Perchè noi umani abbiamo perennemente bisogno di qualcuno che stimoli i nostri animi, che ci risvegli dai nostri letarghi, che ci ricordi l’urgenza, prima di fare la cosa giusta?
Vorrei salutare quel grigio, quella sensazione nebulosa ed estremamente confusa che ogni qualvolta viene a salutarmi, nei momenti di estremo sconforto.
Si tratta del tacchino farcito posto come centrotavola nel giorno del ringraziamento, delle tagliatelle servite al pranzo domenicale, condite con il ragù della nonna e l’olio pugliese, a km zero.
O forse del kebab, acquistato dal tizio sotto casa che mi fa tenerezza. Dev’essere incredibilmente solo, e poi mi offre sempre il suo sorriso migliore. Ogni giorno più sdentato e marcio. Soffocato di certo da decenni di droga e tabacco.
Ecco come trascorriamo le nostre esistenze, nel mentre che oscilliamo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, nell’estremo disagio incontrollato, rappresentato dal pendolo della vita. I grandi filosofi dicevano che la vita fluttua costantemente; delle volte ci abbandona a terra, incapaci di scegliere se dare una leggera spinta alla nostra esistenza, facendo la cosa giusta, o coccolarci nella tranquilla monotonia di questa, costellata da tacchini farciti e tagliatelle al ragù domenicali.
Ci stiamo lasciando alle spalle un’estate torrida, ma il caldo ancora assonna e rende folli, il sudore è una seconda pelle, ci inumidisce, rendendoci estremamente irascibili e senza controllo.
Viviamo in una società che ci ha insegnato fin troppo bene a raccontarci le favole della buona notte, la negatività del lupo che mangia i porcellini per cena, cappuccetto rosso non è più un’ingenua bimbetta che girovaga per il bosco, ma una 14enne con lo smartphone in mano che se ne fotte di tutto.
L’indignazione per ciò che succede nel mondo arde nelle nostre fragili coscienze, brucia viva, giorno dopo giorno. Ci induce, spesso, a gettarci nell’ignoranza. Ci gettiamo nell’ignoranza, fingendo la demenza più colossale che possa esistere, perchè siamo stati abituati a costruirci dei muri di scuse.
Scuse, scuse ed infinite scuse, che ci permettono di continuare ad indignarci per l’Apocalisse che ci esplode accanto, sfiorandoci le punte dei piedi, senza muovere un dito.
A che serve indignarsi se poi non facciamo assolutamente nulla per migliorare?
Quanti innocenti dovranno ancora morire, prima che noi cittadini ci svegliamo dai nostri eterni letarghi, e decidiamo finalmente di fare qualcosa?
Non esiste più un luogo sicuro.
Non esiste più tempo da perdere.
Se continuiamo a rimandare ciò che potremmo fare oggi, non esisterà più nulla da perdere. Nulla da salvare.
Non possiamo preferire una canna all’umanità.
Noi l’umanità la dobbiamo vivere sulla nostra pelle, come quel sudore che inumidisce le nostre fronti nei momenti di estremo nervosismo, dove giocherelliamo con il braccialetto appeso al polso, pur di non pensare ai 40 gradi atmosferici, che gravano sui nostri corpi umani.
Non è trascorso troppo tempo dal 12 Luglio, quando due treni si sono tragicamente scontrati frontalmente, su un tratto a binario unico della ferrovia di Bari Nord. So bene di non dire nulla di nuovo, ma ci tengo a ribadire il bilancio: si parla di circa 27 morti e almeno una trentina di feriti.
Qualcuno ci pensa più a questo disastro?
Errore umano, possiamo chiamarlo; di certo indigna meno rispetto alle varie guerre che avviliscono l’animo umano ogni giorno. Ma è altrettanto sconvolgente.
Ci sono notizie che, ogni giorno, spezzano la nostra routine, il nostro tranquillo mondo ordinato, che scorre lungo i binari di una metro sempre in ritardo, e un aperitivo rilassante a fine giornata. Sono notizie che turbano i nostri inquieti animi, ci rattristano, ci preoccupano, magari succede che ne parliamo con il giornalaio sotto casa, quello che ci vende il giornale la mattina, giusto per alleggerirci la coscienza, e snodare un poco quel groppo che teniamo in gola. La verità è che bastano quelle due orette, il lavoro, la telefonata all’amico, il calcetto serale, ed è tutto dimenticato.
Alle vittime di quel disastroso incidente… Chi ci pensa più.
Una persona che stimo davvero tanto, non troppi mesi fa, mi ha chiesto se avessi donato il sangue.
Ricordo che stavo in piedi dinnanzi a lui, e sentivo l’imbarazzo nascere dentro di me, crescere, fino a raggiungere le gote, immediatamente pervase dal mio tipico rossore. Chiari segni di nervosismo si leggevano dal mio linguaggio del corpo, mentre la mia mente scorreva lesta, cercando la cosa più giusta da dire in quel preciso istante. Le ginocchia cedevano, i piedi tamburellavano a terra, le dita nodose giocherellavano tra di loro, martirizzando qualche pellicina infiammata.
Il mio incredibile imbarazzo non nasceva dal fatto che, chiaramente, non fossi andata a donare il sangue; ma dal fatto che la mia memoria non ricordava affatto per cosa avrei dovuto fare quel meraviglioso gesto.
Quanti di noi avrebbero donato il sangue, a seguito del disastroso incidente avvenuto in Puglia, il 12 Luglio scorso, se qualcuno ci avesse detto di farlo?
Quanti di noi avrebbero generosamente fatto questo gesto, se avessero trovato i camioncini e le ambulanze, colme di infermieri e siringhe, a fine giornata, sotto il proprio posto di lavoro?
Perchè noi umani abbiamo perennemente bisogno di qualcuno che stimoli i nostri animi, che ci risvegli dai nostri letarghi, che ci ricordi l’urgenza, prima di fare la cosa giusta?
Da quando è diventato così difficile fare la cosa giusta?
Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho provato quell’immensa soddisfazione che distende il viso in un meraviglioso sorriso rilassato, dato dall’aver contribuito direttamente ad accendere una piccola lucina di speranza in questo mondo così buio?
Elisa Bellino