La Spagna prova a modificare la settimana lavorativa riducendo la sua durata a quattro giorni. I dipendenti spagnoli lavoreranno trentadue ore settimanali senza subire la modifica del loro stipendio. Questa, almeno, è l’idea il cui funzionamento verrà sperimentato nel paese guidato da Pedro Sanchez.
Il governo di Madrid, infatti, ha approvato la proposta avanzata dal piccolo partito di sinistra nato da una scissione con Podemos, Más País .
Proprio il suo fondatore, Íñigo Errejón, ha spiegato su twitter lo spirito del tentativo con queste parole:
Viviamo tristi, soffocati ed esausti. Il nostro modello produttivo è scaduto e per migliorarlo proponiamo la riduzione della settimana lavorativa a 32 ore settimanali e di mettere la salute mentale al centro dell’agenda politica.
La Spagna, che discute dallo scorso Dicembre sull’opportunità di avviare la sperimentazione, ha deciso di cogliere l’opportunità offerta dal particolare momento storico per verificare la fattibilità della proposta.
Nell’ultimo anno le aziende di tutta Europa si sono trovate a dover modificare radicalmente le proprie abitudini di gestione del lavoro.
Il mondo è andato avanti durante questa pandemia grazie alla forma di lavoro agile. Non a caso, quindi, il tema dello smart working anima il dibattito relativo al mercato occupazionale con gli argomenti a suo favore e con quelli a suo sfavore. Si discute, cioè, sulla forma che dovrà assumere il mondo del lavoro nell’era post-covid. Nessuno, o quasi, pensa che le cose potranno tornare ad essere come le avevamo lasciate prima della pandemia.
C’è una lezione che si può trarre dall’esperienza del lavoro da remoto al tempo dell’emergenza sanitaria.
Se tra gli aspetti positivi dello smart working c’è la possibilità di gestione autonoma della giornata, tra i risvolti sicuramente negativi di questa modalità si può citare il fatto che la linea di suddivisione tra momenti privati e tempo da dedicare ai doveri della propria professione risulta sempre più sbiadita.
Per molti la giornata lavorativa non finisce allo scadere del proprio orario di ufficio. L’unica cosa che ci viene concessa di fare è lavorare, tanto vale farlo, sempre. Questo meccanismo non aiuta, a differenza di quanto si possa pensare, la produttività.
L’aumento delle ore dedicate alla propria occupazione, il lavoro come unica attività della giornata, non garantiscono l’incremento della produttività e della qualità del lavoro svolto, anzi.
Da questa evidenza parte il ragionamento di Errejón che ritiene che ridurre la giornata lavorativa possa avere degli importanti risvolti positivi, non solo per le persone che vedrebbero la qualità della loro vita migliorare, ma anche sull’economia delle aziende e del paese.
Avendo più tempo a disposizione, ad esempio, i cittadini potrebbero dedicarsi a corsi di aggiornamento, il che contribuirebbe alla riqualificazione della forza lavoro. Inoltre, secondo l’esperienza della Francia, che ha introdotto nel 2002 la settimana lavorativa di 35 ore, le persone che dispongono di più tempo libero tendono a consumare di più, aiutando la crescita economica della nazione e delle aziende private.
La sperimentazione, a cui parteciperanno un numero limitato di aziende, dovrebbe avere una durata pari a tre anni.
Il governo si impegnerà a coprire il 100% dei costi per chi riduce la settimana lavorativa durante il primo anno, per poi andare progressivamente a scalare. Il secondo anno l’esecutivo coprirà il 50% dei costi e il terzo la percentuale dei contributi statali sarà del 33%.
I fondi stanziati dovrebbero aggirarsi intorno ai 50 milioni di euro, il che significa che le aziende che potranno partecipare alla sperimentazione saranno circa 200.
Questa prova è solo l’ultima azione di riforma del mondo del lavoro spagnolo. Il tentativo del governo di Sanchez sembra essere quello di armonizzare le necessità del mercato con il rispetto della qualità di vita delle persone. Risale a poco tempo fa, solo per citare un esempio, la riforma con cui è stata portata a sedici settimane la durata del congedo di paternità.
Silvia Andreozzi