La scuola, si sa, è stata e continua ad essere uno dei settori più colpiti dalla pandemia di Covid-19. E dove le chiusure altalenanti e il disimpegno non bastano per un’istruzione già in ginocchio, anche i più responsabili peccano
Tranquilla giornata di scuola. All’improvviso la telefonata: “Ragazzi, sono positiva. L’ho già comunicato alla scuola”. Ed è qui che scatta il protocollo mirato a ridurre i contagi: come da disposizione del Ministero la scuola comunicherà i nomi dei compagni di classe della persona risultata positiva al Covid-19 alla ASL o ATS in modo da poter facilitare il tracciamento. A quel punto non resta che aspettare: sarà l’Azienda Sanitaria Locale o l’Agenzia di Tutela della Salute a comunicare l’obbligo di quarantena ai ragazzi, i quali saranno costretti ad aspettare dieci giorni di incubazione del virus prima del tampone molecolare.
Semplice, no? La classe torna a casa e aspetta la comunicazione dell’obbligo di quarantena. Le ore passano ma il telefono resta silenzioso: nessuna chiamata da parte ASL, nessuna videolezione programmata per il giorno successivo. C’è chi si chiede se nel frattempo le disposizioni siano cambiate, c’è chi azzarda un “ma finché nessuno mi dà l’obbligo di stare in casa io posso uscire, no?” Ma alla fine è tutto fumo e niente arrosto.
Si fanno le dieci di sera, poi le undici. Ci si chiede se non rifiutarsi spontaneamente di andare a scuola, data la consapevolezza di un contatto con un positivo, ma è difficile trovare un accordo. A niente serve telefonare alla coordinatrice di classe, che non ha ricevuto alcun tipo di direttiva.
Proprio quando si decide di lasciar perdere – ciascuna famiglia deciderà per sé se mandare i ragazzi a scuola o no – la notifica di un messaggio dalla coordinatrice: la classe è stata chiusa, domani non si va a scuola. Dopo il sollievo di avere finalmente una certezza su cosa fare, sorgono i primi dubbi: ma chi l’ha deciso, se si va a scuola o no? Non sarebbe dovuta essere la ASL, a telefonare?
Sì, ma ci ha messo troppo.
È stata perciò la vicepreside a prendere l’iniziativa e attivare la Dad per una classe che in via ufficiale non ne avrebbe motivo, e che altrimenti avrebbe continuato la normale attività in presenza nonostante il rischio. Solo l’ASL o l’ATS possono effettivamente vietare ai ragazzi di andare a scuola, ma il buonsenso supera la burocrazia e si rimane così, in stallo tra due leggi come in un’Antigone sofoclea rivisitata.
Un’obiezione potrebbe essere: cosa sarà mai un giorno “ingiustificato” di didattica a distanza? La questione è che quest’episodio non corrisponde a un caso isolato, ma è solo parte di una lunga serie di vicende tutte uguali che procede durante i momenti di picco di pandemia così come in un momento di relativa stabilità.
Si tratta dell’ennesima prova di un disinteresse diffuso per tutto ciò che è inerente all’ambito scolastico, dalle promesse mai mantenute sui dispositivi alla noncuranza per un sistema di chiusure evidentemente compromesso.
Sono le feste e gli assembramenti pomeridiani a diffondere il Covid tra i giovani. Ma siamo sicuri che la colpa sia solo degli studenti?
Katherina RIcchi