Diciamoci la verità: per gli appassionati di auto gli incentivi statali, specie i primi, del 1997, sono stati una vera strage. Centinaia di auto perfette, oggetto un tempi dei desideri più proibiti, accatastate in condizioni intonse in cambio di bidoni moderni che a loro volta, in buona parte, sono già stati rottamati. Molti, compreso il sottoscritto, non ci dormono da anni, pensando ad un simile spreco di materiale rotabile e soprattutto pensando come, in un paio d’anni, modelli che quasi infastidivano per strada per quante ce n’erano, siano letteralmente spariti. Proviamo a ricordare i più rappresentativi, in ordine di memoria (del sottoscritto). Ovviamente ce ne sarebbero di modelli da citare, vittime non solo degli incentivi del 1997, ma anche di quelli più recenti e soprattutto delle varie campagne diffamatorie in nome dell’inquinamento, ma accontentiamoci di quelli ai tempi più diffusi.
Sicuramente un esempio eclatante di quest’altra speciale “classifica” delle vittime degli incentivi statali è la Renault 5. Era la seconda scelta più ovvia quando si doveva pensare all’acquisto di un’utilitaria, dopo la 127, e aveva tante frecce al suo arco: una linea così moderna ed originale da risultarlo ancora oggi, a 44 anni dalla presentazione (1972), prezzo tutto sommato economico, gamma che variava dalla flemmatica 850 base, che offriva di serie volante, sedili e carrozzeria alla sportivissima Alpine Turbo, capostipite della mitica categoria delle “bare“, le utilitarie tutto motore e niente tenuta di strada. Spesso utilizzate fino allo sfinimento, a partire dagli incentivi del 1997 ha subito un diradamento delle strade da record, rapido quasi quanto il tempo che c’ha messo a popolare le vie delle città dall’anno di uscita fino al 1985, quando fu sostituita dalla Supercinque, altra desaparecida. Oggi ne sopravvivono davvero poche, per fortuna parecchie delle quali ben conservate da gelosissimi amatori che non solo hanno mantenuto in vita le estreme Maxiturbo, ma anche le più plebee base o Tl o Gtl (le più gettonate in Italia), magari con la loro targa quadra di origine, uno dei sogni proibiti del sottoscritto (che se dovesse dare retta a tutti quelli che ha, dovrebbe noleggiare un isolato per conservarli tutti).
Un altro esempio clamoroso di automobile totalmente sparita anche per colpa degli incentivi è rappresentato dalla Fiat 128. Nel 1971, prima che uscisse la 127 fu la vettura più venduta d’Italia, e in generale si è sempre venduta a peso perchè ricalcava tutto quello che era e doveva essere una Fiat: linea moderna ma classica (non è voluto questo ossimoro), in grado di accontentare tutti, meccanica semplice, moderna ed affidabile (la prima Fiat a motore monoalbero in testa in posizione trasversale e trazione anteriore), prezzi popolarissimi, spazio da vendere ed eccezionale duttilità: era la scelta più ovvia per tutti gli ex possessori di 500, 600 o 850 che volevano qualcosa di più grande, spesso dopo aver tirato su famiglia. Lanciata nel 1969, fu subito auto dell’anno e, come in voga nella Fiat del tempo, fu oggetto di versioni derivate, coupè (la 128 SL) e spider (la X1/9, auto ancora oggi modernissima e geniale). Tra uso intenso fino allo sfinimento, ruggine che iniziava ad attaccare il sottovetro del lunotto e finiva per mangiarsi tutta la carrozzeria e i famigerati e ultracitati incentivi, è divenuta una vera rarità. Per carità, ogni tanto per fortuna il piacere di avvistarne una ancora capita, ma occorre davvero faticare (e ve lo dice uno che per hobby si gira le vie alla ricerca di prelibatezze d’epoca).
A proposito di ruggine. Tale termine fa per antonomasia rima con un altro modello, contrastato, amato ed odiato, ma simbolo dell’italia che fu, statalista, democristiana, bigotta, sprecona: l’Alfasud. Nata per contrastare la Fiat nel settore delle vetture utilitarie, doveva essere la risposta Alfa alla 128: raffinata, moderna ed il più possibile economica (rispetto alle sorelle maggiori). I primi due obiettivi li raggiunse, il terzo un pò meno. Fu presentata a fine 1971 e fin da subito fece intuire i disastri dello stabilimento di Pomigliano (lo stesso che oggi produce la Panda): produzione iniziata parecchi mesi dopo la presentazione a causa della difficoltà di reperimento di manodopera, continui scioperi, diserzioni e boicottaggi sulla linea di produzione che generavano clamorosi ritardi di consegne (e quindi la rinuncia di molti all’acquisto). La vettura avrebbe potuto spopolare perchè obiettivamente era bella, con quella linea disegnata dal più grande di tutti i tempi (a modesto parere del sottoscritto), Giorgetto Giugiaro, ed aveva una meccanica di prim’ordine, con il raffinato 4 cilindri boxer progettato dall’ingegner Hruska (lo stesso che progettò anche lo stabilimento!!) e invece dovette accontentarsi di un successo si lusinghiero, ma lontano dalle potenzialità, anche a causa della Fiat che fece un vergognoso ostracismo, ad iniziare dalle pressioni alla Dc (che le rigirò alla dirigenza della casa) per far costruire, appunto, lo stabilimento di Pomigliano, che, tra progettazione, costruzione e disastri produttivi svuotò le casse Alfa, e di conseguenza quelle statali, visto che era dell’Iri. Ruggine (anche per colpa dei già citati continui boicottaggi lungo la linea produttiva), croce e delizia delle Alfa dei tempi e, come gli altri casi, sfinimento meccanico le ha condotte quasi tutte alla pressa. Gli incentivi statali le hanno dato il colpo di grazia. Oggi incontrare una prima serie per strada è un’impresa davvero molto, molto difficile.
Altra sparizione illustre, figlia sia di incentivi che della ruggine: Fiat Ritmo, l’erede naturale, ideale e commerciale della 128, anche nell’innovazione, visto che fu la prima Fiat ad essere prodotta mediante l’uso dei Robot (perlomeno per quanto concernevano le saldature). Altro esempio di linea così moderna da risultare quasi incredibile fosse nata nel 1978, ebbe fin da subito un clamoroso successo: era spaziosa, come già detto modernissima anche rispetto alle concorrenti del tempo, meccanica presa del tutto dalla 128 e quindi affidabilissima e, come al solito per le Fiat dei tempi (usanza per fortuna tornata recentemente con la Tipo) assai concorrenziale nei prezzi. Anche in questo caso ce n’era per tutti i gusti: nel periodo di gloria, agli inizi degli anni’80 poteva accontentare chi voleva l’auto spartana con le versioni L, chi l’auto di lusso con le Super, chi le auto indistruttibili con la Diesel, chi le bombe con le 105 e 120 Tc, vere bestie (e di conseguenza “bare”). La sua erede “4 fari” non ne ricalcava la modernità (anzi, al contrario, divenne assai banale), ma proseguì la politica di una gamma così ampia da accontentare davvero tutti fino al 1988, anno del pensionamento. Come per tutte le auto citate fino ad ora, era così diffusa che oggi, per chi ha vissuto quei tempi, fa davvero strano constatare l’assoluta rarità, per le solite note cause.
Lo sapevo che finiva così: ci sono davvero troppi modelli da citare, e un solo articolo non può bastare a rendere giustizia a tutti, per cui l’appuntamento è per la prossima settimana, con una seconda tranche di nobili cadute alla causa della rottamazione.