C’era una volta… La storia degli Europei di calcio del 1988 potrebbe iniziare così. Qualunque sia il punto di vista dal quale decidete di narrare quei quindici giorni di calcio, il racconto comincerebbe con queste parole, ammantate di leggenda. Un mondo lontano e perduto. Eroi immortali. Personaggi fiabeschi che si aggiravano per i campi della Germania Ovest…
Sono gli ultimi Europei di calcio del secolo breve. È questa la definizione che dà lo storico Hobsbawn degli anni che vanno dal 1914 al 1991. In pratica, gli ultimi Europei di un mondo assai diverso dal nostro. Avevo sei anni e ancora non sapevo che la mia infanzia stava per finire. Ero un tifoso non ancora troppo appassionato. Mi innamorerò del calcio l’anno successivo, guardando l’Inter dei record e l’anno ancora seguente non mi perderò un incontro di Italia ’90. Ma nell’estate del 1988 ero un bambino distratto: col senno di poi, fu un peccato.
La fine di un mondo
Finiva la mia infanzia, perché finiva il mondo in cui era iniziata. Da lì a pochi mesi sarebbe caduto il muro di Berlino. La perestrojka galoppante di Gorbačëv avrebbe portato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. E il mondo dei blocchi contrapposti sarebbe definitivamente tramontato. Quelli del 1988 furono gli ultimi Europei di calcio di quel mondo. Giocati in Germania Ovest: un paese che avrebbe cessato di esistere e non avrebbe più disputato un Europeo. Così come l’URRS, che aveva vinto la prima edizione, nel 1960; che nel 1988 sarà finalista; e che disputerà l’edizione successiva, gli Europei del ’92, sotto l’acronimo C.S.I.
Ma quello del ’88 non fu solo un torneo “storico”. Fu anche un torneo magico. E un torneo irripetibile. Un Europeo con una tale concentrazione di talento – forse – non c’è più stato. Gullit e Van Basten, Vialli e Mancini, Matthaüs e Völler, Protasov e Mychajlyčenko, Lineker e Barnes, Martín Vázquez e Butragueño, Michael Laudrup e Elkjær Larsen. Un torneo di stelle, alcune in ascesa, alcune al loro massimo splendore: tutte pronte a brillare nelle fresche sere estive in terra tedesca.
Scacco alla Regina
Eppure la prima sorpresa del torneo arriva dalla squadra con meno talento di tutto il torneo, l’Irlanda. Si gioca a Stoccarda, alle 15:30. È la prima partita del girone B. Davanti ai verdi di Irlanda scendono in campo i sudditi di sua Maestà, la regina Elisabetta. I rapporti tra le due nazioni non sono affatto sereni. The Iron Lady, Margaret Thatcher, è particolarmente su di giri, perché proprio in quel periodo sono stati scoperti rifornimenti di armi provenienti dalla Libia e destinata all’IRA, l’organizzazione indipendentista irlandese. Tutta l’isola è in fibrillazione: sia la parte dell’Irlanda del Nord, sotto la corona inglese, che quella dell’Irlanda indipendente. Dare scacco agli uomini della Regina sarebbe un risultato che andrebbe oltre il suo significato sportivo. A guidare i verdi c’è il signor Jackie Charlton, fratello del più famoso Bobby, bandiera del calcio inglese. Con la maglia bianca ha vinto i mondiali del 1966, ma da due anni siede sulla panchina irlandese. Il suo ciclo è appena all’inizio: resterà in carica fino al 1996, guidando i verdi in uno dei periodi migliori della loro storia calcistica. Quando lascerà la carica di CT, l’Irlanda gli conferirà la cittadinanza onoraria: un’onorificenza incredibile per un inglese.
Eroi ed antieroi
Quel pomeriggio i pronostici sono tutti per gli inglesi. Per gli irlandesi era già un traguardo essersi qualificati per la fase finale, lasciando a casa il più quotato Belgio. Ma gli Europei di calcio, si sa, sono la patria delle sorprese. Così al 6′ accade l’imponderabile. Un lancio lunghissimo, dalla trequarti irlandese fino al lato corto dell’area di rigore, sulla lato sinistro dell’attacco. Due difensori inglesi si scontrano per anticipare un disorientato Stapleton, capitano dei verdi; attaccante del Blackburn Rovers, con un passato nel Manchester United e nell’Arsenal. Sul pallone vagante si avventa Tony Galvin, ala del Sheffield Wednesday, che indirizza uno spiovente in mezzo all’area.
L’eroe al contrario è, purtroppo per lui, Kenny Sansom. Con l’Europeo chiuderà la sua carriera da record in nazionale – è il terzino con più presenze – e dopo la manifestazione tedesca la sua carriera inizierà una fase di inarrestabile declino. Problemi economici e alcolismo saranno i suoi avversari a fine carriera. Forse è stata lì la sua sliding doors. Per liberare l’area, svirgola il rinvio, alzando un campanile. Torre di Aldrige verso l’esterno Ray Houghton e colpo di testa preciso, verso il secondo palo, che Shilton può solo guardare mentre si infila in rete. Jackie Charlton è incredulo. L’Inghilterra proverà a rimontare, ma i tentativi si infrangeranno contro la saracinesca tirata giù dal mitico portiere irlandese Pat Bonner. Saranno, anzi, ancora i verdi ad andare vicino al raddoppio, con una traversa colpita ancora da Houghton. C’era una volta l’Irlanda di Jackie Charlton: la favola è servita.
Sliding doors
Per i sudditi di Sua Maestà è uno smacco inaspettato. I giocatori non riusciranno a reagire e abbandoneranno gli Europei di calcio con un clamoroso zero alla casella “punti”. L’Irlanda, invece, sulle ali dell’entusiasmo bloccherà sul pari l’URSS e si giocherà tutto contro l’Olanda, nell’ultima partita del girone.
Questa volta la sliding doors gira a favore degli Orange: su un tiro di Ronald Koeman, il pallone rimbalza sul terreno e colpisce la testa di Wim Kieft, infilandosi beffardo alle spalle di un incredulo Bonner. Giovanili nell’Ajax, quindi Pisa e Torino e poi il ritorno in patria, nelle fila del PSV. Fresco vincitore della Coppa dei Campioni agli ordini di Guus Hiddink, ai rigori contro il Benfica – il biondo attaccante segna il secondo rigore nella serie finale – è quindi Wim Kieft l’uomo del destino. Sì: gli Europei di calcio del 1988 sono quelli di Van Basten; tripletta all’Inghilterra. Gol decisivo in semifinale. Il Gol, quello magico, quello con la maiuscola, in finale. Ma dopo la sconfitta contro l’URSS all’esordio, quella con l’Irlanda era la partita decisiva. Un pari avrebbe qualificato i verdi e rimandato a casa Gullit e Van Basten. E addio al Gol. Ma sul tiro di Koeman, la testa di Kieft, a 8′ dalla fine, qualifica l’Olanda alla semifinale contro i padroni di casa. C’era una volta un biondo attaccante di nome Kieft: il mito può realizzarsi.
La giovane Italia
Nell’altro girone sono i padroni di casa della Germania Ovest – vicecampioni del mondo e favoriti d’obbligo – a inaugurare il torneo. Contro l’Italia, che si preparava ad ospitare il Mondiale del ’90, dopo i poco riusciti Europei del 1980. La squadra era circondata dalla curiosità degli addetti ai lavori: dopo il mondiale messicano, Azeglio Vicini ha preso il posto di Bearzot, rinnovando completamente il gruppo grazie all’inserimento di molti giovani che aveva allenato nell’under 21. Tra i convocati ci sono solo tre reduci del Mundial del 1982: Bergomi, Franco Baresi e Altobelli. Ma il popolare Spillo è lì per fare da chioccia alla nuova coppia d’attacco: Vialli e Mancini. Minuto 52′: Donandoni recupera palla con caparbietà poco fuori dal lato destro dell’area di rigore e serve proprio l’attuale CT della nazionale; destro rasoterra a incrociare e 1 a 0 per gli azzurri. Il gol del pari arriva poco dopo. Zenga si attarda con il pallone in mano e l’arbitro fischia un (discutibile) fallo a due in area. Tocco per Brehme, tiro che passa proprio tra Donadoni e Mancini, in barriera, e 1 a 1.
C’era una volta…o quasi
Saranno comunque Italia e Germania Ovest a passare il turno a spese di Spagna e Danimarca. Nell’ultima partita del girone – contro la Danimarca già eliminata – ci sarà bisogno però del grande vecchio Altobelli, che segnerà il gol che sblocca la partita pochi minuti dopo essere subentrato a Mancini. L’Italia, in virtù di un gol segnato in meno rispetto alla Germania Ovest, si qualifica al secondo posto e affronterà l’URSS. Si gioca a Stoccarda, in mezzo a un grande sventolio di bandiere tricolore. Gli azzurri giocano bene; Vialli ha un paio di ottime occasioni, ma non è abbastanza preciso. Un suo appoggio corto a centrocampo dà il via alla ripartenza sovietica – certo: in tanti avrebbero potuto intervenire prima che il pallone arrivasse al centrocampista della Dinamo Kiev Lytovčenko; ma nessuno riesce a farlo, Zenga è beffato dal tocco dell’ucraino e l’URSS passa in vantaggio. Pochi minuti più tardi Protasov chiuderà un italianissimo contropiede con il gol del 2 a 0. C’è tempo ancora per un’occasione sui piedi di Vialli – assist, manco a dirlo, di Mancini – che però tira alto. In finale ci va l’URSS. Si chiudono in semifinale gli Europei di calcio della giovane Italia di Azeglio Vicini. C’erano una volta Vialli&Mancini: una favola che in azzurro non riuscirà mai a realizzarsi davvero. O forse, chissà: di nuovo insieme per gli Europei di calcio che stanno per iniziare – Mancini CT e Vialli capo delegazione – potrebbero raggiungere quel traguardo solo avvicinato da giocatori…
Gli Europei di calcio di Marco Van Basten
L’altra semifinale è spettacolare. L’Olanda parte forte, ma la Germania Ovest tiene botta. Quando al 55′ Matthaus segna un calcio di rigore – decretato per un’entrata sconsiderata di Rijkaard – l’inerzia della partita sembra decisamente a favore dei padroni di casa. Ma con il numero 12 arancione c’è un certo Marco Van Basten: già campione e a un paio di gol dal diventare mito. Ricicla un lancio lungo e conquista un rigore – segnato da Koeman al 74′. Quindi, a due minuti dalla fine, incrocia un passaggio filtrante, in scivolata, e manda l’Olanda in finale.
Per l’Olanda è l’ennesima finale della sua storia calcistica: fino a quel momento, però, hanno sempre perso. Per i sovietici sarà l’ultima finale di una storia calcistica gloriosa, ma ancora nessuno lo poteva sapere. Nemmeno il tempo di prendere le misure e l’Olanda è già in vantaggio; sugli sviluppi di un calcio d’angolo, i sovietici salgono per mettere in fuorigioco gli attaccanti olandese, ma senza attaccare il pallone, che viene crossato di nuovo in mezzo: torre di Van Basten e colpo di testa – potente come solo lui sapeva fare – di Gullit. L’Olanda è in vantaggio e l’URSS non riesce a riorganizzarsi. Nonostante in campo ci siano ben otto giocatori della Dinamo Kiev, sembrano mancare intesa e ritmo ai sovietici, che non impensieriscono mai davvero la difesa olandese.
Il Gol
Quello che accade dopo è storia che tutti gli appassionati di calcio conoscono.
Era il secondo tempo ed ero un po’ stanco. Arnold Mühren ha messo al centro un pallone e ho pensato: ‘OK, posso stopparla e provare a fare qualcosa in mezzo alla difesa, oppure posso provare la soluzione più semplice, rischiare il tiro al volo’. Serve molta fortuna, ma tutto è andato bene perché ho avuto il tempismo giusto – Marco Van Basten
La traiettoria è un arcobaleno di luce che illumina il cielo di Monaco di Baviera. Anche i tedeschi allo stadio – ancora scornati per l’eliminazione della squadra di casa per mano proprio degli olandesi – applaudono. Van Basten esulta con aria incredula. Lui stesso, in un’intervista di qualche tempo dopo, racconta il suo stupore: “Basta riguardare la mia reazione per capirlo, era come se mi chiedessi: Che succede?”. Anche Rinus Michel, allenatore olandese, inventore del calcio totale, uno che aveva allenato Crujiff, si stropiccia la faccia. La partita, di fatto, finisce lì. Almeno nella memoria collettiva. Perché poco dopo Belanov potrebbe riaprirla, ma si fa ipnotizzare sul dischetto dal portiere olandese Van Breukelen. Che poche settimane prima, con la maglia del PSV, aveva parato il rigore decisivo in finale di Coppa Campioni. Così l’Olanda vince gli Europei di calcio del 1988. C’era una volta Marco Van Basten. Ma raccontarlo a chi non l’ha visto, non renderà mai davvero l’idea.
Simone Sciutteri