Per la prima volta nella storia, dopo 15 anni di battaglie legali, il 18 marzo 2005 la Corte Suprema della Florida approva la rimozione del tubo di alimentazione a Terri Schiavo.
Quando si spense a Pinellas Park (Florida) Terri Schiavo aveva 41 anni, di cui 15 passati sul letto di un ospedale. La sua storia è diventata in tutto il mondo il simbolo della battaglia al diritto di scegliere se mettere fine alla propria vita. Da quel lontano 2005, alcuni paesi hanno fatto numerosi passi in avanti, istituendo una legge su questo delicatissimo tema. Un percorso lungo e difficile, che ha visto coinvolte realtà molto diverse e spesso ideologicamente distanti, ma comunque propense al dialogo.
Dalla medicina alla bioetica, dalla politica alla religione e all’opinione pubblica, all’epoca dei fatti sul caso di Terri si sono espressi veramente in tanti, aprendo così la strada a un cambio di rotta sostanziale: l’eutanasia non era più un tabù.
Theresa Marie Schindler Schiavo
Nata a Lower Moreland Township (Pennsylvania) nel 1963, Terri era la primogenita della famiglia Schindler. Timida, ma molto simpatica, amava la musica, gli animali e il disegno. Nel 1983, al Bucks County Community College incontrò Michael Schiavo, che divenne suo marito l’anno successivo. Dopo qualche tempo, la giovane coppia si trasferì nella contea di Pinellas (Florida), dove Terri Schiavo morì nel 2005.
L’arresto cardiorespiratorio
Il 25 febbraio 1990, Terri era a casa quando subì un improvviso arresto cardiorespiratorio. Per alcuni minuti il suo cuore smise di battere e di conseguenza il cervello rimase senza ossigeno, causandole un’encefalopatia ipossico-ischemica. A seguito dei gravi danni cerebrali riportati, le fu diagnosticato uno Stato Vegetativo Persistente (PVS), che la costrinse all’alimentazione e idratazione artificiale mediante sondino nasogastrico (PEG). All’epoca dei fatti aveva 26 anni e stava seguendo una dieta dimagrante molto severa per risolvere i problemi di sovrappeso. Sebbene non sia mai stata accertata la causa dell’arresto cardiaco, è molto probabile che gli squilibri fisiologici determinati dall’alimentazione ipocalorica abbiano contribuito.
1990-1997
Subito dopo l’incidente, il marito fu nominato tutore legale della moglie senza il consenso dei genitori. Nei primi anni si tentarono diverse terapie tramite le quali imparò a pronunciare, seppur con estrema difficoltà, alcune parole come “no”, “stop” e “mamma”. Nel 1992, Michael vinse la causa di “malpractise” contro alcuni medici di Terri, sostenendo che non le avessero diagnosticato un disturbo alimentare prima del malore. Dalla vittoria ottenne circa un milione di dollari, di cui 780.000 devoluti per sostenere le spese mediche.
Nel 1993, iniziarono poi i primi scontri legali con la famiglia di Terri, poiché Michael firmò l’ordine “Do Not Resuscitate” (DNR). Di contro, i genitori chiesero di togliere la tutela legale al marito, ma il Tribunale non acconsentì. Da quel momento Michael cominciò a cercare degli avvocati esperti nel campo dell’eutanasia.
1998, la prima richiesta di eutanasia
La legislazione della Florida, in presenza di un testamento biologico, riconosceva alle persone prive di coscienza il diritto di rifiutare le cure. Tuttavia, Terri non aveva rilasciato alcun documento, quindi non c’era modo per Michael di appellarsi a questa possibilità. Tuttavia, in qualità di tutore legale, presentò un’istanza alla Corte della Florida per rimuovere il sondino alimentare a Terri, nonostante l’opposizione della famiglia. A sua volta, la Corte decise di procedere nominando un “guardian ad litem”, Richard Pearse, affinché chiarisse le effettive condizioni della donna.
Lo stato vegetativo persistente fu riconosciuto in modo incontestabile, vista l’assenza di azioni volontarie e l’incapacità di interazione volontaria. Tuttavia, il dottor Pearse raccomandò la Corte di rifiutare la richiesta del marito, poiché non c’erano sufficienti prove per dare credito alle sue affermazioni circa le volontà di Terri. Inoltre, la famiglia continuava a sostenere che la figlia, in quanto cattolica, non sarebbe mai stata a favore dell’eutanasia.
2000-2003
Contrariamente ai genitori, Michael sostenne sempre che la moglie, quando ancora cosciente, avesse esplicitamente detto di non volere il supporto vitale, qualora le fosse mai divenuto necessario. Una dichiarazione confermata poi anche dal fratello e dalla cognata di Schiavo. In totale il Giudice ascoltò il parere di 18 persone vicine a Terri, per giungere infine alla conclusione di interrompere l’alimentazione. Infatti, nell’aprile 2001 il personale sanitario staccò il tubo, ma per soli 2 giorni. Dopo un’accesa battaglia legale, l’alimentazione venne interrotta e ripristinata una seconda volta, il 15 ottobre 2003.
2003, la legge Terri
Il 21 ottobre il Parlamento approvò la cosiddetta “Terri law”, secondo la quale il Governatore poteva intervenire sulla decisione da prendere. Fu una legge particolarmente discussa, poiché costruita ad hoc per la situazione di Terri Schiavo, sebbene integrasse un’altra normativa istituita già nel 1997. Quest’ultima prevedeva che, in assenza di un testamento biologico, il tutore legale poteva scegliere se interrompere i trattamenti di sostegno vitale; inoltre, riconosceva come unico “guardian ad litem” il coniuge.
Approvata la legge, il Governatore espresse subito parere negativo all’eutanasia, costringendo il personale medico a reinserire la sonda gastrica con un intervento chirurgico di urgenza. Fortunatamente, dopo una serie di appelli, il 5 maggio 2004 la Corte dichiarò incostituzionale la “Terri law”.
18 – 31 marzo 2005
Il 18 marzo per l’ultima volta venne staccato il tubo di alimentazione a Terri, in un clima di forte dibattito in tutto il mondo. A nulla servirono i ricorsi presentati dalla famiglia nei giorni successivi: dopo 12 giorni, il 31 marzo, Terri Schiavo morì.
Eutanasia, dall’etimologia della parola al suo significato giuridico
Deriva dal greco “ευθανασία” e letteralmente significa “buona morte”, in riferimento al fine vita procurato intenzionalmente nell’interesse di un individuo, la cui qualità della vita è ormai compromessa in modo permanente. Tuttavia, tale visione dell’eutanasia è piuttosto recente, del XVII secolo, poiché nell’antichità questa scelta non era mossa da un atteggiamento pietistico, ma figurava piuttosto come un qualcosa di socialmente imposto. Infatti, l’eliminazione dei malati era vista come necessaria per tutelare l’economia della società e la salute della comunità.
Nel secondo dopoguerra, si cominciò a percepire una sensibilità diversa verso la qualità di vita dei malati e, di conseguenza, una maggiore apertura verso l’eutanasia. Inoltre, la contemporanea evoluzione della medicina stava portando una crescita importante di casi, sicché quella che poteva essere inizialmente una questione prettamente etica cominciava a diventare anche un problema giuridico, anzi un vuoto legislativo.
La morte nel linguaggio giuridico
Prima dell’avvento delle moderne tecniche di rianimazione, la morte coincideva con la fine delle funzioni vitali (es. cardiache, respiratorie e nervose). In rispetto del valore dato oggi alla dignità umana, il concetto di vita è stato ampliato tenendo conto anche della possibilità di relazionarsi con gli altri, indipendentemente dall’ausilio di una macchina.
Secondo il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), in accordo con l’art. 1 della legge 29 dicembre 1993, n. 578, “la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. In particolare, questa definizione ha trovato il consenso del CNB poiché il termine dell’attività dell’encefalo provocherebbe anche la fine della coscienza dell’individuo. Tuttavia, tale coincidenza non è totale e, infatti, su alcuni aspetti si discute molto ancora oggi senza trovare spesso un accordo.
Gli altri dopo Terri Schiavo
Piergiorgio Welby (1945-2006), politico italiano, ha dedicato la vita al riconoscimento legale sia del diritto di rifiutare l’accanimento terapeutico sia del diritto all’eutanasia. Co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, nel 2006 la sua storia ha avuto un notevole impatto mediatico. Infatti, essendo gravemente malato, aveva chiesto l’interruzione delle cure, che gli fu negata dal tribunale di Roma dichiarandola “inammissibile”. Il 20 dicembre Welby morì per sua volontà grazie all’aiuto dell’anestesista.
Eluana Englaro (1970-2009) è una delle storie più conosciute in Italia. Dopo un incidente stradale nel 1992, la ragazza rimase in stato vegetativo per 17 anni, nonostante la famiglia avesse chiesto più volte di interrompere l’alimentazione forzata. Nel 2009, dopo anni di battaglie legali, Eluana morì in una clinica di Udine.
Dj Fabo (1977-2017), all’anagrafe Fabiano Antoniani, rimase tetraplegico dopo un incidente stradale. Per anni chiese allo Stato italiano di poter morire, scrivendo anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Alla fine, grazie soprattutto all’aiuto di Marco Cappato, riuscì a trasferirsi in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale anche per gli stranieri.
La tecnica ha creato un tempo intermedio tra la vita e la morte, dove una vita organica si protrae o in assenza di una vita cognitiva o in conflitto con la capacità di sopportazione del paziente.
Nel tempo la medicina ha fatto progressi inimmaginabili e fortunatamente continua a farli. Si salvano vite che una volta non avrebbero avuto possibilità e si danno speranze concrete a tanti pazienti gravemente malati. Un’evoluzione che ci rende felici, ci restituisce parenti, amici o la nostra stessa vita, da vivere magari con una consapevolezza diversa. Ma è sempre così? Torna sempre tutto come prima? Purtroppo no. Ed è per questo che il diritto all’eutanasia non può avere meno importanza di quello alla vita.
Un malato che vede la propria serenità nella morte è prima di tutto una persona che sta soffrendo tanto nell’affrontare un dramma, di cui tutti dovrebbero avere assoluto rispetto. Nessuna legge potrà mai stabilire dei criteri giusti per valutare se una vita è sufficientemente di qualità per essere vissuta, ma può e deve garantire la possibilità di scelta del singolo. Così come dovrebbe tutelare i diritti di un medico, se decide di accogliere le volontà di un suo paziente.
La vita è il miracolo della biologia, ma anche l’essenza dei sentimenti, delle emozioni e delle interazioni cui la coscienza dà un valore assolutamente personale. Non siamo nessuno per giudicare qualcosa che non ci appartiene. Sarebbe egoista. Sarebbe ingiusto.
L’eutanasia non sminuisce il valore della vita, semplicemente le restituisce quel velo di dignità tanto ingiustamente portatole via.
Carolina Salomoni