In Italia nel 1907 la prima donna dotata di una patente di guida. E in Arabia Saudita? Nel 2018, ma c’è chi ne paga le conseguenze ancora oggi
Sorriso dolce, occhi profondi e consapevoli. Dalle foto, Loujain al-Hathloul pare una donna come tante. Ed effettivamente lo è, una donna come tante donne in Arabia Saudita che giorno dopo giorno hanno vissuto la privazione di un’abitudine banale, quella di guidare una macchina.
Loujain, però, è stata una delle poche a dire di no. A prezzo non indifferente.
La storia
È il 30 Novembre del 2014 quando un’auto tenta di attraversare il confine degli Emirati Arabi verso l’Arabia Saudita. Al volante Loujain al-Hathloul, accanto una compagna. Sono entrambe attiviste con l’intento di bloccare il divieto di guida femminile nell’unico Paese che lo considera ancora un reato. Il viaggio comporterà due mesi di carcere per entrambe.
Nel Novembre successivo Loujain si candida alle elezioni, è il primo anno in cui l’elettorato è concesso anche alle donne. Nonostante ciò, il nome dell’attivista non viene mai aggiunto alle liste.
Nel 2018, nuovo arresto: Loujain è condannata per cospirazione contro il regno, essendosi candidata per un impiego presso le Nazioni Unite. In carcere è vittima di frustate, violenze sessuali, addirittura torture. La detenzione dura 1000 giorni, sino al 10 Febbraio 2021; nel frattempo il principe Mohammed bin Salman ha emesso un decreto che consente alle donne di guidare.
Una storia a lieto fine? Sì e no. Alcune compagne di Loujain attendono ancora di essere liberate, e la stessa attivista dovrà aspettare sino al 2026 prima di poter uscire nuovamente dall’Arabia Saudita.
Oltre Loujain: le donne del Paese tra i meno femministi al mondo
Su 153 Paesi, l’Arabia Saudita è 146esima per parità di genere: lo spiegano i dati del World Economic Forum relativi al 2020.
In cosa consiste la differenza tra la vita di una donna occidentale e quella di una donna saudita? Innanzitutto, la figura femminile come essere indipendente è priva di significato: qualsiasi donna saudita sviluppa la propria esistenza grazie a una presenza maschile, che sia un fratello, il padre o lo sposo. È quindi il tutore, chiamato mahram, a intervenire su qualsiasi libertà, che si tratti di decidere con chi sposarsi o spostarsi con un mezzo pubblico. In caso di necessità di dover rilasciare una dichiarazione in questura non è la donna a parlare, bensì il mahram.
Sposarsi all’età che si preferisce e con chi si vuole, avere accesso a qualsiasi facoltà universitaria, aprire un conto in banca. È difficile pensare di dover lottare per pratiche tanto banali in Europa, eppure l’Arabia Saudita ci dimostra come nessuna vittoria debba essere mai ritenuta scontata.
Comprendere è il primo passo per cambiare. Quando qualcuno mette in dubbio la parità dei ruoli all’interno di una coppia, si pensi alle mogli saudite che accedono alle proprie case da un ingresso separato da quello del marito. Quando si subisce una molestia verbale per strada, si pensi alle donne che hanno rinunciato a ritornare al proprio Paese natale dopo essere fuggite a causa di una violenza sessuale, poiché rischierebbero l’esecuzione.
Permettere che il femminismo passi come una causa antiquata, oramai inutile per l’Occidente e irrealizzabile per l’Oriente, significa incoraggiare governi come quello che ha quasi ucciso Loujain, e che continua a farlo ogni giorno con milioni di donne.
Assistiamo in queste ore ad una polemica (…) sulla presenza di donne nel governo. Ciò che conta non è ciò che gli assessori hanno in mezzo alle gambe, ma ciò che hanno in mezzo alle orecchie.
Arabia Saudita? No, un deputato italiano. Perché forse la sola Loujain non è abbastanza per una lotta più grande di quanto non appaia.
Katherina Ricchi