Il ritiro di Simone Biles dalle gare perché la ginnasta deve affrontare, in questo momento difficile, “i demoni nella sua testa” quando entra in pedana; la sedicenne Benedetta Pilato non nuota come sa e viene eliminata, condizionata dalle pressioni della vigilia. Accade lo stesso alla tennista giapponese Osaka, una delle atlete simbolo di queste Olimpiadi e certamente la più attesa nel paese ospitante. Sono solo gli ultimi casi di atleti alle prese con difficoltà mentali. Intorno alle quali, purtroppo, che si tratti di campioni o di persone comuni, il dibattito è spesso ancora piuttosto arretrato…
Il ritiro di Simone Biles
Finale all-around a squadre di ginnastica artistica, tocca agli USA al volteggio. In pedana c’è Simone Biles, pluricampionessa olimpica, la più forte ginnasta di sempre. L’esercizio non viene come avrebbe voluto: un’incertezza, un’uscita non “alla sua altezza” – si dice così. Poco dopo si vede che le fasciano una coscia e si sparge la voce del suo ritiro dal resto della competizione. Si è fatta male. Non è in forma. Chissà se recupererà per le prossime gare? Già questa sarebbe stata una notizia: una delle atlete più attese – se non la più attesa in assoluto – deve rinunciare alle gare per un infortunio.
Ma quando viene chiarito che il ritiro di Simone Biles non dipende dal suo stato di forma fisico, bensì da quello mentale, ecco veri e propri fiumi di inchiostro che si versano sull’argomento. Inevitabile. Tanta solidarietà, ufficiale e dai social. Palla al balzo, ovviamente, colta anche da tanti haters. E tutti, ma proprio tutti, che si sentono in diritto di dire la loro. Ex atleti, opinionisti, esperti, dottori, giornalisti…tutti a rilasciare dichiarazioni e ad emanare sentenze senza nemmeno avere il quadro della situazione. Fino a qui tutto normale, direte voi. Ma sono gli articoli scritti con “spirito sportivo” e a sostegno della Biles che fanno capire, più di tutto, quanto ancora si sia fuori strada nel parlare di disagio mentale.
Mens sana in corpore sano?
Giovenale scriveva quasi duemila anni fa “mens sana in corpore sano”: una locuzione che oggi si usa – a sproposito – per sostenere quanto l’esercizio fisico faccia bene anche a livello mentale. Che è certamente vero, ma non era questo il senso della frase tratta dalle Satire. Sì, perché la Satira in questione è la X, volta a dimostrare la vanità dei valori o dei beni (come ricchezza, fama e onore) che gli uomini cercano con ogni mezzo di ottenere. Solo il sapiente si rende conto che tutto ciò è effimero e talvolta anche dannoso. La frase completa è, infatti: “Orandum est ut sit mens sana in corpore sano”. Tradotto: “Bisogna pregare affinché ci sia una mente sana in un corpo sano”.
Quando Simone Biles afferma “Devo fare ciò che è giusto per me e concentrarmi sulla mia salute mentale e non mettere a repentaglio la mia salute e il mio benessere”, dice la cosa più ovvia del mondo. Come se stesse dicendo: ho una gamba rotta, non posso gareggiare. Non dovrebbe esserci nessuna differenza nel trattare le due cose. E invece, sotto alle notizie sul ritiro di Simone Biles, tra i commenti, saltano fuori frasi tipo: “allora aveva un problema mentale, non di salute”; come se la mente non avesse a che fare con la salute di una persona. Oppure: “non hanno retto”, una frase che sembra emanazione diretta di quella positività tossica tanto di moda ultimamente.
Il disagio mette a disagio
Negli USA la discussione si è fatta, prevedibilmente, infuocata. Sebbene la maggior parte dei commenti siano stati di sostegno e solidarietà nei confronti della Biles, non sono mancati quelli che l’hanno definita “egoista” e “immatura”, “una vergogna per la nazione”. Immancabile anche la stilettata maschilista: “da anni le donne vogliono la parità di trattamento e poi…ecco qua che non reggono”. Come titola il Guardian, in una nazione divisa come gli USA, non bisogna stupirsi che una come la Biles – che al suo paese e alla sua disciplina ha dato tantissimo – venga trattata come la cattiva. Campionessa, donna, attivista a sostegno di Black Lives Matters: si direbbe che una certa parte dell’opinione pubblica non aspettasse altro che l’occasione buona per attaccarla. In ogni caso, il ritiro di Simone Biles ha portato al centro della discussione la questione della salute mentale degli atleti.
Il ritiro di Simone Biles sulla stampa italiana
Purtroppo anche certi commenti di autorevoli testate nostrane dimostrano come il dialogo sulla salute mentale – e sul diritto degli atleti, come di chiunque altro, di appartenere principalmente a sé stessi – debba ancora migliorare. “La testa tradisce le regine“. “Regine fragili: tanto forti quanto umane“. “Dramma Biles: infortunio o crisi mentale?“. Articoli scritti sicuramente con le migliori intenzioni, ma che – di fatto – rinforzano l’idea diffusa che se la tua testa chiede una pausa, è perché sei debole.
L’impressione è che le difficoltà mentali mettano a disagio chi ne parla, quasi come chi le vive sulla propria pelle e che spingano perciò a scriverne a tutti i costi con enfatica retorica. Che le notizie non possano essere date e basta, ma si debba aggiungere che – sicuramente – arriverà il riscatto, che le difficoltà sono passeggere, che il campione di turno tornerà a vincere, perché è questo quello che gli si chiede. Che lo faccia anche a discapito della sua salute, per dimostrare di essere davvero “forte”.
Non solo la Biles: Benedetta Pilato…
Oltre al ritiro di Simone Biles, anche le difficoltà di altre atlete hanno fatto notizia in questi giorni di Olimpiadi. Benedetta Pilato è una giovanissima nuotatrice, arrivata a Tokio sull’onda del record mondiale dei 50 rana fatto segnare quando aveva solo 14 anni. Ora ne ha sedici ed è stata eliminata nella batteria dei 100 rana – gara in cui era data tra le favorite – dopo una prestazione poco brillante.
Qualche istante dopo è stata intercettata a bordo vasca, dall’intervistatrice della rete nazionale che l’ha incalzata con le domande. Cosa è successo, voleva sapere. Una grossa delusione, viste le attese eh… E mentre la giovanissima nuotatrice cercava di raccogliere le idee – la tensione? la pressione delle aspettative? – dal microfono è giunta l’ennesima domanda: “ma non è che anche noi abbiamo contribuito ad aumentare la pressione sulle tue spalle?”. Forse sì, ha risposto Benedetta. Vedete voi, si potrebbe dire a chi pretende risposte a bordo vasca da una giovanissima atleta frastornata.
…e Naomi Osaka
Naomi Osaka era arrivata alle Olimpiadi di casa con i favori del pronostico. Numero due al mondo, simbolo del Giappone moderno e multiculturale, ultima tedofora alla cerimonia di apertura. Eppure al Roland Garros, solo pochi mesi fa, era stata costretta al ritiro dalle polemiche che si erano scatenate in merito al suo rifiuto di partecipare alle conferenze stampa. Multata dalla Federazione, di fronte alle insistenze aveva raccontato di vivere in maniera negativa il rapporto con i media, soprattutto da quando aveva iniziato a soffrire di depressione, dopo gli US Open del 2018. A Tokio non è andata oltre il terzo turno, eliminata dalla numero 46 del mondo. “Dovrei essere abituata alla pressione, ma forse è stata ancora più forte”, ha detto. Già, perché se non reggi la pressione, che campionessa sei?
Il prezzo da pagare?
Atleti-robot quelli a cui siamo stati abituati. Pronti a sacrificare ogni cosa sull’altare dei traguardi da raggiungere. Più forti dei media che indagano ogni aspetto della loro vita. Perché, si dice, “è il prezzo da pagare per la notorietà”. Il termine “depressione” pronunciato sempre a voce bassissima.
Perché un conto è uno stiramento, un altro un ostacolo mentale. Il primo può capitare e va curato, il secondo dev’essere assolutamente evitato e, nel caso, sconfitto. Campioni che devono essere più forti di quello che li circonda, di una pandemia mondiale che ha sconvolto la vita di tutti, che ha fatto rimandare di un anno – un anno di allenamenti, rinunce, scelte di vita, distanze, sudore, pressioni – la competizione più simbolica e mediaticamente esposta del mondo. Che si sta svolgendo, per di più, in modo anomalo, dentro ad una bolla sociale e nel silenzio degli impianti senza pubblico. E a quelli che tira fuori la retorica populista che “i problemi sono altri” e “gli atleti sono dei privilegiati”, basterebbe chiedere come si sentono quando sono osservati da qualche estraneo. Un po’ a disagio, non è vero?
Dumoulin e Kevin Love…
Gli atleti, come ogni essere umano, appartengono a sé stessi e la salute, che sia fisica o mentale, è sempre salute. All’inizio dell’anno era stato il ciclista olandese Dumoulin – tornato in tempo per l’Olimpiade e argento nella prova in linea su strada – a fermarsi, dicendo di avere la necessità di prendersi una pausa, per pensare al suo benessere. Disse anche che gli era sembrato di togliersi un peso di 100 chili dalle spalle, prendendo quella decisioni. Gli stessi chili, lo stesso peso, che dice di sentire Biles: “A volte mi sento davvero come se avessi il peso del mondo intero sulle mie spalle”. E come si può, con un tale peso, chiederle di volteggiare per aria leggera ed elegante sulla pedana del corpo libero?
Prima di Dumoulin c’era stato Kevin Love, giocatore di Cleveland, in NBA, che nel 2018 aveva apertamente parlato della sua lotta con la depressione; dopo di lui, altri trovarono la forza per parlarne. E a distanza di due anni ha pubblicato una lettera aperta su The Player’s Tribune in cui ribadisce nuovamente quanto sia difficile affrontare determinate situazioni e quanto sia importante prendersi cura della propria salute mentale.
…e Federica Pellegrini
Prima ancora di Kevin Love, in Italia, fecero notizia le difficoltà di un’altra campionessa di caratura assoluta come Federica Pellegrini (con quella di Tokio sono 5 finali olimpiche nei 200 stile libero: come lei, nessuna mai). A suo tempo, tra un’articolo e l’altro – qui potete trovare il medico della FIN che dice: “sta benissimo, a livello medico non ha niente”; perché se si fa fatica a parlare bene di salute mentale nel 2021, immaginate dodici anni fa… – si sprecarono commenti beceri e maschilisti che è meglio non andare a rivangare.
La Repubblica ha messo ieri, in prima pagina, la foto di una Federica Pellegrini sorridente e quella di una Simone Biles in lacrime titolando: “La forza e la fragilità”. Un paragone privo di senso, smemorato e fuorviante. Ma, al di là di questo, è proprio l’idea che mettere al primo posto la propria salute mentale sia un segno di fragilità ad essere sbagliata e tossica. Posto che la fragilità debba essere considerata poi un limite od un difetto.
Simone Biles fragile?
Simone Biles ha 23 ed è campionessa di tutto, in uno sport che richiede a tutte le atlete enormi fatiche, sforzi, sacrifici. Ha rivoluzionato il mondo della ginnastica artistica, dando il nome a nuove evoluzioni, condizionando il sistema di votazione delle giurie (perché è troppo forte e compie salti troppo rischiosi, da scoraggiare attraverso punteggi bassi – in proporzione alla loro difficoltà – perché sarebbero troppo pericolosi per le altre ginnaste). Da anni è sulla cresta dell’onda e si sarà allenata mille volte anche quando era stanca o non ne aveva voglia. Ha vinto gare in precarie condizioni fisiche, soddisfacendo le aspettative di tifosi, tecnici, media, federazioni, compagne di squadra. In uno sport dove la maggior parte delle atlete sono bianche o asiatiche, ha raggiunto il vertice nonostante il razzismo – strisciante e manifesto – che, oltre agli insulti, ripeteva paradossalmente che aveva dei vantaggi atletici in quanto nera. E non bisogna dimenticare che è passata indenne dalla triste vicenda degli abusi che ha portato l’ex medico della federazione statunitense a condanne per più di 100 anni di carcere.
Prima di definire fragile o debole un’atleta con la sua storia e i suoi risultati, ci vorrebbe forse un po’ di cautela.
La solidarietà dei campioni
A proposito del ritiro di Simone Biles e di quello che sta attraversando, le cose migliori sono arrivate da campioni come lei, che – evidentemente – possono immaginare quali difficoltà stia vivendo. Tra i tanti attestati di solidarietà, è arrivata anche quella incondizionata dall’ex stella NBA Pau Gasol. E, soprattutto, sono arrivate parole importanti da parte di Michael Phelps. Uno che di medaglie olimpiche detiene il record assoluto, ma dopo il ritiro ha ammesso di aver lottato con la depressione per tutta la sua carriera e da allora si batte per portare all’attenzione di tutti la questione della salute mentale degli atleti.
Il ritiro di Simone Biles mi ha spezzato il cuore, ma nello stesso tempo mi rincuora che lei abbia avuto il coraggio di prendere questa posizione, di ammettere che non ce la faceva a continuare. Ha affrontato il tema della salute mentale e della sua centralità nel dibattito pubblico specialmente dopo ciò che abbiamo affrontato negli ultimi 18 mesi con l’arrivo della pandemia.
E ha aggiunto ancora:
Spero che questa esperienza ci apra gli occhi. Spero veramente che sia un’occasione per parlare sempre più ampiamente e apertamente di questo tema. È un problema molto più grande di quanto riusciamo a immaginare.
Un’occasione da cogliere
Già, potrebbe davvero essere l’occasione buona per parlare più ampiamente e apertamente della salute mentale – non solo degli atleti, ma di tutte le persone. A patto di provare, almeno, a farlo con i modi e le parole giuste. Magari aiuterà il documentario prodotto proprio da Phelps, che con la sua esperienza ha preso davvero seriamente questo argomento. Si intitolerà “Il peso dell’oro”: e chi può conoscerlo meglio di Phelps, che al collo ha messo più oro di chiunque altro…
Le parole della Biles prima ancora che coraggiose sono parole normali. Parole di buonsenso, estremamente consapevoli, che trattano una difficoltà mentale nella giusta prospettiva. Che rompono la retorica secondo la quale tutto è sacrificabile in nome della performance. Parole che forse, in una società ipercompetitiva come la nostra, potrebbero aiutare altri; a volte è il momento di prendersi una pausa, respirare, iniziare una terapia, dire basta.
Dispiace, sportivamente, per il momento difficile e il ritiro di Simone Biles; la speranza è che, quantomeno, questa vicenda sia un’occasione di crescita per l’opinione pubblica una testimonianza utile per chi ha bisogno di fermarsi e prendersi cura della propria salute mentale.
Simone Sciutteri