Si è concluso il 26 maggio scorso il caso noto come “il popolo contro Shell“, aperto nel 2019 grazie alla denuncia del gruppo ambientalista olandese Milieudefensie, filiale locale della rete internazionale Friends of the Earth, sostenuta da diverse altre Ong e da oltre 17mila cittadini olandesi. La sentenza emessa dalla Corte olandese di un tribunale dell’Aia prevede l’obbligo per la multinazionale anglo-olandese Royal Dutch Shell, leader nei settori petrolifero, dell’energia e petrolchimico, di ridurre le emissioni di Co2 del 45% entro il 2030 rispetto ai parametri del 2019.
Si tratta di una vittoria importante per le associazioni ambientaliste olandesi, che da anni lottano contro il colosso di petrolio sostenendo cause e denunce in tutto il mondo, e per le migliaia di cittadini che si sono costituiti parte civile ma, soprattutto, si tratta di una sentenza storica a livello internazionale dal momento che riconosce ufficialmente il peso e le responsabilità dei magnati del petrolio nelle dinamiche legate ai cambiamenti climatici e all’inquinamento terrestre, nonché nelle gravi conseguenze per la salute umana e ambientale e per i diritti umani.
Accordo di Parigi e compagnie petrolifere
Le motivazioni alla base del caso “il popolo contro Shell“, riguardavano il mancato allineamento della multinazionale all’accordo di Parigi sul clima del 2015 rispetto alla riduzione delle emissioni di Co2.
L’accordo di Parigi è un trattato internazionale legalmente vincolante sul cambiamento climatico, adottato da 196 parti alla COP 21 di Parigi il 12 dicembre 2015 ed entrato in vigore il 4 novembre 2016, il cui obiettivo è limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi Celsius. Per raggiungere tale obiettivo di temperatura a lungo termine, i paesi che hanno depositato gli strumenti di ratifica dell’accordo si sono impegnati a fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello massimo al più presto possibile, nonché nel conseguire rapide riduzioni secondo le migliori conoscenze scientifiche disponibili, in modo da raggiungere un equilibrio tra emissioni e assorbimenti nella seconda metà del secolo. L’accordo di Parigi costituisce il primo patto vincolante che dovrebbe coinvolgere tutte le nazioni nella causa comune di lotta al cambiamento climatico, di adattamento e aggiustamento dei sistemi socioeconomici vigenti ai suoi effetti e di trasformazione di questi ultimi nel segno di una prossima transizione ecologica.
Fin dalla sua entrata in vigore, tuttavia, diversi attori sociali, associazioni ambientaliste e Ong hanno sottolineato come l’accordo di Parigi sia inutile senza il coinvolgimento delle aziende e multinazionali più inquinanti del pianeta. L’accordo, infatti, prevede la ratifica e l’obbligo di raggiungimento degli obiettivi prefissati da parte delle entità governative degli stati membri ma non delle multinazionali.
Dopo oltre cinque anni dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico la situazione non solo non è migliorata ma sembra, invece, peggiorare sempre più, soprattutto a causa del pesante impatto ambientale delle multinazionali e delle aziende dei settori petrolifero ed energetico. La sentenza del tribunale olandese contro la Royal Dutch Shell è, in questo senso, un segnale positivo di presa di posizione nei confronti delle responsabilità delle multinazionali e un importante precedente storico per le oltre 1800 simili cause giudiziarie in corso in tutto il mondo.
Alcuni dati sulla Royal Dutch Shell e sull’inquinamento delle multinazionali
Secondo i dati emersi dall’indagine che ha portato alla sentenza, la Royal Dutch Shell sarebbe stata responsabile dell’emissione di 1,65 miliardi di tonnellate di anidride carbonica nel 2019, una cifra assai superiore a quelle prospettate nel piano di riduzione delle emissioni. Davanti alle accuse delle associazioni ambientaliste, a febbraio 2021 i vertici della Shell avevano dichiarato i nuovi obiettivi per ridurre l’impronta ambientale della compagnia del 20% entro il 2030, del 45% entro il 2035 e del 100% entro il 2050, dichiarando di non sentirsi legalmente e giuridicamente vincolata all’accordo di Parigi in quanto l’obbligo di perseguire gli obiettivi dell’accordo riguarderebbe i governi nazionali e non le multinazionali.
La sentenza del tribunale olandese contro Shell ha sottolineato come il coinvolgimento attivo delle multinazionali del petrolio e dei colossi dell’energia nella questione dei cambiamenti climatici e della transizione ecologica non possa essere sottovalutato ma, al contrario, sia necessario intervenire affinché queste si assumano la responsabilità di diminuire e controllare le emissioni diretta causa delle loro azioni. Pertanto, gli obiettivi proposti da Shell sono stati giudicati inconcreti e insufficienti dal tribunale e la corte ha deliberato a favore delle associazioni ambientaliste imponendo per la prima volta ad una società di allinearsi all’accordo di Parigi sul clima.
Malgrado il raggiungimento degli obiettivi proposti dall’accordo di Parigi sembri ancora lontano, l’auspicio è che la recente sentenza contro la Shell possa aprire la strada a nuovi provvedimenti nei confronti delle multinazionali e aziende che guidano i settori petrolifero, energetico e petrolchimico, responsabili di oltre un terzo delle emissioni di gas serra del pianeta.
Marta Renno