato il graduale ritiro delle sue truppe dal Sahel. La lotta contro il terrorismo jihadista continuerà, ma nel quadro di un’alleanza internazionale, senza però stabilire date, né dettagli sulla riduzione dei 5.100 soldati francesi finora presenti sul terreno.
Le motivazioni del ritiro
“Non possiamo mettere in sicurezza zone che ricadono nel caos e nell’assenza di legge perché gli Stati decidono di non assumersi le loro responsabilità. E’ impossibile, se non un lavoro senza fine”, frase pungente, diretta ai dirigenti maliani dopo i due recenti colpi di Stato, che a Macron, dopo tutti gli sforzi fatti dalla Francia per stabilizzare la regione, non sono affatto piaciuti.
Macron ha detto che “la forma della nostra presenza come operazione militare esterna non è più adatta alla realtà dei combattimenti. Il ruolo della Francia non è quello di sostituirsi in permanenza agli Stati. Non possiamo liberare territori che subito dopo ricadono sotto il controllo del nemico perché gli Stati non si fanno carico delle loro responsabilità”.
Una delle cause profonde del caos in Mali e della destabilizzazione di questa parte dell’Africa è l’incapacità degli stati di assumere il loro ruolo e di proteggere, sviluppare e coinvolgere tutte le regioni e tutte le componenti della società.
Conseguenze del ritiro francese
Seppur l’intento di Macron fosse quello di fare da sprone per provare ad arginare il caos in Mali, il disimpegno francese, ovviamente, impatterà irreversibilmente su tutti gli alleati.
Con questi estri repentini, il Mali rischia di diventare un nuovo Afghanistan, o una pedina nel gioco d’influenze fra Russia e Turchia (già presenti da tempo in Africa), se la giunta al potere iniziasse a propendere verso altri alleati.
Non dimentichiamoci, infatti, quanti interessi strategici reggono i dispiegamenti militari e le alleanze geopolitiche e immaginiamo quanto i nuovi giochi di potere avranno peso sul presente e il futuro prossimo dell’intero Sahel.