Il mare è l’unica scelta. Qui, migliaia sono le storie travagliate che si spezzano tra le onde.
Viaggi fatti di sogni e speranze che dovrebbero costituire una nuova porta per il futuro negato, ma non è così.
C’è morte o salvezza, in mare. Alle Canarie, un aereo militare ha avvistato questo mercoledì una barca in legno. Ventiquattro sono i migranti a Tenerife deceduti su questa imbarcazione, mentre si contano solo tre superstiti.
I migranti a Tenerife lottano tra la vita e la morte
Il servizio di soccorso marittimo spagnolo ha recuperato mercoledì notte i corpi senza vita di 24 migranti e tra loro c’erano anche dei bambini. I soccorritori hanno riferito che i sopravvissuti avevano trascorso 22 giorni in mare.
L’imbarcazione era stata avvistata lunedì 26 aprile, a circa 500 chilometri a Sud-Est dell’isola di El Hierro.
I superstiti sono stati trasportati nell’ospedale di Tenerife ed uno era gravemente disidratato.
Juan Carlos Serrano, membro dell’aeronautica miliare, ha dichiarato:
“Erano così deboli che non riuscivano a tenersi in piedi”
Le persone che avevano deciso di imbarcarsi per arrivare in Spagna provenivano tutte dall’Africa sub-sahariana.
Perché accade questo? Dov’è il buon senso?
Chi decide di partire e rischiare la propria vita non è una persona priva di buon senso. L’unico buon senso è provarci. Una, due, non importa quante volte. Il coronavirus, la povertà, i conflitti politici e la dominazione indiretta che le grandi potenze del mondo hanno esercitato su questi territori fanno parte delle motivazioni che spingono alle partenze.
Questo aprile porta sulla sua coscienza non solo le 24 persone ritrovate dalla milizia spagnola, ma un numero esorbitante di sguardi, storie, famiglie che sopprimono le loro paure nell’incertezza del mare.
Dal 2014, più di 20.000 migranti e rifugiati sono morti per raggiungere l’Europa dall’Africa. Di questi, 17.000 sono deceduti lungo la rotta del Mediterraneo centrale, considerata dall’ONU come una delle più pericolose al mondo.
Era dal 2006 che non veniva registrato un numero così alto di morti in questa regione.
Quello fu l’anno in cui l’arcipelago al largo delle coste dell’Africa nord-occidentale ricevette una storica ondata di arrivi di migranti, circa 30.000, secondo la delegazione governativa.
Una notizia che si aggiunge alla strage umana avvenuta nel fronte libico proprio il 21 aprile dove sono morte 130 persone.
Così come nella traversata dalla Libia all’Italia, o come nella traversata spagnola, il mare è grosso e le onde sono alte sei metri. Di conseguenza, i barconi sono instabili.
In Francia, sul quotidiano francese Libération, Morgane Lescot afferma, con rabbia condivisa:
“Questo mare è diventato una fossa comune a cielo aperto, la gente annega a un passo dall’Europa e la politica non fa nulla”
Una fossa comune a cielo aperto, dice.
E non ci sono parole che possano attutire l’impatto che questa frase genera sulla pelle. Lo sdegno, la consapevolezza, la rabbia non bastano.
Il dramma del mare che oggi si ripresenta nella morte dei migranti a Tenerife, deve smuovere le nostre esistenze soprattutto perché non siamo gente sconnessa. Siamo tutte delle persone e questa sorte non può essere tollerata, neanche elaborata o accettata. Ignorare ciò che accade nel mondo, o scrollarsi di queste notizie, cosa ci ha reso? Questo è un callo che non può esistere.
Maria Pia Sgariglia