Costretti a tornare in Libia dopo essere stati consegnati alla Guardia Costiera, l’incubo di 270 migranti e profughi. OIM e UNHCR denunciano: “le persone salvate devono essere fatte sbarcare in un porto sicuro”
Sembrava esserci speranza per i 270 profughi e migranti che la nave Vos Triton aveva soccorso lunedì in acque internazionali. Nel giro di un solo giorno, però, sono stati costretti a fare ritorno al porto di Tripoli perché consegnati alla Guardia Costiera libica. Le agenzie delle Nazioni Unite per la migrazione e i rifugiati condannano l’avvenuto: il Diritto Marittimo internazionale impone lo sbarco in un porto sicuro, condizione a parere delle agenzie non rispettata nel caso della Libia.
Il paradosso del porto sicuro
Il 2021 conta già 13.000 persone riportate in Libia, numero che supera quello dell’intero 2020. Per quanto riguarda invece il caso dell’Italia, ad Aprile si contava un numero di sbarchi triplicato rispetto a quello che era stato l’anno precedente nello stesso arco di tempo. Nello stesso mese il Presidente del Consiglio Mario Draghi aveva manifestato un’opinione positiva riguardo la gestione dei flussi migratori:
Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia.
Una visione certo contrastante con quella che leggiamo dal sito web dell’UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), il quale denuncia l’accaduto come violazione dei diritti umani. Nel momento in cui la nave di Gibilterra ha permesso alla Guardia Costiera libica di portare le persone indietro, infatti, ha condannato le stesse a una probabile detenzione. Nelle carceri libiche sono comuni episodi di abusi, estorsioni, scomparse da rifarsi probabilmente a traffici di esseri umani.
Le organizzazioni chiedono anche la fine della detenzione arbitraria in Libia, attraverso l’istituzione di un processo di revisione giudiziaria, e sostengono la necessità di trovare alternative alla detenzione e di rimettere immediatamente in libertà i più vulnerabili.
La colpevolezza dell’accaduto non è quindi opinabile, data l’esistenza di un Codice non sempre rispettato. C’è però la questione del ‘porto sicuro’: quand’è che lo si può definire come tale? “A chiare lettere non c’è scritto da nessuna parte”, aveva spiegato Matteo Villa, analista dell’ISPI. In linea solo teorica si può affermare che si tratta dei luoghi in cui non sono garantiti i diritti fondamentali.
20 Giugno, giornata mondiale dei profughi
Oggi, in data 20 Giugno, si celebra la giornata mondiale dei profughi. Un’occasione che non si adatta a festeggiamenti, neanche nel Paese che secondo il Presidente Mattarella non si è mai sottratta agli impegni di soccorso e accoglienza. Anche dietro alle immagini positive, infatti, si nascondono frequenti episodi di razzismo, precarietà per i lavoratori stranieri e accordi internazionali facilmente aggirabili.
Tornare a casa non è sempre un bene. Perché non tutte le case assomigliano poi a delle case, ma soprattutto casa non sempre significa un porto sicuro.
Katherina Ricchi